TISSONE SILP: SINDACALIZZAZIONE PIENA DELLE FORZE DELL'ORDINE E FORZE ARMATE

lunedì 30 gennaio 2017

Il dibattito sulla riorganizzazione del sistema sicurezza a 36 anni dalla legge di riforma 121/81 e le polemiche legate allo scellerato accorpamento del Corpo forestale dello Stato con l'Arma dei Carabinieri e alla relativa militarizzazione, pongono più che mai con forza la necessità di una libertà sindacale piena che in maniera anacronistica e, direi, anticostituzionale viene oggi ancora negata ai tutti i lavoratori in divisa, non solo a coloro che portano le stellette.

Recentemente ho partecipato a un'interessante tavola rotonda organizzata dall'associazione Ficiesse che da anni si batte con coraggio e determinazione per una riforma della rappresentanza militare in senso democratico nella Guardia di Finanza, supportata in questa battaglia proprio dalla Cgil che ha recentemente presentato un reclamo al Comitato Europeo dei Diritti Sociali.

Ai più giovani è bene ricordare che tutti i diritti e le prerogative faticosamente ottenuti e che oggi diamo per assodati sono stati conquistati con una grande battaglia del sindacato confederale e della Cgil in primis che ha portato alla citata riforma del 1981 e all'introduzione del principio di libertà sindacale, pur "separata". Un concetto, quest'ultimo, sul quale vorrei soffermarmi e che è alla base del mio ragionamento.

All'epoca, infatti, i riformisti e coloro che sognavano Forze dell'ordine davvero democratiche e aperte si batterono per il riconoscimento di una libertà sindacale piena. Alla fine, come spesso avviene in Italia, prevalse un compromesso e fu partorito un ibrido che partiva da un assunto: sindacalizzare, ma in maniera limitata.

L'obiettivo era impedire "contatti" tra il sindacato di polizia e le confederazioni, identificate impropriamente come articolazioni dei partiti politici. Così fu e così è. L'art. 82 della 121 dice che gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati che non siano diversi da quelli del personale in divisa e che gli stessi (art. 83) debbano essere formati, diretti e rappresentati solo da appartenenti alla stessa Polizia di Stato, salvo poi prevedere - con modifica avvenuta del 2013 - la possibilità per soggetti in quiescenza, quindi non più assoggettabili ad obblighi di servizio, di esercitare gli stessi diritti.

Insomma, libertà sindacali non piene. Il dibattito sulla materia è stato ampio fin dal 1981 e riassumerlo in poche righe diventa praticamente impossibile. Quello che oggi si può dire con assoluta certezza, alla luce anche della dottrina più attenta che ricorda come nella nostra Costituzione esista una netta separazione tra sindacati e partiti politici, è che risulta obsoleta e superata l'obiezione di una "politicizzazione" diretta o indiretta del personale di polizia, che si è tentato di concretizzare anche con un illegittimo divieto di iscrizione ai partiti.

Le vicende degli ultimi anni e degli ultimi mesi, invece, ci insegnano come una "esasperata autonomia" del sindacalismo espressione dei lavoratori in divisa abbia sostanzialmente contraddetto le ragioni del movimento che ha portato alla legge di smilitarizzazione della Polizia di Stato, le cui finalità erano e sono quelle di una democratizzazione dell'apparato e il recupero dell'efficienza, attraverso una maggiore integrazione con la comunità circostante ed un rapporto di migliore fiducia e collaborazione con i cittadini. Per altro, sul termine "politicizzazione" dobbiamo intenderci.

Che cosa significa questa parola? La condivisibile battaglia della Cgil per il No al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi è stata condivisa anche da partiti, come la Lega Nord, a cui parte del sindacalismo di polizia cosiddetto "autonomo" si ispira e si conforma.

Oggi tutto è "politica" e, forse, per "politicizzazione" dobbiamo correttamente intendere la partecipazione ai problemi "politici" del nostro tempo. Se la "politica" determina, con le proprie scelte, le condizioni di vita e di lavoro degli operatori in divisa, in qualche modo il sindacato ha il diritto/dovere di intervenire nelle scelte della "politica". In realtà, come i più accorti intuiscono, questa è solo una foglia di fico.

Il timore che un'indiretta politicizzazione del personale di Polizia - tramite la costituzione o l'iscrizione a sindacati - possa comportare un annacquamento delle relative funzioni, sottende l'adesione all'assunto secondo cui la tutela dell'ordine pubblico richieda l'intervento di strutture necessariamente autoritarie; ovvero, che la democraticità, di cui partiti politici e sindacati sono la massima espressione, costituzionalmente garantita, possa essere tutelata più efficacemente da organismi esterni e lontani dalla dialettica democratica.

Dunque, oggi più che mai sono maturi i tempi per una sindacalizzazione piena che riguardi non solo le Forze di polizia a ordinamento civile, ma anche e soprattutto i Corpi militari e le Forze armate. Del resto, come dimostra l'esperienza tedesca, lo status di militare non è incompatibile con l'essere sindacalizzati. Da questo punto di vista, anche la battaglia per il riconoscimento del diritto di sciopero ai lavoratori in divisa non può essere sottaciuta.

Si tratta di un tema delicato, sul quale il confronto tra le parti sociali potrà arrivare a determinare opportuni livelli di regolamentazione in ragione del particolare status di poliziotti, carabinieri e militari. Ma questa particolarità, oggi più di ieri, non può e non deve costituire la ragione per mantenere e preservare un orticello dove i diritti sono limitati e dove soprattutto possono prosperare, con tutti i rischi del caso, apparati e organizzazioni di natura corporativa e "autonoma" che contribuiscono a rendere la Polizia un'entità ancora separata, indebolendo quel necessario livello di compenetrazione con la società civile che il processo di smilitarizzazione aveva inteso favorire.

Daniele Tissone

Segretario generale sindacato di polizia Silp Cgil


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