ILFATTOQUOTIDIANO.IT: FISCO, CONTROLLI IN PICCHIATA E IL 34% DEGLI EVASORI SCOPERTI NON PAGA. PERCHÉ IN ITALIA “È RAZIONALE NON PAGARE LE TASSE”

mercoledì 04 ottobre 2017

A dirlo è Massimo Romano, il primo direttore dell'Agenzia delle entrate. Le analisi della Corte dei Conti raccolte dal pm Di Vizio lo dimostrano. Le risorse umane dedicate agli accertamenti sono calate del 6% in 6 anni. Le indagini finanziarie per scovare chi dichiara poco ma ha un conto in banca florido sono crollate dell'85% in 4 anni. Le depenalizzazioni del governo Renzi e la voluntary hanno garantito immunità. E l'evasione è arrivata a sottrarre allo Stato più di 110 miliardi l'anno

di Chiara Brusini | 4 ottobre 2017

Zero. Neanche un contribuente “a rischio evasione” individuato dall’Agenzia delle Entrate, che pure da diversi anni ha a disposizione un archivio con le informazioni su flussi e saldi dei conti correnti degli italiani. E avrebbe dovuto usarle per scovare chi in banca ha molto più di quanto sarebbe giustificato dai redditi dichiarati. “Norma totalmente disattesa”, ha rilevato la Corte dei Conti in un rapporto diffuso a fine settembre, sottolineando il ministero dell’Economia non ha mosso un dito per sollecitare l’ente suo vigilato a sfruttare quella “immensa mole” di dati. Ma il caso dell’Anagrafe tributaria è solo la punta dell’iceberg: i rapporti dei magistrati contabili descrivono un sistema di riscossione che definire poco efficace è un eufemismo. E che negli ultimi anni è stato ulteriormente depotenziato: dal 2011 sono diminuite del 6,6% le risorse umane dedicate agli accertamenti e le indagini finanziarie delle Entrate sono calate dell 80%. Intanto tasse e contributi non versati sono arrivati a sottrarre alle casse dello Stato più di 110 miliardi di euro l’anno a fronte dei 581 miliardi di entrate 2016: l’equivalente di cinque manovre finanziarie e poco meno del costo annuale della sanità pubblica. “C’è un problema di ingegneria del sistema: con 300mila accertamenti ordinari l’anno, il rischio è talmente basso che per un autonomo è razionale evadere”, sintetizza Massimo Romano, che dal 2001 al 2002 è stato il primo direttore della (allora neonata) Agenzia delle Entrate e l’ha guidata di nuovo dal 2006 al 2008.

NEI BAR UN CONTROLLO OGNI 30 ANNI, PER I MEDICI UNO OGNI 91 ANNI

Non esagera, Romano, che a cavallo dell’insediamento del quarto governo Berlusconi si dimise tra le polemiche dopo aver disposto la pubblicazione online di tutte le dichiarazioni dei redditi per il 2005. L’anno scorso, ha calcolato la Corte dei Conti, i contribuenti controllati sono stati l‘1,9% del totale. Secondo la magistratura contabile il titolare di un bar o di una gelateria rischia, si fa per dire, una visita fiscale ogni 30 anni. I ristoratori sono soggetti a un controllo ogni 24 anni, le imprese dell’edilizia ogni 26. I medici possono dormire sonni ancora più tranquilli: per loro i controlli arrivano in media una volta ogni 91 anni. Non a caso i livelli di evasione restano sostanzialmente costanti da un anno all’altro. Stando alla Relazione sull’evasione allegata alla Nota di aggiornamento al Def, varata pochi giorni fa dal governo, lavoratori autonomi e imprese mostrano una propensione all’inadempimento dell’Irpef che supera il 67%, cioè quasi 7 su 10 non pagano il dovuto. E l’Italia è al primo posto nell’Unione europea per Iva evasa: 35 miliardi nel 2015. In lieve calo sull’anno prima per effetto delle nuove norme sul pagamento diretto da parte della pubblica amministrazione (split payment), sull’inversione del pagamento (reverse charge) in alcuni settori e sulla comunicazione telematica dei dati delle fatture. Ma la cifra resta circa il 25% dell’imposta sul valore aggiunto evasa complessivamente nell’Unione, mentre il pil italiano è sì e no il 10% di quello Ue.

“Il piccolo contribuente che riceve un controllo tende comunque a tornare ad evadere. Del resto, se l’azione di controllo non è sistematica non ha alcuna efficacia deterrente“, spiega a ilfattoquotidiano.it Fabio Di Vizio, sostituto procuratore a Pistoia, titolare di molte indagini sul riciclaggio ed ex componente del comitato degli esperti dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) presso la Banca d’Italia. “Lo scambio automatico di informazioni, per esempio, è un incentivo a mettersi in regola solo se poi i dati vengono utilizzati”. Di Vizio, durante la rassegna InsolvenzFest organizzata dall’Osservatorio sulle crisi di impresa, ha presentato una corposa relazione sull’evasione fiscale basata sui rapporti della Corte dei Conti, i dati Istat e Bankitalia e i report annuali della commissione istituita dal Tesoro. Quarantanove pagine che danno conto nel dettaglio “dell’insuccesso delle politiche fiscali e dell’irrisolto contrasto tra le diverse esigenze in campo” dopo “oltre ottanta condoni fiscali in poco più di 150 anni di storia unitaria”.

ADDIO GRANDE FRATELLO: INDAGINI FINANZIARIE GIÙ DELL'85% IN 4 ANNI

“Le principali linee di intervento che il governo ha avviato e si impegna a proseguire, per lotta all’evasione, sono l’analisi del rischio e l’incrocio delle banche dati“, sosteneva il ministro Padoan il 28 gennaio 2016. Ma nei numeri non si trova traccia dell’occhiuto Grande fratello fiscale in grado di stanare facilmente chi ha un conto in banca più che florido pur dichiarando pochissimo. Nel 2016 le indagini finanziarie – controlli su conti correnti e investimenti a fronte di anomalie emerse dall’Anagrafe tributaria – sono state solo 2.846 contro le 18.880 del 2012, quando a palazzo Chigi c’erano i “tecnici” di Monti: l’85% in meno. Nel 2013, con Letta al governo, erano scese a 14.123. Nel 2014 a 11.479. Nel frattempo si è insediato l’esecutivo di Matteo Renzi, che ha rinnovato i vertici dell’Agenzia e annunciato un cambio di strategia nella lotta all’evasione: basta blitz, meglio incentivare l’adempimento spontaneo e puntare sugli strumenti informatici. Ma nel 2015, quando il governo Renzi ha depenalizzato abuso del diritto ed elusione, si sono registrate solo 4.793 indagini, -58%. Nel 2016 ancora giù: 2.846. Per il 2017 il dato provvisorio è di 1.601. Un “chiaro sottoutilizzo”, annota la Corte dei Conti, prendendo atto del “progressivo indebolimento dell’attività di controllo fiscale, anche alla luce dell’enorme potenziale informativo assicurato dall’anagrafe dei rapporti finanziari” costata ai contribuenti (quelli che le tasse le pagano) 10 milioni di euro. Il Tesoro, che la relazione accusa di non essere mai intervenuto per sollecitare l’Agenzia a elaborare le liste selettive dei potenziali evasori e effettuare le analisi del rischio evasione previste dalla legge di Stabilità per il 2015, non ha risposto alle ripetute richieste del fattoquotidiano.it di spiegare la scelta.

Intanto sono diventati “del tutto marginali“, scrivono i magistrati contabili, pure gli accertamenti sintetici su chi risulta proprietario di navi, aerei o auto di lusso e non ha dichiarato abbastanza da giustificare l’acquisto: nel 2016 sono stati 2.812, il 51% in meno rispetto al 2015 e il 74,6% in meno sul 2014. Di accertamenti ordinari ne sono stati fatti 523.851, ma “se si escludono quelli collegati alla voluntary disclosure (323.861), risultano in diminuzione del 33% rispetto all’anno precedente, passando da 301.996 a 199.990“. E il “fisco amico” su cui puntava Renzi che risultati ha dato? “A fronte di 403mila lettere di invito a regolarizzare la propria posizione inviate nel 2016″, riferisce Di Vizio, “il gettito è stato di poco più di 128 milioni. Rispetto ai 19 miliardi di accertato è nulla. Del resto è chiaro che i contribuenti che volutamente non pagano le tasse sono molti di più rispetto a quanti sbagliano nel compilare la dichiarazione”.

DOPO LE DEPENALIZZAZIONI DI RENZI CROLLANO LE VIOLAZIONI ACCERTATE DALLA GDF

Nel frattempo anche le violazioni accertate dalla Guardia di Finanza sono calate sensibilmente rispetto alle 17.802 del 2014: nel 2015 sono state 14.633, l’anno scorso solo 11.577, il 21% in meno. Giù del 20%, a 2.965, quelle per omessa dichiarazione. Precipitate del 53% quelle per omesso versamento Iva e del 49%, a 1.010, quelle per dichiarazione infedele. Tutto come da attese: il governo Renzi, con i decreti attuativi della delega fiscale, ha depenalizzato le dichiarazioni infedeli sotto i 150mila euro (prima con 50mila si rischiava il carcere​)​​, così come la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici se l’imposta evasa è inferiore a 30mila euro. E ha aumentato di cinque volte, da 50mila a 250mila euro, la soglia di punibilità dell’omesso versamento Iva. Nel suo Bilancio di responsabilità sociale 2016 la Procura di Milano, guidata da Francesco Greco, ha scritto che il calo del 50% dei reati fiscali riscontrati nella provincia per effetto della depenalizzazione pone “numerosi interrogativi sugli esiti della manovra realizzata con la delega fiscale” anche perché “la nuova fattispecie della frode fiscale (art. 3 d.lgs.74/2000) che doveva compensare almeno in parte, da un lato, la riduzione delle condotte penalmente rilevanti della dichiarazione infedele e, dall’altro, i casi fraudolenti di manovre elusive definite di “abuso del diritto”, sembra sostanzialmente inefficace“.

Quanto alle violazioni del limite all’uso del contante, che lo stesso governo Renzi ha aumentato da mille a 3mila euro, le violazioni riscontrate sono state solo 120 nel 2012, 60 nel 2013 e 44 nel 2014. “Appare eclatante”, è il commento di Di Vizio, “come la lamentata invasività del sistema di vincoli e controllo sia scissa dalla realtà“. Intanto restiamo il Paese europeo con la più alta quota di transazioni concluse cash: intorno al 90 per cento.

I RECUPERI RECORD? VIRTUALI: IL 34% DI CHI VIENE SCOPERTO NON PAGA

Quando poi il fisco, nonostante tutto, incastra qualcuno, non è affatto detto che riesca ad incassare il dovuto. “Nel 34% dei casi e per il 38% delle cifre in ballo l’accertamento si definisce per inerzia del contribuente. Cioè chi ha ricevuto l’avviso non aderisce né fa ricorso, ma nemmeno paga”, continua Di Vizio. Eppure questa evasione sulla carta risulta “accertata” e finisce nel calderone delle somme ufficialmente recuperate: nel 2016 19 miliardi contando anche i 4,1 arrivati dalla procedura di rientro dei capitali nascosti all’estero a condizioni vantaggiosissime (voluntary disclosure). “Un record”, dissero l’allora direttore delle Entrate Rossella Orlandi e Padoan. Record di accertato ma non di incassi per lo Stato. La controprova è nella Nota di aggiornamento al Def appena approvata dal governo, da cui si apprende che “i versamenti risultanti a consuntivo 2016” derivanti dal contrasto dell’evasione ammontano a solo 11,48 miliardi. Nel 2014, si legge nell’aggiornamento al Def di quell’anno, erano stati 11,7. I progressi vantati, dunque, sono solo virtuali.

Sull’efficacia della riscossione da parte della oggi defunta Equitalia dice molto, peraltro, il confronto tra la massa dei ruoli affidati all’ente tra 2000 e 2016, che valgono 817 miliardi, e la cifra ritenuta “ragionevolmente” recuperabile: solo 51,9 miliardi. Perché come spiegato da Ernesto Maria Ruffini, direttore delle Entrate dallo scorso giugno, 147 sono dovuti da soggetti falliti, 85 da persone decedute o imprese cessate e 95 da nullatenenti, mentre su 348 miliardi sono già state tentate invano azioni di recupero e 32,7 miliardi non possono essere aggrediti “per effetto di norme a favore dei contribuenti”. Per aumentare gli incassi, spiega Di Vizio, bisognerebbe puntare di più sugli accertamenti a carico dei grandi contribuenti: “Sono quelli che più facilmente si concludono con la riscossione. Ma se ne fanno pochi”. Nel 2016 gli accertamenti ordinari su grandi gruppi ai fini di imposte sui redditi, Irap e Iva sono stati 2.367, lo 0,4% del totale, ma hanno fatto emergere ben 3,4 miliardi di maggiori tasse dovute contro i 4,2 portati alla luce da oltre 11mila controlli sulle medie imprese. “Buona parte dell’azione di controllo posta in essere”, commenta la Corte nella relazione sul Rendiconto generale dello Stato, è di “modesta proficuità“: il 49% dei 746mila controlli complessivi ha dato luogo a un recupero (potenziale) di maggiore imposta “non superiore a 1.549 euro“.

ENTRATE SENZA CATENA DI COMANDO: "A RISCHIO IL FUTURO DELLE FINANZE PUBBLICHE"

Di per sé, quella di depenalizzare i reati fiscali “minori” potrebbe essere una valida scelta di Realpolitik. Se accompagnata dal potenziamento delle strutture dedicate ai controlli, con l’obiettivo di recuperare le somme evase e rimpinguare il bilancio dello Stato. Non è andata così: proprio nel 2015, ricorda Di Vizio, “dopo una legittima pronuncia della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la nomina di 870 dirigenti l’Agenzia si è trovata senza catena di comando”. Il concorso ad hoc necessario per sanare la situazione è stato via via rimandato con il risultato che ora “chi firma un verbale di accertamento si chiede se qualcuno un giorno gli contesterà di averlo sottoscritto abusivamente“. Non solo: negli ultimi sei anni le risorse umane impegnate nelle attività di accertamento e controllo sono diminuite del 6,6%. Pochi giorni fa Ruffini, sentito dalla commissione Finanze del Senato, ha avvertito che una riforma delle agenzie fiscali è “indispensabile e urgente”: in caso contrario “è a rischio il futuro delle agenzie e con esso quello del nostro sistema tributario, delle nostre finanze pubbliche, del nostro stesso vivere civile“. Rossella Orlandi, che l’ha preceduto alla guida dell’Agenzia, aveva lanciato un grido d’allarme molto simile ben due anni fa. Con l’unico risultato di incassare dall’allora viceministro dell’Economia Enrico Zanetti una richiesta di dimissioni.

DAL "FISCO AMICO" SOLO 128 MILIONI. E LA VOLUNTARY HA GARANTITO IMMUNITÀ AGLI EVASORI

Nel frattempo è stata riaperta la procedura di regolarizzazione dei capitali non dichiarati detenuti sia in Italia sia all’estero (voluntary disclosure), con l’effetto collaterale di continuare ad assorbire risorse che le Entrate avrebbero potuto dedicare ai controlli ordinari. “Nessuna sanatoria, gli evasori pagheranno il dovuto tranne gli interessi di mora”, puntualizzò Padoan rispondendo alle critiche. Di Vizio, che ha condotto diverse indagini per riciclaggio, analizzando i dati sulle istanze presentate nel 2015 ha scoperto però che “l’immagine dell’evasore fiscale tratteggiata dal gettito della voluntary” è “davvero inverosimile“: un pensionato con risparmi accumulati all’estero solo grazie a redditi da lavoro e assegni pensionistici oppure beneficiario di eredità accumulate nello stesso modo. O al massimo vendendo immobili esteri a loro volta ereditati.

Praticamente assenti gli imprenditori, gli amministratori di società di capitali, i professionisti: di fatto tutte le attività soggette al pagamento dell’Iva, che infatti ha costituito solo l’1,4% del gettito totale della voluntary. Non solo: tutti i quasi 62 miliardi fatti emergere nel 2015 (sui quali lo Stato ha riscosso solo 4 miliardi), stando alle informazioni delle Entrate, sarebbero stati accumulati prima del 2010. “La scoperta ha del sensazionale“, chiosa ironicamente Di Vizio: se questi dati fossero indicativi vorrebbe dire che “le società non evadono, non all’estero, o comunque evadono infinitamente meno delle persone fisiche” e che “la base imponibile Irpef, Ires ed Iva interessata da evasione in tempi più recenti non ha trovato rifugio nei conti esteri”. La realtà ovviamente è un’altra: nel caso in cui il capitale all’estero fosse stato costituito prima del 2010 e dunque non più passibile di accertamento, la legge esonerava il contribuente dall’onere di spiegare come erano state realizzate le violazioni fatte emergere. Gli evasori ne hanno approfittato, dichiarando nella maggior parte dei casi che i soldi erano “vecchi”. Risultato: immunità penale non solo per i riciclatori, come esplicitamente previsto dalla normativa, ma anche per bancarottieri, amministratori colpevoli di false comunicazioni sociali e contribuenti che hanno usato prestanome per sottrarre i loro beni al fisco.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/04/fisco-controlli-in-picchiata-e-il-34-degli-evasori-scoperti-non-paga-perche-in-italia-e-razionale-non-pagare-le-tasse/3876930/


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