L’ESPRESSO/QUANTO CI COSTI CAPPELLANO: ECCO GLI STIPENDI D'ORO DEI PRETI MILITARI

giovedì 05 maggio 2016

DA L’ESPRESSO: QUANTO CI COSTI CAPPELLANO: ECCO GLI STIPENDI D'ORO DEI PRETI MILITARI

Grazie a una legge del 1961, i sacerdoti in divisa sono equiparati agli ufficiali. Per loro lo Stato spende oltre 20 milioni di euro, tra retribuzioni, tredicesime, benefit e pensioni. E la riforma in arrivo che promette tagli in realtà farà risparmiare solo il 3 per cento, appena 350mila euro -di Paolo Fantauzzi  

02 maggio 2016

L'arcivescovo Santo Marcianò Papa Francesco la sua opinione l’ha fatta conoscere da tempo: per assistere spiritualmente i soldati, in caserma e nelle missioni all’estero, non servono sacerdoti coi gradi. Anche il buonsenso del pontefice, però, rischia di infrangersi davanti a una questione che si trascina da anni fra resistenze fortissime: l’equiparazione dei cappellani militari a ufficiali delle Forze armate in virtù di una legge del 1961

Sacerdoti-colonnello, tenente o capitano che possono aspirare a diventare generali e hanno diritto a retribuzioni dorate, indennità di ogni tipo, avanzamenti automatici di carriera e una serie di benefit assai lontani dall’idea della Chiesa povera tanto cara al papa venuto dalla fine del mondo. Un assoluto centro di comando “anfibio”, metà religioso e metà temporale, che fa parte a tutti gli effetti dello Stato italiano, ha rapporti diretti col Quirinale (che nomina per decreto i cappellani), il ministro della Difesa e il potere politico e che alla consolidata felpatezza vaticana unisce il rigore proprio della gerarchia militare.

Un universo che è un viatico per fulgide carriere, come mostra il caso del cardinale Angelo Bagnasco, divenuto noto con la celebrazione dei funerali dei solati caduti in Afghanistan e Iraq e approdato dopo appena tre anni al vertice della Cei.

CARO CURATO

Nel 2015 fra effettivi e “di complemento”, realtà abolita da anni per gli ufficiali, solo di stipendi i 205 cappellani sono costati oltre 10 milioni di euro, un terzo in più di appena due anni prima. E chissà che direbbe il Papa, che puntualmente tuona contro l’arricchimento del clero, se sapesse che l’arcivescovo Santo Marcianò, che lui stesso ha nominato ordinario nel 2013, in virtù dell’equiparazione a generale di corpo d’armata può contare su 9.545 euro lordi al mese, che con la tredicesima diventano 124mila l’anno.

Il ruolo di vicario generale, assimilabile a generale di divisione, ne garantisce 108mila, mentre gli ispettori (generali di brigata) arrivano a 6mila al mese. Altri due milioni costa il funzionamento della diocesi, ovvero l’ Ordinariato , che ha sede a Monti, alla salita del Grillo, in uno stupendo complesso con vista sui Fori, e dispone pure di un seminario equiparato ad accademia nella cittadella militare della Cecchignola. Cifre alle quali aggiungere almeno 7 milioni per pagare le pensioni, che grazie ai cospicui contributi previdenziali si aggirano in media attorno ai 3mila euro al mese. Impossibile però conoscere cifre esatte per questi dipendenti pubblici: l’Inpdap non è in grado di fornire un dato preciso.

Nel complesso, dunque, l’assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche circa 20 milioni: tutti soldi, si badi bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di euro che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero. Ma se lo stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano come tenente parte dal doppio e a fine carriera, da colonnello, può superare i 5mila.

Senza contare gli innumerevoli bonus. Se il sacerdote dei parà si butta col paracadute (in passato uno è stato perfino istruttore) ha diritto all’indennità di lancio; quello della marina, se non è a terra, all’indennità di imbarco. E poi, fra le tante, quella di trasferimento, il rimborso per il trasporto del bagaglio personale e dei mobili, l’indennizzo chilometrico per gli spostamenti. «E siccome l’orario è quello d’ufficio, una celebrazione dopo le 16,30 viene considerata straordinario», spiega un cappellano che chiede l’anonimato. Benefit già difficili da accettare per i graduati, figurarsi per un ecclesiastico. Che quando va in missione internazionale gode pure della relativa lievitazione della busta paga. Forse anche per questo è sempre una stessa ristretta cerchia a prendervi parte.

IL BUON SOLDATO

Tanti privilegi favoriscono il rampantismo e rischiano di distogliere dalla missione evangelica. Come pure i ricorrenti casi di cronaca, l’ultimo dei quali risalente ai giorni scorsi: un cappellano dell’Aeronautica indagato dalla Procura di Pisa per stalking verso un giovane aviere al quale chiedeva prestazioni sessuali. Del resto della vita militare questo mondo dorato ha solo i vantaggi: un concorso di accesso non c’è, le visite di idoneità non sono affatto inflessibili e il sovrappeso, teoricamente motivo di congedo forzato, non rappresenta un problema.

Ma c’è pure chi vive con fastidio tanti benefit, perché compito di un religioso è essere un buon pastore d’anime. O al massimo un soldato sì, ma di Gesù, come ricorda nel nome il trimestrale dell’Ordinariato “Bonus miles Christi”. Solo che la rivista, spedita gratis alle istituzioni e pagata dal ministero della Difesa, più che a un bollettino informativo assomiglia a una tribuna dell’arcivescovo Marcianò. Con una sovraesposizione, anche fotografica, che fra omelie, interviste e prefazioni supera non solo gli spazi minimi relativi alle attività pastorali, ma pure quello riservato ai discorsi del pontefice. D’altronde si tratta pur sempre di un generale di corpo d’armata, per quanto in abito talare.

RIFORMA O NO?

Ma se lo Stato è laico, perché non togliere i gradi ai cappellani e far provvedere direttamente al Vaticano? Se ne parla da anni. «La Chiesa è pronta da ieri, non da domani», ha assicurato a Radio radicale nel 2013 il vicario generale, monsignor Angelo Frigerio. «Senz’altro, basta trovare formule alternative», ha ribadito nel 2014 Marcianò. «In tempi brevi si giungerà a una soluzione», ha garantito a inizio 2015 padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa.

Malgrado gli annunci, il tavolo bilaterale si è insediato solo lo scorso gennaio e ci sono voluti altri due mesi per la seconda riunione. Il rischio delle calende greche, insomma, è concreto, anche perché l’Italia si è seduta al tavolo senza nemmeno presentare una proposta e ha schierato la stessa squadra che si occupa del Concordato, notoriamente assai vicina alla Santa Sede. Inoltre tre membri su sei sono anche nella commissione che dovrebbe rivedere il meccanismo dell’8 per mille, mai toccato nonostante le ripetute critiche della Corte dei conti per l’eccessivo vantaggio che deriva alla Cei dalla modalità di ripartizione dei soldi.

Solo casualità? Di certo il tema scotta: da quando la Chiesa ha meno voce nella scelta dei docenti di religione, le Forze armate sono l’unico appiglio rimasto. Per questo il Vaticano, dietro l’apparente disponibilità, non molla. «La nomina dei tre ispettori-generali di brigata per l’esercito, la finanza e i carabinieri è stata sospesa dalla Difesa in vista della riforma. Sulla carta ci sono ma di fatto no, quindi la nostra spending review ce l’abbiamo già», dice all’Espresso Frigerio, che da ex sindacalista Cgil (in gioventù era elettricista) guida la commissione d’Oltretevere.

Parole non casuali, perché proprio questa sarà la linea del Piave per la Santa Sede: riservare il grado di generale solo all’ordinario militare ma lasciando tutto il resto così com’è. Equiparazione con gli ufficiali e benefit compresi. Risparmio stimato: 350 mila euro, il 3 per cento appena. Non proprio un gran sacrificio. (L’ESPRESSO)

 


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