IL SEGRETO DI STATO: LO ‘SPAURACCHIO’ DI GIORNALISTI, MILITARI, POLIZIOTTI E AGENTI SEGRETI (nota a commento di Walter Bazzanella) - di Cleto Iafrate

mercoledì 05 aprile 2017

1. Premessa

Qualche settimana fa ho pubblicato sul mio profilo facebook un post nel quale ho illustrato alcune problematiche afferenti agli aspetti processuali del segreto di Stato.

In particolare, ho cercato di analizzare, servendomi della metafora calcistica, le diverse risposte che, a partire dal codice Rocco, il nostro ordinamento ha fornito a una domanda antica e decisiva: “A chi spetta l’ultima parola in caso di opposizione del segreto di Stato?”

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Il post ha ricevuto diversi like e anche qualche commento. Colpisce quello postato da Walter Bazzanella, non solo per il contenuto, ma anche per l’autorevolezza della fonte. Un commento appassionato e ricco di spunti, che pesa come un macigno sulla storia della nostra Repubblica, di cui riporto di seguito solo uno stralcio:

«(…) Quel che stupisce è l'imbroglio che si perpetua da epoca fascista ai nostri giorni fondato su norme emanate in tempo bellico RD 1161 del 1941 che ancora oggi trovano cittadinanza nel Codice Penale in quella parte del "Codice Rocco" sopravvissuta (ad arte) a ogni riforma dello stesso. Tali norme, mai abrogate, possono spedire in galera qualunque cittadino anche per la sola rivelazione (sic!) dell'orario ferroviario. L'arresto è obbligatorio trattandosi di delitto contro la Personalità dello Stato, reato da Corte d'Assise!

Questo è lo spauracchio (...)» Per visionare il commento clicca qui

Lo ‘spauracchio’, cui si riferisce l’autore, è certamente l’art. 262 del codice penale, che, nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, punisce con la reclusione da 3 a [24 anni] chiunque rivela od ottiene “notizie delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione” (c.d. notizie riservate). Il limite massimo della pena, in difetto di una specifica indicazione, è desumibile dall’art. 23 del codice penale.

2. Chi è Walter Bazzanella

Da fonti aperte[1], si apprende che Walter Bazzanella è un alto ufficiale dell’aeronautica militare che è stato (oggi è in pensione) responsabile della sezione Ead (sicurezza informativa) dell’Ucsi (Ufficio centrale sicurezza interna della Presidenza del Consiglio).

Dalla Gazzetta ufficiale, poi, emerge che Bazzanella, insieme a un giornalista, è stato “dichiarato dalla Corte d’Assise di Roma responsabile del reato di Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione’ (art. 262 c.p.) e che, con la medesima sentenza, entrambi sono stati prosciolti dal medesimo reato in relazione al documento SS/5/GNO-1/DB all. H, denominato ‘Operatori speciali del servizio italiano’ (OSSI)[2]

La Suprema Corte di Cassazione, inoltre, “ha ritenuto che correttamente il giudice di merito, con adeguata motivazione, avesse escluso la legittimità del vincolo della riservatezza imposto su documenti attinenti alla organizzazione della c.d. “guerra non ortodossa”, da riguardarsi come eversiva dell’ordine costituzionale, in quanto caratterizzata dalla previsione di una struttura di comando finalizzata ad azioni di guerra  e di sabotaggio  sull’intero territorio nazionale, collocata al di fuori dell’ordinamento delle Forze armate, esclusivamente preposte alla difesa della Patria, anche mediante coinvolgimento occulto di personale adibito ad altri compiti, con sottrazione ad ogni controllo di tipo istituzionale[3].

Il lettore attento, a questo punto, potrebbe porsi la seguente domanda: «Se Bazzanella ha rivelato “l’esistenza di una struttura di comando eversiva dell’ordine costituzionale, finalizzata ad azioni di guerra e di sabotaggio sull’intero territorio nazionale” perché è stato arrestato e processato?»

Volendo sintetizzare all’osso, si può dire che il martirio giudiziario subito da Walter Bazzanella, che per certi aspetti rievoca quello di Cassio Longino[4], sia stato causato da un timbro o stampigliatura apposto sul documento (la classifica “SS” che identifica la categoria di documenti ‘segretissimi’).

Si, è proprio così, ad integrare la fattispecie delittuosa non è un fatto ma un timbro (un timbro che costituisce principio di legalità della pena!).

Da ciò si comprende quanto enorme sia il “potere di stampigliatura” detenuto dall’Autorità deputata (o delegata) a generare il documento e attribuirvi il timbro, cioè il vincolo di riservatezza. E’ un potere quasi divino, che sana e trasforma; ovverosia   rende legale ciò che, in assenza del timbro, sarebbe illegale.

Per meglio approfondire questo punto, che è nodale, è necessario prima metterlo a fuoco, a tale scopo è utile rispondere ad alcune domande.

a) Quali sono le notizie che non possono essere né rivelate né ottenute?

L’art. 262 del codice penale presidia le cosiddette “informazioni classificate”, ovverosia ogni informazione, atto, attività, documento, materiale o cosa, cui sia stata attribuita una delle classifiche di segretezza previste dall’art. 42, comma 3, L. n. 124/2007.

Le classifiche sono attribuite dall’Autorità competente al fine di circoscrivere la conoscenza di tali informazioni ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi, sulla base di criteri ordinariamente seguiti nelle relazioni internazionale[5], in quanto la loro diffusione non autorizzata potrebbe recare un danno agli interessi fondamentali della Repubblica[6]. La legge, però, non elenca le notizie di cui è vietata la divulgazione e rimane vaga sui criteri di individuazione della assunta “dannosità” delle notizie in caso di divulgazione.

Un lungo elenco di notizie riservate era contenuto nel R.D. n. 1161 dell’11 luglio 1941. Si consideri che in quegli anni i criteri di segretazione erano funzionali alla missione di “condurre il Paese verso mete più fulgide di prestigio politico o verso un assetto sempre più propizio della pubblica economia[7]”. L’elenco era funzionale a questa ambiziosa linea programmatica; esso ricomprende materie di carattere militare o attinenti all’efficienza bellica, l’ordinamento e la dislocazione, l’efficienza, l’impiego e la preparazione delle forze armate; i loro metodi e gli impianti di comunicazione, i mezzi e l’organizzazione dei trasporti, le dotazioni, le scorte e le commesse di materiali, le fortificazioni. Inoltre, erano segrete le basi e gli impianti, gli stabilimenti civili di produzione bellica, gli impianti civili per la produzione energetica, la mobilitazione civile e militare, le pubblicazioni, i documenti e gli atti di ufficio. Addirittura anche l’orario ferroviario era ricompreso nell’elenco delle notizie che non potevano essere rivelate senza l’autorizzazione.

b) Quali sono le classificazione?

Le “classifiche di segretezza” sono attribuite in base al danno derivante allo Stato in caso di rivelazione non autorizzata:

- SEGRETISSIMO (SS) = danno eccezionalmente grave;

- SEGRETO (S) = danno molto grave;

- Riservatissimo (RR) = danno grave;

- Riservato (R) = danno lieve.

Le “informazioni classificate” si differenziano dal segreto di Stato in quanto tutelano, per così dire, ‘più mitemente’ gli interessi della Repubblica. Il loro divieto di divulgazione, a differenza del segreto di Stato, non può essere opposto durante il giudizio penale[8]; su questo punto il Consigli di Stato è stato molto chiaro[9]

Pur tuttavia, esse, rispetto alla norma in materia di diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione, rientrano nei casi di esclusione.

Prima di rispondere alla domanda più importante – chi è competente ad attribuire i vincoli di segretezza? - è opportuno spendere qualche parola a proposito della cosiddetta “norma-spauracchio”, alla luce degli elementi fin qui esposti.

3. Profili d’incostituzionalità dell’art. 262 c.p.

Per la sua indeterminatezza, l’art. 262 c.p. può essere qualificato come una norma penale in bianco, in quanto non rispetta il principio di tassatività della legge penale, sancito dall’art. 25 della Costituzione. Nel senso che il legislatore ordinario non ha definito quali siano le “notizie riservate” tutelate nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, lasciandone la determinazione all’autorità politico-amministrativa competente.

La disposizione, come detto, non indica i motivi per i quali la divulgazione delle notizie può essere vietata, rimettendoli alla totale discrezionalità dell’autorità decidente. Tale circostanza impedisce al giudice di valutare se il divieto di divulgazione sia stato validamente imposto.

L’art. 262 c.p. si pone in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione, in quanto commina una pena uguale, nel massimo, a quella prevista dal precedente art. 261 c.p. che punisce il delitto di rivelazione di segreti di Stato (24 anni di reclusione, quale limite desumibile in difetto di specifica indicazione, dall’art. 23 c.p.).

Queste gravi lacune rendono assai flessibili i confini all’interno dei quali si esprimono gli interessi fondamentali della Repubblica.

Pare inoltre violato anche il principio di legalità della pena a causa dell’eccessivo divario tra la pena edittale massima (24 anni) e quella minima (3 anni) che, in caso di concessione delle attenuanti o di ricorso a riti alternativi, potrebbe scendere ulteriormente, lasciando al giudice un margine talmente ampio da rendere quasi arbitrario il suo potere di determinazione della pena.

Per questi motivi non stupisce che la Corte costituzionale, nel ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 262 c.p., abbia scritto: “(…) resta comunque auspicabile che il legislatore si faccia carico dell’esigenza di una revisione complessiva della materia in esame: esigenza avvertita, per vero, già all’epoca dell’emanazione della legge n. 801 del 1977, il cui art. 18 assegnava carattere di “transitorietà” al regime delineato dal titolo I del libro II del codice penale, in vista dell’emanazione di una “nuova legge organica relativa alla materia del segreto” (Cort.Cost. n. 295/2002).

Siamo finalmente giunti al punto nodale.

4. Chi è competente ad attribuire i vincoli di segretezza?

Se non stupiscono le parole della Consulta, a stupire, invece, e non poco, è la circostanza che ancora oggi si continuino a utilizzare fonti di natura regolamentare per disciplinare queste delicate materie, a forte connotazione politica, e addirittura per espanderne i perimetri di competenza. Non mi riferisco solo all’ulteriore categoria di “Informazioni a Diffusione Esclusiva”, introdotta dal D.P.C.M. n. 4/2011, di cui non v’è traccia nella legge n. 124/2007. Categoria che si somma a quella delle “Informazioni Non Classificate Controllate (INCC)” (introdotta da un precedente D.P.C.M.) e insieme vanno ad aggiungersi alle preesistenti categorie già trattate (riservate, riservatissime, segrete, e segretissime).

Mi riferisco, in particolare, al DPCM n. 5 del 6 novembre 2015, il quale ha previsto che il vincolo di segretezza possa essere apposto addirittura anche da un “operatore economico”, su delega conferitagli dall’Autorità competente[10]. Ricordo, nel caso ce ne fosse bisogno, che il vincolo è un ordine di tacere, dal quale derivano una serie di obblighi per chi lo riceve e di garanzie per chi lo emana. Probabilmente siamo l’unico Paese che permette a un ‘operatore economico’ di apporre un vincolo di riservatezza ascrivibile alla tutela di interessi pubblici, presidiato da una norma penale il cui limite massimo edittale è da omicidio volontario.

Notoriamente l’operatore economico non giura fedeltà ai valori della Costituzione, semmai sarà fedele agli interessi del mercato e del profitto. Egli si “colloca al di fuori dell’ordinamento delle Forze armate, esclusivamente preposte alla difesa della Patria”.

Lo strumento è potente, molto potente, in quanto potrebbe consentire di eludere divieti nazionali e vincoli internazionali. Nessuno, infatti, si sognerebbe di disattendere l’ordine di tacere, sapendo di rischiare fino a 24 anni di prigione. «Questo è lo spauracchio!»

Ragioniamo per assurdo e ipotizziamo che l’industria metallurgica Alfa, accreditata presso la difesa, produca ed esporti padelle e attrezzi agricoli (ad esempio, trattori, vanghe). In teoria, potrebbe decidere dall’oggi al domani di limare i bordi delle padelle per trasformarle in scudi e affilare le lame delle vanghe per trasformarle in lance, o peggio, trasformare i trattori in carri armati (l’opposto di quanto annunciato da profeta Elia!). A questo punto, sempre in astratto, potrebbe, avendone le prerogative, apporre alla commessa un vincolo di segretezza, con tutte le garanzie che ne derivano.

Agli occhi dell’opinione pubblica l’industria Alfa apparirebbe avere nobili fini poiché impiegata a esportare civiltà e progresso.

Un’ipotesi, probabilmente, remota e un tantino provocatoria, ad ogni modo è concreto il rischio che un uso improprio del “potere di stampigliatura” possa alterare la personalità della Repubblica e incidere sul libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato.

Ma v’è di più. Tale rischio è drogato dalla condizione di obbedienza cieca e assoluta cui sono relegati i cittadini-militari italiani. Per un ampio ed esauriente approfondimento sul punto, clicca QUI.

A questo punto il lettore attento avrà capito anche i motivi per i quali una certa corrente di pensiero, anzi d’interesse, si opponga tenacemente all’estensione ai militari del diritto di costituire associazioni a carattere sindacale, asserendo che ciò possa nuocere alla coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare.

Come già ribadito più volte[11], il riconoscimento del diritto non ha nulla a che vedere con la coesione, men che meno, con la neutralità. Semmai, sarà il mancato riconoscimento dei diritti associativi a costituire, in astratto, una minaccia per la neutralità dell’ordinamento militare.

5. Conclusioni

Alla luce di tutto quanto fin qui esposto, auspico che

- sia depennato dal DPCM n. 5/2015 il primo comma dell’art. 41;

- sia espunta dal codice penale la “norma-spauracchio” poiché in contrasto con la Carta Costituzionale[12];

- l’intera disciplina penale del segreto di Stato sia riformata attraverso la rivisitazione della bipartizione segreto di Stato e notizie riservate;

- sia affidata a una legge ordinaria la salvaguardia del segreto e siano riformati gli apparati di sicurezza.

a) La legge sulla salvaguardia del segreto dovrebbe:

- disciplinare le procedure di classificazione e declassificazione;

- individuare le fattispecie meritevoli di segretazione secondo criteri oggettivi e rispondenti al danno effettivo che potrebbe derivarne dalla loro strumentale divulgazione;

- non accorpare in unico calderone il segreto politico, industriale, militare, e finanziario;

- stabilire chi può apporre una classifica o qualifica di segretezza assumendone la relativa responsabilità personale (e non una generica responsabilità d’Ufficio).

b) La legge di riforma dei servizi, invece, dovrebbe:

- imporre l’obbligo di riferire all'A.G. entro 48 ore i fatti costituenti reato di cui si viene a conoscenza;

- eliminare ogni premio e indennità (di cravatta) che potrebbero costituire strumenti di ricatto interni;

- prevedere bilanci riservati e rendicontati da una speciale Sezione della Corte Conti;

- prevedere l’unificazione dei servizi civili e militari e affidarne la direzione e il coordinamento ad un team di esperti in materia di informazione e sicurezza che abbiano conseguito master e specializzazioni in materie quali intelligence, counterintelligence, humint (HUMan INTelligence), elint (ELectronic-signals INTelligence), sigint (SIGnals INTelligence) e così via. I militari, benché molto efficienti per ricoprire ruoli esecutivi e/o operativi, ritengo che siano assolutamente inidonei a rivestire incarichi di comando, in quanto affetti dalla “sindrome dell’obbedienza assoluta” che contraggono nel corso del loro percorso formativo professionale. L’agente segreto deve avere una forma mentis che gli consenta di dire anche qualche “signornò”, ricorrendone i presupposti, al potere politico, economico, finanziario o straniero con cui si relaziona. E i militari, purtroppo, non offrono tali garanzie a causa della loro mentalità.

Infatti, sin dall’arruolamento la preoccupazione principale di ogni militare, che abbia a cuore la sua carriera, è quella di emergere per fedeltà e devozione al capo. Ai fini della progressione di carriera, più della competenza e delle capacità, conta il giudizio del superiore, il quale gode della più ampia discrezionalità nel formularlo[13] (giudizi annuali e note premiali: elogi ed encomi). Tale circostanza condiziona fortemente il carattere del militare e anestetizza il suo pensiero critico, fondamentale per garantire un’obbedienza che sia anche consapevole.  

Post scriptum

Questo scritto ha trovato spunto da un commento postato su facebook, perciò mi piace concluderlo con un post ripreso anch’esso dai social network, precisamente da un blog denominato ‘poetimigranti’. L’avrà scritto, probabilmente, un migrante in fuga da quei Paesi in cui si esporta democrazia e civiltà.

Seguiranno le parole di un grande profeta contemporaneo, che nelle sue riflessioni va sempre al cuore dei problemi.

«La morale della guerra ...

Un missile che costa 100mila dollari, lanciato da un aereo che costa 20 milioni, e che vola con il costo di 6mila dollari all'ora, per uccidere gente che vive con meno di un dollaro al giorno ...  Questa è ciò che chiamano guerra.»

Papa Francesco: «Il traffico delle armi è terribile, è uno degli affari più forti in questo momento. L'anno scorso, a settembre, si diceva che la Siria aveva le armi chimiche; io credo che la Siria non fosse in grado di farsi le armi chimiche. Chi gliele ha vendute? Forse alcuni di quelli che poi l’accusavano di averle? Su questo affare delle armi c'è tanto mistero» (30 novembre 2014, sul volo di ritorno dalla Turchia).

Cleto Iafrate

Direttore del “Laboratorio delle idee” di Ficiesse

 

CONTRIBUTI CORRELATI:

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QUALE PROFILO PER I CUSTODI DEL SEGRETO? QUELLA MANCATA TRASPARENZA NELLA CONCESSIONE DEL NULLA OSTA DI SICUREZZA AL MINISTERO DELL'ECONOMIA

 

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[3] Cass. Pen. Sez. I, 10-12-2001, n. 3348 in Riv. Pen., 2002, 483.

[4] Cassio Longino è il centurione romano che ha comandato le guardie poste a sorvegliare il sepolcro di Gesù. Se ne parla anche nei vangeli: “Ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute.” (Mt.28,11-15). Secondo la tradizione, Cassio Longino si oppose e perciò i sommi sacerdoti (veri detentori occulti del potere) chiesero la sua testa a Pilato; il quale, per non perdere i favori di Cesare, gliela concesse. Longino fu accusato e giustiziato per ‘tradimento’. Nella diocesi di Mantova la memoria di San Longino martire si celebra il 15 marzo di ogni anno.

[5] Art. 19, comma 1, D.P.C.M. n. 5/2015 e art. 4, D.P.C.M. n. 7/2009.

[6] Art. 4, D.P.C.M. n. 7/2009 e art. 19, comma 1, D.P.C.M. n. 5/2015.

[7] Così si esprimeva la Relazione allegata al codice penale tuttora vigente.

[9]“La classifica di segretezza non può giustificare il rifiuto di esibizione dei documenti richiesti dall’Autorità giudiziaria, ma soltanto giustificare particolari cautele in ordine alla tutela della riservatezza dei terzi e alla difesa della sicurezza pubblica. Conseguentemente l’amministrazione, a fronte di un ordine di ostensione da parte del giudice, è tenuta a fornire con immediatezza al magistrato tutti gli elementi utili. (…) In conclusione, salvo che non sia apposto il segreto di Stato, l’amministrazione non potrà opporre vincoli derivanti da valutazioni compiute da organi amministrativi, compreso l’oscuramento di parte dei documenti, se non condivisa dal giudice, e dovrà attenersi alle indicazioni di quest’ultimo” (FONTE: Giornale Dir. Amm., 2014, 12, 1208).

[10] Art. 41, comma 1, DPCM n. 5 del 6 novembre 2015: Nell'ambito dei settori di cui all'art. 40, l'autorità competente, individuata ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 35 e dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, definisce le informazioni e i documenti, ovvero le categorie di informazioni e documenti, su cui apporre il vincolo di diffusione esclusiva di cui all'art. 1, lettera v) anche per il tramite di apposita delega conferita all'operatore economico.”

[12] La proposta non è del tutto assurda. Si consideri che anche in dottrina si è sostenuto che dopo la L. 801/1977, la categoria delle notizie riservate non avrebbe più diritto di cittadinanza nell’ordinamento penale: «Se è indubitabile che la nuova disciplina ha ridisegnato, in linea con le indicazioni costituzionali, l’area del segreto penalmente rilevante, si deve allora prendere necessariamente atto che le notizie riservate si pongono in posizione antitetica rispetto al segreto quanto a fondamento e giustificazione. Una conferma evidente si ricava dalla disciplina processuale: il testo dell’art. 202 c.p.p. prende in considerazione solo il segreto, a differenza del testo originario del codice previgente che si riferiva anche alle notizie riservate» (Fidanca-Musco, Diritto penale, parte speciale, I, Bologna, 2002, 61 e segg.).

[13] Per rendere l’idea dell’ampia discrezionalità che è alla base della progressione delle carriere, riporto la vicenda di un finanziere, che ho conosciuto molto da vicino. Il militare si è visto archiviare, per carenza di requisiti, la domanda di partecipazione ad un concorso interno per sottufficiali solo perché non aveva riportato nell’ultimo triennio un giudizio caratteristico di almeno superiore alla madia. Si consideri che il finanziere, quattro anni prima, si era laureato, senza crediti,  in Economia e Commercio, nonostante ciò, la sua cultura generale era stata valutata con minor pregio di quella “vasta e profonda” dei suoi colleghi che avevano solo la quinta elementare.

 


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