IL TEMPO: IL SUICIDIO DEL FINANZIERE FINISCE IN PROCURA

domenica 19 giugno 2016

IL TEMPO: IL SUICIDIO DEL FINANZIERE FINISCE IN PROCURA

La moglie del colonnello Pace: mio marito non voleva uccidersi La donna presenta una denuncia e chiede la riesumazione del corpo L'INTERVISTA «Era turbato dalla testimonianza nel processo Scajola»  di Silvia Mancinelli

19/06/2016

«Mio marito non aveva alcuna ragione, familiare o lavorativa, per togliersi la vita. Saremmo dovuti partire per una crociera e aveva già comprato una giacca nuova per la cresima di nostro figlio. Una giacca che conservo ancora nell’armadio, con l’etichetta». Barbara Basciano, vedova del Tenente Colonnello Omar Pace, non crede all’ipotesi del suicidio e ha presentato una denuncia contro ignoti chiedendo la riesumazione del corpo e, soprattutto, la verità. L’ufficiale della Guardia di Finanza, in servizio operativo presso la Direzione Investigativa Antimafia, venne trovato nella sua stanza al Polo Anagnina in un lago di sangue la mattina dell’11 aprile scorso. Il colpo alla testa, esploso con la propria pistola d’ordinanza, non lasciò molti dubbi agli investigatori da subito convinti a seguire la pista del suicidio. Accanto al corpo trovarono una lettera di tre pagine mai consegnata alla moglie, nella quale l’uomo avrebbe spiegato il periodo difficile al lavoro, le sue preoccupazioni e l’impossibilità di sopportarle. Era la vigilia del processo contro l’ex ministro degli Interni Claudio Scajola, a Reggio Calabria. Nell’udienza fissata per il 12 aprile e che venne poi rimandata, la vittima avrebbe dovuto essere sentita come testimone. Era stato proprio Omar Pace, infatti, a dirigere le operazioni di perquisizione e sequestro in occasione dell’arresto dell’ex parlamentare, imputato con l’accusa di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il tenente colonnello, ben attento a lasciare il proprio lavoro fuori dall’ufficio, non aveva confidato alla moglie una sensazione particolare di sconforto o paura. Non parlava mai in famiglia di ciò di cui si occupava, un po’ per discrezione un po’ per proteggere i propri cari. Ma in un biglietto, poi ritrovato dalla vedova, aveva scritto che «in qualche occasione bisogna sacrificare il bene supremo, la vita per una causa superiore». «Sentiva tutto il peso della responsabilità, sfiducia e amarezza rispetto a una realtà cui invece dimostrava tanta abnegazione», si legge nella querela, ma non al punto da far trapelare eventuali intenzioni suicide. Ai colleghi e a magistrati inquirenti lo stesso Pace avrebbe confidato di essere seguito da giorni. In particolare avrebbe raccontato – ma è da verificare - di un pedinamento mentre andava all’università di San Marino, dove era docente a contratto. Ancora: in una lettera anonima, fatta recapitare pochi giorni dopo la morte del Tenente Colonnello a diverse redazioni, si faceva esplicito riferimento alle indagini che portarono all’arresto di Scajola. Venivano fatti i nomi di due superiori della vittima che ne avrebbero ostacolato le indagini e avrebbero fatto ricadere su di lui la responsabilità di aver passato delle informazioni alla stampa. Sarebbe stato poi lo stesso anonimo, notizia questa però mai confermata, a sottolineare l’inesistenza di ragioni personali e familiari che inducessero al suicidio l’ufficiale. Con una interrogazione parlamentare, il 17 maggio scorso, il senatore Mario Michele Giarrusso ha chiesto al ministro degli Interni Angelino Alfano di salvaguardare la DIA da «pressioni esercitate dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza e di far chiarezza su quelle subite nell’ambiente lavorativo dal Tenente Colonnello, affinché la sua morte non venga archiviata in fretta con banali motivazioni». «Non è fuori luogo ipotizzare il reato di istigazione al suicidio – spiega l’avvocato di Barbara Basciano, Pablo De Luca - Si presume infatti che Omar Pace possa esser stato determinato all’estremo gesto da condizioni ambientali insane, create intorno a lui da personaggi non individuati e che poi possano averlo portato a togliersi la vita. Troppe cose non tornano e questa denuncia ha lo scopo di punire i colpevoli. Oltre a presentare istanza di riesumazione del corpo, abbiamo chiesto l’autorizzazione a nuove verifiche, anche di carattere balistico. A questo punto auspicando che la Procura ponga la giusta attenzione al caso e lavori ancora più scrupolosamente così che una donna, rimasta vedova troppo giovane, possa raccontare con orgoglio un giorno ai suoi figli l’abnegazione del padre nel prestare servizio allo Stato e l’attenzione degli inquirenti a rendergli giustizia». (Il Tempo)


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