RIFLESSIONI SULLA REVISIONE ORGANIZZATIVA DELLA GUARDIA DI FINANZA - di Giuseppe Fortuna

lunedì 30 ottobre 2000

Tra breve saranno resi noti i provvedimenti di attuazione della revisione organizzativa della Guardia di Finanza.

Sotto il profilo giuridico, il nuovo assetto dovrà  rispondere ai noti principi e criteri indicati nell’articolo 27 della legge 449/1997: a) economicità , speditezza e rispondenza al pubblico interesse; b) omogeneità  di funzioni e di dislocazione territoriale con le altre pubbliche istituzioni; c) distinzione tra strutture con funzioni finali e strutture con funzioni strumentali e di supporto.

Si tratta di terminologie tecniche che poco riescono a comunicare agli uomini dell’organizzazione i quali, però, saranno i primi ad avvertire se qualcosa davvero sarà  cambiato o se si sarà  realizzata soltanto un’operazione di facciata.

Quali dovranno essere, allora, i punti sui quali intervenire per fare vera innovazione e restituire slancio al maggiore organismo di polizia tributaria del Paese?

Dal punto di vista organizzativo e gestionale ne segnaliamo tre.

Il primo è certamente l’eccessiva lunghezza della struttura. Oggi si possono contare, dal Comando Generale ai comandi di brigata, fino a otto livelli gerarchici (senza considerare i livelli di staff), difetto molto grave in una "gestione per obiettivi" perché, a parte le evidenti e costose duplicazioni di funzioni, si rendono difficili, se non impossibili, le negoziazioni dei piani annuali. I livelli non dovrebbero essere più di quattro (nazionale, regionale, provinciale e livello produttivo), al massimo cinque, negli ambiti territoriali geograficamente più disagiati.

Il secondo punto critico ci sembra l’assenza di sistemi premiali legati ai risultati. Oggi, nella Guardia di Finanza, il premio è costituito dall’encomio, cioè da una ricompensa non monetaria utile per la progressione in carriera ma scollegata dal raggiungimento degli obiettivi di piano. L’encomio, infatti, è riferito ai soli comportamenti "eccezionali" e la valutazione dell’eccezionalità spetta, in modo fortemente discrezionale, agli ufficiali dirigenti e in particolare ai generali di divisione, grado apicale dell’organizzazione. La conseguenza è che il personale è spinto non tanto a raggiungere gli obiettivi quantitativi e qualitativi fissati nei piani annuali, quanto a ricercare il risultato eclatante, unitamente alla paterna benevolenza del dirigente sovraordinato.

Il terzo aspetto sul quale incidere è quello della definizione di un modello delle responsabilità  e delle deleghe diverso dall’attuale. Oggi, infatti: 1) i dirigenti intermedi ricevono i piani annuali degli obiettivi ma, oltre a non averli negoziati e a non essere premiati se li raggiungono, non dispongono di adeguate leve di gestione perché risorse umane, finanziarie e materiali sono rigidamente assegnate dal centro; 2) i dirigenti di vertice (generali di divisione) hanno grandissimi poteri di premio (encomi e avanzamenti in carriera) e di punizione ma non ricevono obiettivi e non hanno alcuna responsabilità  di risultato.

Questi i principali punti sui quali il progetto riorganizzativo deve intervenire se davvero si vuole consentire alla Guardia di Finanza di competere con successo nei confronti delle altre pubbliche amministrazioni sul fronte dell’efficienza e della qualità .

Certamente, una soluzione praticabile potrebbe anche essere la conservazione del presente o un ritorno al passato remoto. Ma in questo caso rimarrebbero i numerosi interrogativi in cerca di risposta: come si pensa di creare professionalità di alto profilo in settori d’impiego tanto disparati e sempre più tecnici? cosa fare per riuscire a trattenerle? come si potrà  prevenire la corruzione? e quali ne sono state le cause profonde?

E’ a questo genere di domande che il Comandante Generale e il Consiglio superiore dei Generali di divisione hanno il dovere morale, prima ancora che giuridico, di dare puntuali risposte perché è su questo fronte che si deciderà  il futuro del Corpo e degli uomini che ne fanno parte.

GIUSEPPE FORTUNA


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