CORRIERE DELLA SERA. L’ANGELO IN MOTOCICLETTA. di Maurizio De Giovanni

giovedì 21 luglio 2016

CORRIERE DELLA SERA.IT: L’ANGELO IN MOTOCICLETTA di Maurizio De Giovanni

Poteva salvarsi, ma ha scelto di mettersi in mezzo. Un eroe senza nome che si è ribellato all’orrore e ha tentato l’impossibile

Attimi. Lampi di coscienza e di incoscienza, in cui prevalgono istinti ed emozioni, immagini sparse che vengono dal presente e dai ricordi. Forse volti, espressioni di sorpresa o di paura, sconosciuti che si sovrappongono a persone care o a qualcuno che si è perduto.

Nelle pieghe e nelle piaghe dei grandi eventi, che durano pochi secondi ma che lasciano un perenne segno nei ricordi e nelle coscienze, si annidano immense storie di piccoli uomini che resteranno stampate a fuoco nelle memorie e ancora di più nei sentimenti. Attimi, che si dilatano a dismisura nei discorsi e nei dibattiti sulle conseguenze, come succede in quelle scene di film che rallentando incrementano la spettacolarità. Solo che nella realtà nessuno rallenta niente. Nella realtà gli eventi si succedono e si sovrappongono come fulmini in una tempesta, e la brevità del tempo lascia inevitabilmente ognuno solo con se stesso, con le sue speranze e le sue disperazioni.

Non è noto, mentre scriviamo, il nome dell’uomo che ha inseguito con lo scooter il gigante che portava la morte in mezzo agli innocenti della Promenade des Anglais, nella notte del sangue di Nizza. Il destino lo ha unito a quello di Richard Gutjahr, un giornalista tedesco che riprendeva con lo smartphone i fuochi d’artificio della festa, e che quindi è riuscito a documentare quell’attimo rendendolo immortale. L’uomo che ci ha provato, a fermare il destino. L’uomo ancora senza nome che ha tentato qualcosa di impossibile, perdendo la vita sotto una ruota immensa e cieca, forse colpito dalla pistola del folle omicida che guidava il camion nella notte.

Il legame casuale e sottile che ha unito il giornalista tedesco al motociclista francese ci ha regalato l’indelebile memoria di un atto che è privo di riflessione e di equilibrio. Una piccola follia che tenta di contrapporsi a una follia gigantesca, un gesto di vita contro un gesto di morte.

Attimi. Una decisione disperata, da parte di uno che avrebbe potuto salvarsi senza alcun problema, ormai superato da quello strumento di morte che si dirigeva sulla folla. Una folla di sconosciuti, di persone che mai più quell’uomo avrebbe visto o sentito, nei lunghi anni che gli restavano da vivere ricordando quella notte. Attimi, in cui non c’è tempo per riflettere o per valutare i pro e i contro. Attimi in cui viene fuori chi sei e solo chi sei, e le strutture dell’egoismo e dell’utile si sgretolano all’improvviso.

A quell’uomo, di cui speriamo di riuscire a conoscere vita e amori per poterne abbracciare meglio il ricordo, dev’essere sembrato impossibile il contrario: il non provarci, il non mettersi tra la disperazione e la speranza. Il non tentare di salvare quei bambini e quelle donne, tutti quei sorrisi della sera della festa, gli occhi ancora pieni del piccolo miracolo dei fuochi sul mare.

Forse la verità e l’immane tragedia di quello che è accaduto sta proprio nel piccolo grande simbolo del tentativo dell’uomo in scooter. Forse la chiave di quello che ci resta da fare, passato l’incubo, passato il dolore, passata la rabbia, è nel segnale che questo eroe ancora senza nome ci ha dato, per istinto e solo per istinto: mettersi in mezzo. Non far finta di niente. Non pensarsi salvi, perché salvi non siamo. Attimi, in cui non c’è tempo per pensare e per riflettere. Ma c’è tempo per il cuore.

Non è riuscito nell’impresa, quell’uomo. Le diciannove tonnellate di veleno hanno continuato la strada di distruzione che veniva chissà da quanto lontano. Chi era alla guida aveva avuto il tempo di dilatare quegli attimi, valutando per bene quello che avrebbe fatto, attrezzandosi e sfruttando la sorpresa. Troppo vantaggiosa la posizione per consentire a un semplice, piccolo scooter di mettersi in mezzo al destino. Ma l’attimo del cuore era in corso, e quello non poteva essere bloccato.

Non sapremo mai se quel tentativo, alla fine, un piccolo ruolo l’ha avuto. Se il piede assassino si è alzato dall’acceleratore per una frazione di secondo, se lo sterzo è stato deviato da un piccolo sussulto di sorpresa. Magari sì. Magari se non fosse successo piangeremmo altri morti, adesso. Ma forse non conta, questo: forse conta soltanto che c’era, in mezzo all’orrore e alla folla ferita, chi ha pensato di non poter fare a meno di combattere, anche senza armi. Attimi di mani nude e di altruismo. Attimi senza pensare e senza fuggire. Attimi di solo cuore.

 

 


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