IL CASO SEA WATCH. LA PUNTA DI UN ICEBERG. (di Rosario Leonardo)

lunedì 08 luglio 2019

Dopo la “Sea Watch 3” è giunta a Lampedusa anche la “Alex” la nave di Mediterranea.

Ma è l’eco mediatica sollevata dal caso “Sea Watch 3”, che merita un approfondimento che deve andare oltre il gossip o le prese di posizioni politiche nella gestione dei flussi migratori e della politica della sicurezza del Paese. 

 A scanso di equivoci ribadisco, da subito, la totale solidarietà nei confronti dei colleghi della Guardia di Finanza, e di tutti gli operatori di polizia, che hanno dovuto fronteggiare un caso tutt’altro che semplice in situazioni di oggettiva difficoltà. A mio modesto parere i finanzieri non dovevano trovarsi a frapporsi tra la nave e la banchina del molo allo scopo di impedire l’attracco della Sea Watch.

Le immagini della vedetta compressa tra la banchina e la “Sea Watch 3”, infatti, forniscono il senso plastico della condizione in cui il personale e l’Amministrazione della Guardia di Finanza si trovano ad operare in assenza di norme certe supportate da chiare regole d’ingaggio. Da un lato, i trattati internazionali con il loro rilevante peso specifico e dall’altro la legislazione nazionale che mira a difendere gli interessi nazionali, il tutto in carenza del coinvolgimento degli altri Paesi interessati dal fenomeno dei flussi migratori.

L’argomento è scivoloso sotto tutti i punti di vista:

gli aspetti umanitari, che nessuno mette in discussione;

le scelte politiche in tema di immigrazione;

non ultimo per importanza, la tutela degli operatori di polizia ed in modo particolare dei finanzieri che hanno il compito della Polizia del mare.

In quest’ottica è compito del Legislatore, una volta fissati gli obiettivi da raggiungere con un provvedimento di legge, garantire la sicurezza delle persone presenti sulla scena d’azione indipendentemente dal ruolo che rivestono, sia esso di operatori di polizia, soccorritori, soccorsi, passanti occasionali ecc.

Partiamo dalle considerazioni esplicitate nell’Ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Agrigento sulla richiesta di convalida di arresto e di applicazione della misura cautelare nei confronti del comandante Rackete Carola, per chiarire alcune circostanze “abusate” nella bagarre mediatica. Le imbarcazioni della Guardia di Finanza, quando operano all’interno di acque territoriali (per meglio dire svolgono navigazione interna(1)), per legge, NON sono navi da guerra, ma navi militari (ai sensi dell’art. 239 comma 1 del Codice dell’Ordinamento Militare).

L’art. 239 co. 2 del D. Lgs. n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare), invece, stabilisce che “Per nave da guerra s’intende una nave che appartiene alle Forze Armate (la GdiF NON lo è(2)) di uno Stato, che porta i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità (non è il caso delle imbarcazioni della GdiF n.d.r.) ed è sottoposta sotto il comando di un ufficiale di marina….”. Concetto controverso ribadito, nel senso sopra indicato ma per altre e diverse ragioni, anche dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 35 del 2000 nella quale si afferma che le unità navali delle Fiamme Gialle “quando operano fuori dalle acque territoriali, ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare esercitano le funzioni di polizia tipiche delle “navi da guerra” (art. 200 del codice della navigazione) e nei loro confronti sono applicabili gli artt. 1099 e 1100 del codice della navigazione (rifiuto di obbedienza o resistenza e violenza a nave da guerra), richiamati dagli artt. 5 e 6 della Legge 13 dicembre 1956, n. 1409”.

Tra l’altro, per quanto noto, c’è una questione che nessuno ha sollevato. La Sea Watch 3 si trovava nelle acque territoriali italiane dal 26 giugno scorso, ovvero 11 giorni dopo l’entrata in vigore del c.d. “Decreto sicurezza bis” (D.L. 14 giugno 2019, n. 53) ma a noi non risulta che al Comandante sia stata comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 10 mila a 50 mila euro (art. 2 (3) del citato decreto)!

L’obiettivo non è quello di intervenire nel dibattitto bellicoso, assolutamente deprecabile e biasimabile, delle guerre di posizione tra chi protende per la difesa di una compagine rispetto ad un’altra. Ciò perché ritengo che non esiste una posizione da difendere ma, invece, è indispensabile lavorare in una cornice di sicurezza che rispetti tutte le parti in causa. A questo servono le Leggi, a migliorare e garantire il democratico svolgersi della vita sociale.

E’ evidente, ma questo è noto da tempo, che c’è un problema sulla classificazione delle unità navali della Guardia di Finanza. Problema che esisteva già prima dell’emanazione del D.Lgs 66/2010 e che, evidentemente, nessuno ha ritenuto di sollevare neanche durante la stesura di quest’ultima norma.

Oportet ut scandala eveniant, è necessario che lo scandalo avvenga. Bene, è avvenuto: ricaviamone un’opportunità.

La Guardia di Finanza è un Corpo militare, di polizia, che fa parte integrante delle Forze Armate ma non è una Forza Armata. Concorre, inoltre, in caso di guerra, alle operazioni militari.(4)

Una confusione che si manifesta anche in occasione delle cerimonie della Guardia di Finanza, dove i finanzieri di mare indossano l’uniforme dei marinai della Marina Militare.

Essere, o non essere è la frase che William Shakespeare fa pronunciare al principe Amleto all'inizio del soliloquio nella prima scena del terzo atto della tragedia.

Evidente che sarebbe auspicabile una semplificazione delle norme che regolano la vita della Guardia di Finanza e dei finanzieri. Per quanto mi riguarda la Guardia di Finanza è una forza di polizia e tale deve rimanere. Anzi, bisognerebbe iniziare a lavorare ad un modello orientato verso un ordinamento civile e non ingessarla in una militarità che non le appartiene e che le dovrebbe essere attribuita solo in caso di guerra.

Sarebbe opportuno, quindi, nel rispetto ed a tutela di tutti i finanzieri convocare, con urgenza un tavolo di confronto a cui possano prendere parte tutte le parti interessate. Il teatro operativo di Lampedusa, che assorbe con predominanza il panorama mediatico, è uno dei tanti in cui il fenomeno migratorio si manifesta in tutta la sua drammaticità. Non è concepibile che i nostri operatori possano essere esposti a rischi – non solo fisici – di così rilevante portata per l’assenza di norme certe, di bagarre politiche da avanspettacolo di teatri di periferia e scontri istituzionali mai registrati in precedenza.

I finanzieri lavorano con onorabilità, decoro, silenzio e meritano il massimo rispetto e le maggiori tutele possibili senza se e senza ma.

Se le leggi non sono chiare non spetta al finanziere, in fase operativa, interpretarle sulla propria pelle.

I Finanzieri non sono Amleto.

Sediamoci e risolviamo il problema.

Rosario Leonardo 

 

(1) Veggasi in tal senso l’art. 1087 del Codice della Navigazione.

(2) art. 1 Legge 189/1959 recante “Ordinamento del Corpo della Guardia di finanza” che stabilisce: “Il Corpo della Guardia di finanza dipende direttamente e a tutti gli effetti dal ministro delle Finanze. Esso fa parte integrante delle Forze Armate dello Stato e della forza pubblica ..omissis...”

(3) Che ha modificato l’art. 12 del D.Lgs. 286/98 aggiungendo il comma 6 bis che così recita: Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’art. 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave si applica a ciascuno di essi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. In caso di reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica altresì la sanzione accessoria della confisca della nave procedendo immediatamente a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. ….omissis….

(4) Art. 1 comma 2 lettera d.L. 189/59.

 

 


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