GDF, LE FURBIZIE MIOPI DELLA CASTA DI VERTICE
Abbiamo ricevuto dal signor M. R. la lettera che di seguito integralmente pubblichiamo. Il titolo è della redazione del sito
"""Salve e sinceri complimenti. Mi chiedo, però, come mai anche un giornalismo coraggioso e critico consideri ancora tabù fare indagini sulla situazione delle forze di Polizia in Italia. Nel senso della particolarità tutta italiana, considerata una specie di bizzarria nel resto del mondo, di mantenere ancora in vita diversi Corpi di Polizia?
Perché si omette di denunciare le conseguenze di questa singolarità nazionale, conseguenze sia sul piano operativo che su quello degli sprechi ?
Certo per i Comandi Generali, gli Stati Maggiori, tutte le Direzioni Centrali, ma direi piuttosto per le alte gerarchie, questa è sempre stata una vera e propria manna, un opportunità di concimare e raccogliere nel proprio orticello senza dar conto al proprietario dell'orto che, ricordiamolo, siamo invece tutti noi cittadini. Ciò in barba a tutti i presunti “coordinamenti”, in nome di una presunta competizione delle varie ff.pp. e della sicurezza nazionale: ma è proprio questa che viene gravemente compromessa! Questo è il punto.
Qualche esempio: l'effettiva disparità di trattamento tra i vari operatori della sicurezza, la molteplicità di organismi decisionali, di supporti logistici e di approvvigionamento; ma si potrebbe continuare con molti altri.
Eppure “scoperchiare la pentola” non dovrebbe essere difficile, non ci sarebbe bisogno di chissà quali straordinarie ricerche, costosi servizi. Basterebbe entrare in una qualsiasi caserma del territorio, in un commissariato, una stazione dei carabinieri e vedere in quale situazione di precarietà e di motivazione si lavora. Oppure, soltanto farsi un giro sui vari blog, sui forum a tema, (amid.it, ficiesse.it e tanti altri semplici sfoghi di poliziotti,carabinieri, finanzieri).
E c' è anche un' altra questione, che poi è la stessa, ma a me sta più direttamente a cuore. Parlo della Guardia di Finanza, di quella struttura weberiana, sempre più svuotata nell'identità, delle sue prerogative operative e ciò grazie ad una classe dirigente incapace.
Già la cosiddetta gerarchia, quella che dovrebbe guidare e dare l'esempio. La dirigenza (non solo a livello centrale ma anche ai livelli periferici) trae la sua forza da due uniche ma grandi capacità: quella di fare lobby, di aver sempre saputo fare pressione sulla classe politica (senza andare tanto lontano, basta guardare gli atti della Commissione Difesa della scorsa legislazione, i tentativi di “riforma” del codice militare), sul potente di turno, affinché negli anni nulla sostanzialmente cambi, affinché soprattutto il Corpo permanga nella sua specificità: militare nella struttura e nel diritto. Ciò che, pur costituendo una stridentem ed anacronistica contraddizione è, invece, fatta apparire come la più funzionale e moderna delle soluzioni organizzative. E questo grazie ad un'altra grande capacità: quella di saper vendere bene un immagine di efficienza, di saper dare risalto alla statistica operativa. Ecco perché si torchia “la truppa” a fare tanto, senza preoccuparsi di farlo fare bene. Perché l'importante è dare i numeri; ma del resto chi potrebbe verificare la sostanza, chi potrebbe entrare nel merito dell'operatività ? Di sicuro, non certo questo gruppo di dirigenti - colonnelli e generali - così ossessionati dalla carriera, dal salire la scala gerarchica aggrappandosi alla cordata vincente di turno; soprattutto, tenendosi a debita distanza dalle responsabilità, a scalzarle verso il basso. Quindi mi chiedo ma questi signori come pretendono di essere “comandanti” se non sanno farlo nemmeno nel senso più militare e cameratesco del termine.
Il guaio è che ciò diventa di cattivo esempio anche per i futuri dirigenti, i giovani ufficiali, che pur uscendo dalle scuole di formazione pieni di volontà e di motivazione, imparano presto che è meglio assecondare la statistica dei rendimenti del reparto (sempre da un punto di vista meramente quantitativo), senza affrontare concretamente i problemi, senza crearne a chi sta sopra. Tanto, ogni due-quattro anni l'avvicendamento di un nuovo comandate comporta il continuo rinvio della risoluzione di ogni problematica; ciò produce quella sensazione di continua precarietà che si avverte nei reparti operativi.
Questa è la realtà. La realtà in cui mi trovo a vivere da maresciallo della Finanza da più di 20 anni, nel corso dei quali ho avuto la possibilità di lavorare in diverse realtà del territorio e a diversi livelli di struttura (dai reparti minori a Comandi superiori). La
conclusione della mia esperienza è proprio questa: esiste una “casta” di dirigenti senza qualità professionali, ma soprattutto senza capacità manageriali, senza la minima abilità e sensibilità a motivare il personale, ad esercitare nei suoi confronti il minimo di tutela; suscitando il rispetto formale sì di questi, ma non sostanziale, senza raccogliere la stima dei loro collaboratori.
Eppure non c'è bisogno di chissà quali titoli per sapere che è proprio facendo leva su questa grande risorsa che potrebbe essere la valorizzazione del personale che si possono ottenere grandi cose. Si continua a scalfire l'orgoglio di appartenere ad un Corpo come il nostro, pregiudicando il senso del dovere. Invece, funziona così: in un'ottica di cieca ed arrogante mentalità “militare”, per gestire il personale bastano altri strumenti leciti o meno: i trasferimenti, la disciplina , l'avanzamento, le “note caratteristiche”; che importa se poi s'incentiva un sentimento di rivalsa che pregiudica il rendimento, tanto - mi ripeto i c.d. “risultati di servizio” ci sono e la statistica è salva.
In questo sistema “la truppa” che fa ? Si adegua, si amalgama, si appiattisce in un mediocre “faccio il minimo”, non a caso è diffusa l'espressione di “stare allineati e coperti” per indicare l'inopportunità di assumere iniziative, di non spiccare, insomma “rimanere nei ranghi”. Tanto comunque c'è lo stipendio e di questi tempi è già tanto.Anzi qualcuno (per fortuna non tanti) si adegua più degli altri e cerca di trarne beneficio da questo stato di cose, magari piccoli e meschini benefici, ma concreti: lo straordinario, i turni più comodi, la valutazione caratteristica; diventa il fidato del comandante, la spia, il lecchino. E' vero che questi sono meccanismi
relazionali che insistono in ogni azienda, in ogni organizzazione, ma è grave che assuma forme e dimensioni tali in un Corpo con compiti istituzionali fondamentali per il rispetto delle regole democratiche.
Mantenere lo status militare, con la sua retorica fatta di parate e di marce da grandi occasioni (ciò che s'impara più di ogni altra nei diversi reparti d'istruzione è proprio marciare, poi tutto il resto), il ridicolo ricorso ai valori militari nei solenni discorsi, valori che invece sarebbero anche condivisibili se fossero autentici, se fossero profusi da “veri Comandanti” e non da chi, invece, ha fatto di questa specificità, la difesa ad oltranza dei propri privilegi ed interessi di casta.
Siamo ancora in tanti che si fanno domande e cercano risposte; che attendono vere riforme nell'intero comparto Sicurezza. Soprattutto siamo ancora in tanti a credere e sperare in un passaggio epocale verso una moderna e veramente efficiente polizia finanziaria, magari come specialità all'interno della Polizia di Stato. Perché di un organismo così in Italia ce ne proprio bisogno; i vari scandali finanziari, l'aumento delle truffe comunitarie e non, l'evoluzione di certa criminalità da “camice bianco” dimostrano l'esigenza del nostro paese di dotarsi una vera polizia finanziaria. Una
articolazione fatta di professionisti, da persone preparate e motivate ad affrontare le sfide criminali sempre più elaborate e sofisticate.
Ci vorrebbe una classe politica con voglia di vere riforme. Ma confido di più in quel grande strumento democratico che è l'informazione.
Questo vi chiedo a nome di tanti.
M.R."""