COME RIFORMARE LA GDF. LETTERA APERTA ALL'ONOREVOLE FRATTINI: NON LASCIATE LA GDF AL DI FUORI DEI PROCESSI DI MODERNIZZAZIONE - di Giuseppe Fortuna

mercoledì 06 giugno 2001

Gentile On. Frattini,

abbiamo letto con interesse e attenzione l'intervista pubblicata da Il Sole 24 Ore del 4 giugno scorso sulle intenzioni del nuovo Governo in materia di sicurezza. Ci sembra di capire che l'obiettivo strategico sia quello di ridurre fortemente la criminalità  avvicinando le forze dell'ordine alla gente con l'istituzione dei poliziotti di quartiere, cioè di agenti fisicamente presenti (e visibili) sul territorio, ai quali saranno prioritariamente affidati compiti di prevenzione piuttosto che di repressione dei reati. Leggiamo, inoltre, che, a tal fine, verrà  utilizzato lo strumento della direttiva generale prevista dagli articoli 3 e 14 del decreto legislativo n. 29 del 1993.

Il tema è di particolare interesse per la nostra associazione che statutariamente si propone, tra gli altri scopi, quello di stimolare il confronto delle idee sul tema della innovazione della pubblica amministrazione. Ci permettiamo, pertanto, di inviarLe alcune idee ed opinioni emerse all'interno di Ficiesse nella speranza che possano essere utili, visto, peraltro, che i processi di innovazione come quello auspicato suscitano sempre resistenze all'interno degli apparati.

Giudichiamo, innanzitutto, particolarmente opportuno che si sia inteso limitare il coordinamento delle forze di polizia sul territorio alle sole attività  di prevenzione, lasciando fuori quelle finalizzate alla repressione dei reati. Per queste ultime, infatti, le decisioni sulla allocazione delle risorse umane sono fortemente condizionate dal codice di procedura penale che, come noto, attribuisce al personale di Polizia, Carabinieri e Finanza le funzioni di polizia giudiziaria a competenza generale, ponendole in tal modo, una volta acquisita la notizia di reato, alle dipendenze funzionali del pubblico ministero.

Questo sarà  probabilmente il primo ostacolo che l'innovazione proposta incontrerà  sulla sua strada. "Non possiamo garantire - si dirà  - che i poliziotti di quartiere non faranno anche polizia giudiziaria perché questo dipende dai singoli procuratori della Repubblica competenti per territorio".

Si tratta di un ostacolo da non sottovalutare che, però, secondo noi è superabile con interventi sulle strutture organizzative, la cui definizione, sotto il profilo delle competenze e delle dotazioni organiche, spetta all'esecutivo e non certo al potere giudiziario. Si tratta di evitare, per quanto possibile, che le funzioni amministrative di poliziotto di quartiere siano svolte nell'ambito degli stessi reparti che abbiano anche la funzione di repressione dei reati. Se così non fosse, si verificheranno i consueti fenomeni di "cannibalizzazione" delle attività  di polizia giudiziaria in danno di quelle di polizia amministrativa; fenomeno tanto più rilevante quanto più spiccata sarà  la personalità  del locale procuratore della Repubblica.

Vogliamo dire che la funzione di poliziotto di quartiere va attribuita a centri di responsabilità dedicati, cioè ad articolazioni autonome, anche se agili e gerarchicamente dipendenti dagli attuali commissariati, stazioni e nuclei. Ma ciò che è più importante è che a tali articolazioni siano attribuite competenze che escludano espressamente la possibilità  di ricevere deleghe dall'autorità  giudiziaria e, a tal fine, potrebbe essere necessario modificare gli articoli 56 e 57 del codice di procedura penale.

Un secondo ostacolo deriverà  dalla mancanza di "report" attendibili sui costi e sui risultati della gestione. Questo è, in verità , un problema comune a tutta la pubblica amministrazione di cui, nonostante le buone intenzioni del decreto 286/1999, sembra ancora lontana la soluzione.

Ebbene, l'istituzione del poliziotto di quartiere potrebbe essere l'occasione per avviare, finalmente, iniziative concrete.

Ci spieghiamo con un esempio tratto dalla cronaca di qualche anno fa.

Lei ricorderà  certamente che nel gennaio del 1998 ci furono diverse, sanguinose rapine ai danni di commercianti del milanese che suscitarono una forte emozione nell'opinione pubblica. In quell'occasione, fu chiesto alle forze di polizia di conoscere quanti fossero gli uomini sottratti al controllo del territorio perché impiegati in attività  d'ufficio”. In mancanza di sistemi vincolanti di rilevazione, furono forniti dati di parte, perché ogni forza di polizia fu lasciata libera di decidere cosa intendere per “attività  d'ufficio” e cosa per "uomini impiegati". Fu un comportamento legittimo (si trattava di dati comunque reali), ma ne scaturirono percentuali così basse da risultare evidentemente non credibili.

Ora, secondo noi, una così ampia libertà  di rappresentazione non può essere più consentita. È necessario, perciò, introdurre sistemi di contabilità  gestionale unitari e attendibili che, partendo dalle scritture elementari già  esistenti, consentano di pervenire a sintesi oggettive e neutre delle performance conseguite dai diversi centri di responsabilità; insomma, si tratta di costruire "cruscotti direzionali" capaci di supportare con dati certi i piani annuali e pluriennali e di fornire alla dirigenza (ma anche alle autorità  politiche) report realistici e assolutamente attendibili sull'andamento della gestione.

Non è fantascienza. Un sistema del genere è già  stato realizzato dalla Guardia di Finanza, che lo ha presentato in diversi convegni (da ultimo, nello scorso mese di maggio a Forum P.A.); il Corpo già  dispone di dati di qualità  che gli consentirebbero una gestione manageriale di tipo evoluto, come dimostrano le esperienze di “benchmarking interno” per il contenimento dei costi di struttura (personale, amministrazione e logistica) e la reingegnerizzazione dei relativi processi di lavoro.

Noi riteniamo che si debba insistere in questa direzione per arrivare, magari, a “benchmarking esterni” tra le tre Forze di polizia, le cui attività  di funzionamento sono svolte sulla base di disposizioni legislative e regolamentari comuni.

Un terzo ordine di argomenti che ostacolerà  l'istituzione del poliziotto di quartiere e che rischia di ridurne gli effetti positivi per i cittadini riguarderà  la, da più parti asserita, "non misurabilità " dei risultati dell'azione di polizia con particolare riferimento alla prevenzione degli illeciti.

Si tratta di un mito tanto fatuo quanto incredibilmente difficile da sradicare.

È dimostrato, infatti, che si possono agevolmente misurare non soltanto gli “outputdei processi di lavoro (ad esempio, quantità  e tipo di merci sequestrate, numero di persone arrestate, numero di persone denunciate, numero e tipo di controlli effettuati, ecc.), ma anche gli “outcome, intesi come le modificazioni socio-economiche dovute alle azioni delle pubbliche amministrazioni. Per rimanere al caso del poliziotto di quartiere, scippi, borseggi, furti e rapine compiuti sono numeri certi, di cui sono disponibili serie storiche e sui quali possono ben essere negoziati, con i responsabili territoriali degli organi di polizia, obiettivi numerici esatti, ai quali, peraltro, potranno essere collegate le retribuzioni di risultato.

Quanto detto vale anche per la Guardia di Finanza: il gettito effettivo delle imposte è un numero certo, come lo è il gettito potenziale determinato sulla base del prodotto interno lordo di una determinata regione, provincia o comune. Su tali numeri possono essere negoziati obiettivi numerici tra il vertice nazionale e i livelli locali e potrebbe darsi finalmente avvio, come prevede la legge di ordinamento del Corpo (la n. 189/1959), ad AZIONI DI PREVENZIONE DELL'EVASIONE FISCALE nei settori delle imposte indirette e sui redditi da affiancare ai consueti (irrinunciabili) moduli repressivi.

Un'ultima notazione con riferimento alle direttive generali.

Le principali forze di polizia fanno capo a tre diversi ministri (interno, difesa ed economia) che emanano annualmente tre distinte direttive generali. Ciò vuol dire che si porrà  il problema dell'unitarietà  di indirizzi per le politiche di prevenzione degli illeciti sui territori.

Tale risultato potrà  essere ottenuto, a nostro parere, senza ulteriori interventi normativi. Il decreto legislativo 286 del 1999, infatti, ha abrogato l'articolo 20 del decreto legislativo n. 29 ma ha lasciato in vita il comma 8:

"Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e di sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, le operazioni di cui al comma 2 sono effettuate dal Ministro per i dirigenti e dal Consiglio dei Ministri per i dirigenti generali. I termini e le modalità  di attuazione del procedimento di verifica dei risultati da parte del Ministro competente e del Consiglio dei Ministri sono stabiliti rispettivamente con regolamento ministeriale e con decreto del Presidente della Repubblica (che non ci risulta siano mai stati emanati, NDR) da adottarsi entro sei mesi, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400."

Ne consegue che già  oggi è competenza del Consiglio dei Ministri impartire ai dirigenti generali delle forze di polizia, cioè ai livelli dirigenziali nazionali che negoziano obiettivi e risorse con l'autorità  politica, le disposizioni in ordine:

  • alla verifica della realizzazione degli obiettivi da attuarsi mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti;
  • alla corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche;
  • all'imparzialità  ed il buon andamento dell'azione amministrativa;
  • alla definizione dei cosiddetti "parametri di riferimento del controllo".

 Ci sembra, quindi, che l'attuale legislazione dia la possibilità  di fare tutto quello che s'è detto in precedenza: istituzione di nuove articolazioni ordinative per il poliziotto di quartiere, predisposizione di sistemi oggettivi e neutri di contabilità  gestionale, benchmarking interno ed esterno sulle attività  di funzionamento, fissazione di obiettivi annuali e pluriennali basati sugli outcome.

In conclusione, una preghiera.

Abbiamo letto che la Guardia di Finanza non sarà  coinvolta nell'operazione "sicurezza sul territorio" e che dovrà  occuparsi esclusivamente di compiti di tipo economico e finanziario. Ci auguriamo che questo non sia un segnale negativo. Il Corpo ha bisogno di una particolare attenzione da parte del nuovo Governo con riferimento, in particolare, ai provvedimenti di riforma organizzativa e di riordino delle carriere che sono stati adottati di questi due ultimi anni.

Noi stiamo affermando da tempo, in tutte le sedi, che con tali riforme non s'è fatta vera innovazione perché state riproposte soluzioni "antiche", assolutamente inadeguate per un organismo di polizia economico-finanziaria che deve essere all'avanguardia, se non vuole ricadere negli errori del passato.

Per questo, Le chiediamo di vigilare, per quanto sarà  nelle Sue competenze, affinché un così grande patrimonio del Paese non rimanga escluso dai processi di modernizzazione.

Grazie e buon lavoro

 

IL PRESIDENTE DEL DIRETTIVO NAZIONALE

GIUSEPPE FORTUNA


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