INCOMPATIBILE LA CARICA DI SINDACALISTA DI POLIZIA CON QUELLA DI PARLAMENTARE. IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO

lunedì 19 novembre 2018

INCOMPATIBILE LA CARICA DI SINDACALISTA DI POLIZIA CON QUELLA DI PARLAMENTARE, IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO

Pubblichiamo unìinteressante parere (reperibile sul sito ufficiale della giustizia amministrativa) del Consiglio di Stato in ordine ai rapporti tra la carica di parlamentare e quella di sindacalista di polizia.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 6 giugno 2018

 

NUMERO AFFARE 00793/2018

OGGETTO:

Ministero dell’interno.

Personale della Polizia di Stato e agibilità sindacale in costanza di mandato parlamentare; sospensione del procedimento disciplinare attivato prima dell’elezione al parlamento nazionale. QUESITO.

LA SEZIONE

Vista la relazione18 aprile 2018 prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 con la quale il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo sopra indicato;

esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo.

Premesso e considerato

Il Capo della Polizia di Stato - direttore generale della pubblica sicurezza - con nota prot. n. 555/RS/01/10/2/001861 del 18 aprile 2018 ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine ai seguenti quesiti:

1. “Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contemporaneamente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

2. “Se il procedimento disciplinare attivato in un momento antecedente alla candidatura e alla successiva elezione di un appartenente alla Polizia di Stato debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1° Quesito

Se l’appartenente alla Polizia di Stato in aspettativa per candidatura o per mandato parlamentare possa contestualmente ricoprire cariche sindacali ed esercitare le connesse prerogative”.

1. Quadro giuridico di riferimento.

Con legge 1 aprile 1981 n. 121 (!Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza”) e con il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982 n. 335 (Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia) è stata dettata, a motivo della particolarità dei compiti istituzionali espletati, una disciplina autonoma per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Rilevano, ai fini in esame, però, anche alcune specifiche norme costituzionali.

In particolare, ai sensi dell’art. 98 della Costituzione: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Relativamente alle norme di comportamento, l’art. 81 della legge 1° aprile 1981 n. 121 dispone che “Gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l’assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall’articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni.

Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell’ambito dei rispettivi uffici e in abito civile. Essi, comunque non possono prestare servizio nell'ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni, per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse”.

Il successivo art. 82, relativamente ai diritti sindacali, prevede che Gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati.

Essi non possono iscriversi a sindacati diversi da quelli del personale di polizia né assumere la rappresentanza di altri lavoratori.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, fuori dell’orario di servizio, possono tenere riunioni anche in divisa:

a) in locali di pertinenza dell’amministrazione, messi a disposizione dalla stessa, che fissa le modalità d’uso;

b) in luoghi aperti al pubblico.

Possono tenersi riunioni durante l’orario di servizio nei limiti di dieci ore annue. I dirigenti della Polizia di Stato hanno facoltà di fissare speciali modalità di tempo e di luogo per il loro svolgimento”.

In merito alla disciplina dei sindacati della Polizia di Stato, l’art. 83 della legge n. 121/1981 prevede che : “I sindacati del personale della Polizia di Stato sono formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza, e ne tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi.

Essi non possono aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali”.

Gli effetti della candidatura politiche e amministrative sono disciplinati dall’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 secondo cui “Il personale di cui al presente decreto legislativo, candidato alle elezioni politiche ed amministrative, non può prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Il personale non può prestare servizio nella circoscrizione ove è stato eletto per tutta la durata del mandato amministrativo o politico, e, comunque, per un periodo non inferiore a tre anni, e deve essere trasferito nella sede più vicina, compatibilmente con la qualifica rivestita.

Il personale eletto a cariche amministrative viene collocato in aspettativa, a domanda, per tutta la durata del mandato amministrativo, con il trattamento economico previsto dal’art. 3 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078.

Detto personale, ove non si avvalga della facoltà prevista dal comma precedente, è autorizzato ad assentarsi dal servizio dal Capo dell’ufficio o reparto nel quale presta servizio, per il tempo necessario all’espletamento del mandato amministrativo, con diritto oltre che al trattamento economico ordinario anche agli assegni, alle indennità per servizi e funzioni di carattere speciale, ai compensi per speciali prestazioni ed al compenso per lavoro straordinario, in relazione all’orario di servizio prestato ed ai servizi di istituto effettivamente svolti.

I periodi di aspettativa e di assenza sono considerati a tutti i fini come servizio effettivamente prestato”.

2. Le indicazioni del Ministero dell’interno

Il Ministero dell’interno ritiene che, in relazione all’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 non ci sia spazio in termini di discrezionalità né all’amministrazione né al dipendente circa il collegamento in aspettativa dell’appartenente alla Polizia di Stato eletto al parlamento nazionale per la durata del mandato. “La finalità di questa disposizione squaderna già gli essenziali interessi sottesi immediatamente individuabili nella tutela dell’autonomia, dell’indipendenza e della libertà di mandato e, specularmente, nel buon funzionamento, nell’esclusività e nella imparzialità della pubblica amministrazione di appartenenza”.

Il quadro giuridico di riferimento, esaminato nella sua globalità ed in modo armonico, certamente non recide il legame con l’amministrazione ma funge “da elemento sospensivo del rapporto di impiego, esonerando i dipendenti in aspettativa dall’obbligo di esercitare le proprie funzioni e prestare servizio nell’amministrazione di pertinenza”.

In altri termini, secondo il Ministero richiedente, l’effetto del provvedimento è quello di lasciare sopravvivere il rapporto di impiego “congelando tuttavia le altre prerogative connesse all’azione e, quindi, per quanto di interesse, allo status di appartenente alla Polizia di Stato”.

Ritiene, poi, che la ratio sia quella di “segnare uno iato tra candidato-eletto e amministrazione esigenza che il legislatore ha avvertito anche nel momento successivo alla conclusione della competizione elettorale, tanto da prevedere una clausola di incapacità temporanea a prestare servizio nell’ambito territoriale interessato alla consultazione”.

Il sistema enunciato dal legislatore (pubblica amministrazione-mandato politico) è espressione del principio della separazione dei poteri e conferma “l’indisponibile alternatività tra funzioni amministrazione e funzione di legislazione”.

3. Considerazioni generali

3.1.Indubbiamente, la primaria ed automatica conseguenza della collocazione in aspettativa di un dipendente pubblico in attuazione di una previsione legislativa è costituita, durante l’intero arco temporale del mandato parlamentare, dal mancato esercizio delle sue funzioni derivanti dal rapporto di servizio. Ne segue che il dipendente eletto in Parlamento non può esercitare le funzioni connesse al suo status, di cui resta comunque titolare e, quindi, ottemperare agli obblighi imposti dall’ordinamento dell’amministrazione di provenienza.

Invero, il rapporto organico o d’impiego che s’instaura all’atto dell’assunzione cessa soltanto per il sopraggiungere di talune vicende interruttive; mentre il rapporto funzionaleo (di servizio) concerne lo svolgimento delle funzioni all’interno dell’Amministrazione d’appartenenza per cui può subire nel corso del tempo modificazioni, formali e sostanziali, che rappresentano la storia lavorativa dell’impiegato all’interno della medesima Amministrazione.

In tale contesto l’attività sindacale nella Polizia di Stato è manifestazione di una delle tante modalità in cui può esprimersi il rapporto di servizio, tanto che, per le persone poste in aspettativa per motivi sindacali, com’è chiarito nella relazione del ministero dell’interno, “il rapporto di servizio nell’esercizio di attività sindacali si traduce proprio in toto nell’esercizio esclusivo dell’attività sindacale, nei termini concreti che ciascuna O.S. e ciascun sindacalista ritenga di voler adottare”.

3.2 Come considerazione di carattere generale si premette che, ai fini del presente parere, non viene formulata nessuna considerazione o valutazione in ordine alle prerogative di cui ciascun parlamentare dispone ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione e, in particolare, alle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi del successivo art. 68, primo comma.

3.3. Con riferimento al caso di specie la Sezione evidenzia che, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 “i dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo, e ai Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, il luogo dell’indennità parlamentare e della nuova indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza, che resta a carico della stessa.

Il collocamento in aspettativa ha luogo all’atto della proclamazione degli eletti: di questa legale dei consigli regionali danno comunicazione all’amministrazione di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti”.

Inoltre, l’articolo 53 del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 preclude al personale candidato alle elezioni politiche ed amministrative di prestare servizio per tre anni nell’ambito della circoscrizione nella quale si è presentato come candidato.

Dalle richiamate norme giuridiche emerge una prima considerazione che va ad integrare quanto disposto dall’articolo 98 della Costituzione il quale prevede, per talune categorie, alcune limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici tra le quali rientrano i funzionari e gli agenti della Polizia di Stato.

La norma costituzionale è integrata dalla portata dell’articolo 81 della legge primo aprile 1981, n. 121 che, oltre a esigere che gli appartenenti alle forze di Polizia di Stato si mantengano al di fuori, in ogni circostanza, delle competizioni politiche, prevede, in modo esplicito, che gli stessi “non possono assumere comportamenti che compromettono l’assoluta imparzialità della loro funzione”.

Il requisito dell’imparzialità per chi esercita attività di polizia se, da un lato, non esclude l’esercizio di taluni diritti di elettorato passivo; dall’altro è mediato dalle limitazioni di cui innanzi la cui valutazione non può che competere al legislatore.

In tal modo si è inteso individuare un punto di equilibrio tra i diritti spettanti a ciascun cittadino, tra i quali quello di esercitare i diritti politici e l’esigenza che gli appartenenti alle forze di polizia, nell’esercizio della loro funzioni, assicurino imparzialità e trasparenza, in aderenza alle aspettative dei cittadini i quali confidano che gli appartenenti a tale categoria mantengano una condotta e pongano in essere comportamenti scevri da qualsiasi condizionamento ed improntati esclusivamente al principio dell’assoluta indipendenza.

Il collocamento in aspettativa “ex lege” di un appartenente alle forze di polizia implica, pertanto, che dalla data di nomina a parlamentare fino alla scadenza del mandato, gli è precluso l’esercizio delle funzioni di polizia.

Ferma restando la permanenza della status giuridico e del conseguente rapporto di impiego, l’elezione a parlamentare determina, quindi, la sospensione del rapporto funzionale o di servizio.

3.3 Anche il libero esercizio dei diritti sindacali trova il suo riconoscimento nell’art. 39 della Costituzione secondo cui “L’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”.

Anche in tal caso, però, la norma costituzionale dev’essere integrata dalle disposizioni della legge 1° aprile 1981, n. 121 che, oltre ad esigere dal personale dell’amministrazione della pubblica sicurezza, come già evidenziato, comportamenti improntati all’imparzialità nell’esercizio delle funzioni istituzionali, disciplina, in modo autonomo, anche l’esercizio dei diritti sindacali.

In particolare, va richiamato l’articolo 83, comma 1, della legge n. 121/1981 il quale prevede che i sindacati del personale della polizia di Stato siano formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o in quiescenza.

La medesima norma, poi, oltre ad affidare ai sindacati la tutela degli interessi del personale sancisce, in modo esplicito, il divieto della loro interferenza nella direzione dei servizi o nei compiti d’istituto.

Tale disposizione conferma, in modo inequivoco, la volontà del legislatore di escludere qualsiasi tipo di ingerenza, diretta e indiretta, da parte di persone e di strutture estranee alla Polizia di Stato, prevedendo, inoltre, un’ulteriore limitazione “ideologico-funzionale mercè l’indicazione degli obiettivi dei vari sindacati, riassunti nel comune denominatore della tutela degli interessi degli appartenenti alla Polizia di Stato, peraltro delimitato dal rilevante divieto di non interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi, nascente imprescindibile dovere di assicurare il bene giuridico primario dell’Istituzione Polizia di Stato, che è quello di fornire un servizio tendente alla sicurezza del cittadino e all’ordinato vivere collettivo”.

Le limitazioni introdotte dalla legge n. 121/1981, oltre a riguardare il profilo soggettivo trovano un ulteriore ampliamento nel secondo comma del medesimo art. 83 laddove viene fatto divieto di aderire, affiliarsi, o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

E’, quindi, evidente l’intento del legislatore di evitare, in considerazione delle delicate funzioni di tutela della sicurezza del Paese che l’ordinamento affida alla Polizia di Stato, sia pure nell’ottica dell’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, “interferenze” esterne all’Amministrazione.

3.5. La collocazione in aspettativa dell’Appartenente alla Polizia di Stato, come già evidenziato, comporta la sospensione dell’esercizio delle sue funzioni di “poliziotto” ancorché permanga il rapporto d’impiego con l’Amministrazione.

Ne consegue che una interpretazione dell’art. 83, comma 1, della legge n. 121/1981, armonizzata con le diverse disposizioni del quadro giuridico di riferimento, costituzionalmente orientata, deve indurre a ritenere che, allorquando il legislatore ha previsto che la formazione, la direzione e la rappresentanza possano essere svolte esclusivamente da “appartenenti alla Polizia di Stato in servizio” abbia inteso riferirsi all’esercizio delle funzioni e non al rapporto d’impiego.

Una diversa interpretazione andrebbe a collidere con la ratio del sistema delle limitazioni e potrebbe, sul piano potenziale, pregiudicare l’imparzialità e l’autonomia comportamentale che, per contro, sono requisiti chiaramente enunciati, ed in modo inderogabile, dal legislatore.

La lettura delle norme giuridiche, pertanto, evidenzia una perimetrazione soggettiva ed oggettiva dell’attività sindacale degli appartenenti alla Polizia di Stato fino ad escludere non solo il divieto di partecipazione di soggetti esterni ma anche l’assunzione della rappresentanza in altre categorie di lavoratori.

Il sistema così delineato, in mancanza di una esplicita deroga legislativa, risulta decisamente ‘blindato’ e qualsiasi tentativo di deroga per via interpretativa volto ad ampliarne la perimetrazione subisce il rigore letterale dell’art. 83 della legge n. 121/1981.

D’altra parte, anche a voler considerare autonomi le attività sindacali e il mandato parlamentare – e quindi, prescindere da qualsiasi considerazione in tema di separazione dei poteri – la legittimazione (per tale via) della contemporanea partecipazione sindacale si presterebbe ai dubbi anche sul piano puramente fattuale.

3.6. Nel contempo, però, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 65 della Costituzione “la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore”.

In materia di incompatibilità parlamentare gli articoli 7 e 8 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 prevedono che, qualora esista o si determini per i membri del Parlamento qualcuna delle incompatibilità “previste negli articoli precedenti” gli accertamenti e le istruttorie delle leggi sono di “competenza della Giunta delle elezioni della Camera dei Deputati o del Senato che è investita del caso dalla presidenza della rispettiva assemblea, secondo che trattasi di un deputato di un senatore” qualora non abbiano optato nel termine di 30 fra le cariche che ricoprono e il mandato parlamentare.

In relazione a tale profilo, la Sezione ritiene che competa esclusivamente alla Giunta delle elezioni verificare se l’esercizio di rappresentante sindacale sia compatibile o meno con l’esercizio del mandato parlamentare.

2. Quesito

Il Ministero chiede di conoscere “se il procedimento disciplinare attivato nei confronto di un appartenente alla Polizia di Stato possa proseguire qualora lo stesso sia posto in aspettativa per mandato parlamentare o se tale procedimento debba essere sospeso fino al termine dell’incarico elettivo”.

1.Considerazioni del Ministero

Il Ministero ritiene che il mandato politico sopraggiunto all’avvio del procedimento disciplinare non incida sul perfezionamento del relativo iter e sul mantenimento del potere sanzionatorio in capo all’Amministrazione di appartenenza “anche in considerazione della antecedenza cronologica degli accadimenti per i quali è stato aperto il procedimento disciplinare rispetto all’elezione parlamentare, dell’estraneità dei fatti all’esercizio dell’attività parlamentare e (soprattutto) della permanenza del rapporto organico o d’impiego tra quest’ultima e il dipendenti in aspettativa per mandato parlamentare”.

2. Considerazioni generali

Al riguardo la Corte costituzionale, sia pure con riferimento ad un rappresentante della magistratura, ha statuito “la resistenza della competenza della sezione disciplinare dell’organo di autogoverno della magistratura ad adottare la sanzione disciplinare, attesa la mancanza di un nesso funzionale con la qualità di parlamentare” (sent. 24 giugno 2002 n. 270).

I principi enunciati con la richiamata pronuncia sono certamente applicabili all’ipotesi in cui si verta in materia di procedimento disciplinare instaurato nei confronti del dipendente dell’amministrazione della pubblica sicurezza le cui funzioni sono riconducibili al potere esecutivo.

Tuttavia, il Ministero non fornisce alcuna indicazione in ordine alla condotta che ha innescato l’avvio del procedimento disciplinare, al tipo di violazione contestata e ai riferimenti temporali, come pure sarebbe stato auspicabile al fine di disporre di ulteriori elementi di valutazione.

Come principio generale, l’articolo 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) prevede che “qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata l’azione il penale procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziata, deve essere sospeso”.

Tale principio non è applicabile alla fattispecie oggetto della richiesta di parere in quanto dagli atti non risulta che l’appartenente alla Polizia di Stato sottoposto a procedimento disciplinare sia, nel contempo, anche assoggettato a procedimento penale.

Ne consegue che, al fine di verificare se il procedimento disciplinare debba essere sospeso o meno, è determinante accertare se i fatti per i quali è stato avviato siano ricollegabili, sia pure indirettamente, all’esercizio delle funzioni del mandato parlamentare.

Fermo restando che la potestà disciplinare resta in capo all’Amministrazione di appartenenza, la sospensione si giustificherebbe qualora fosse necessario tutelare la posizione di indipendenza che il Parlamentare acquisisce per effetto dello status assunto a seguito della sua elezione.

Al riguardo la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che ove i comportamenti del parlamentare incolpato, oggetto del conflitto, non siano qualificabili come opinione “espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, non possono essere ricondotti in alcun modo alla sfera della insindacabilità garantita dall’articolo 68, primo comma, della Costituzione” (Corte Costituzionale, sent. 24 giugno 2002, n. 270).

Trattasi, quindi, di un principio di carattere generale e, in quanto tale, estensibile anche all’appartenente alla Polizia di Stato eletto a membro del Parlamento nazionale.

Ne consegue che, ove le condotte addebitate all’appartenente alla Polizia di Stato, ancorché in aspettativa, siano conseguenza di violazione di un dovere collegato esclusivamente a tale suo status - non potendosi qualificare come espressione di opinione nell’esercizio della sua funzione parlamentare- sono al di fuori delle garanzie di cui all’art. 68 della Costituzione.

Detto principio vale, a maggior ragione, qualora, come nel caso di specie, trattasi di condotte poste in essere dall’incolpato in un periodo precedente alla sua elezione in Parlamento.

Laddove le condotte siano ricollegabili esclusivamente allo suo status di appartenente alla Polizia di Stato e all’adempimento dei connessi doveri, e quindi in nessun modo riconducibili alle funzioni di membro del Parlamento successivamente assunte dallo stesso, la sospensione del procedimento disciplinare, nei termini innanzi definiti, non trova copertura costituzionale.

A conferma la Sezione evidenzia che la Corte costituzionale ha avuto più volte modo di precisare che le opinioni espresse “extra moenia” sono coperte da insindacabilità soltanto se assumono una “finalità divulgativa dell’attività parlamentare” in quanto tale insindacabilità è una “qualità che caratterizza, in sé e ovunque, l’opinione espressa dal parlamentare” la quale, proprio per il fondamento costituzionale che l’assiste, “è necessariamente destinata ad operare, oggettivamente e soggettivamente, erga omnes” (Corte costituzionale, sentenza n. 16 dicembre 2011, n. 334).

Tale principio implica che il loro contenuto risulti sostanzialmente corrispondente alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni non essendo sufficiente né “un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale né un mero contesto politico entro cui le dichiarazioni extra moenia possono collocarsi né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppure dibattuti in Parlamento (Corte costituzionale, sent. 20 luglio 2012, n. 205).

Pertanto, ai fini dell'individuazione del perimetro entro il quale riconoscere la garanzia dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento dell'attività parlamentare strettamente intesa, “lo scrutinio deve tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di risalto costituzionale: da un lato, quella di salvaguardare - secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni moderne – l’autonomia e la libertà delle assemblee parlamentari, quali organi di diretta rappresentanza popolare, dalle possibili interferenze di altri poteri; dall’altro, quella di garantire ai singoli il diritto alla tutela della loro dignità di persone, presidiato dall'art. 2 della Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali” (Corte costituzionale, sent. 7 dicembre, 2013, n. 313).

Ad avviso della Corte, invero, una diversa interpretazione della prerogativa dell’insindacabilità dilaterebbe “il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale ma, di fatto, sostanzialmente personale a vantaggio di chi sia stato eletto a membro del Parlamento”.

Pur essendo consapevole che l’attività politica non coincide necessariamente con la funzione parlamentare (posto che, tra l’altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati) è pur sempre necessario un collegamento con le opinioni espresse (e comportamenti posti in essere) con atti della funzione che nel caso specifico non sussiste.

Tale conclusione, come ribadito dalla stessa Corte Costituzionale, è in linea anche con le indicazioni fornite dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto necessario distinguere la condotta tenuta dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e quella tenuta fuori dalla sede tipica “e perciò stesso in assenza di un legame evidente con l’attività parlamentare”, affermando in più occasioni la necessità di un’interpretazione stretta del requisito della ragionevolezza e proporzionalità.

Ne deriva che, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede la sussistenza di un “legame evidente” tra l’atto in ipotesi lesivo e l’esercizio della funzione tipica del parlamentare.

In conclusione, il procedimento disciplinare avviato a carico di un appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza per comportamenti anteriori all’assunzione dello status di parlamentare e privi di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con l’esercizio dell’attività parlamentare, dev’essere articolato secondo le sequenze proprie delle norme che lo disciplinano.

P.Q.M.

nelle considerazioni che precedono è il parere del Consiglio di Stato.


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