IL FISCO SA TUTTO DI NOI, MA L’EVASIONE NON SI FERMA. DOVE SI SBAGLIA? (dal sito corriere.it)

lunedì 14 ottobre 2019

Tutti i dati raccolti erano arrivati alla fine, ormai. Da raccogliere, non rimaneva più niente. Ma i dati raccolti dovevano ancora essere correlati e accostati secondo tutte le relazioni possibili», così scriveva Isaac Asimov nel 1986. Da allora, la fantascienza è diventata realtà. Anche per il Fisco. L’amministrazione finanziaria, infatti, ha già accumulato una quantità enorme di dati. Il problema fondamentale del Fisco, infatti, è — in termini giuridici — l’onere della prova, a sua volta legato a quella che, in termini economici, si chiama asimmetria informativa.

Per prelevare il tributo, il Fisco ha l’onere di procurarsi una duplice prova. In primo luogo, deve provare l’esistenza del presupposto della propria pretesa: un reddito, un patrimonio, una cessione di beni o una prestazione di servizi. In secondo luogo, deve provare la misura del tributo, ovvero deve poter determinare la base imponibile: quant’è il reddito, quanto vale il patrimonio, quanto i beni e i servizi consumati.

Tuttavia, l’una e l’altra prova richiedono informazioni che sono per lo più nelle mani del contribuente, ma non del Fisco. Da qui l’asimmetria informativa, a cui si può porre rimedio acquisendo queste informazioni in modo diretto o indiretto. L’acquisizione diretta avviene attraverso «sopralluoghi»: accertamenti fiscali e rilevamenti catastali.

L’acquisizione indiretta richiede la collaborazione di soggetti diversi dall’amministrazione finanziaria: il contribuente interessato dalla pretesa (dichiarazioni e altre comunicazioni); altri soggetti indirettamente interessati (datori di lavoro, clienti, fornitori, intermediari finanziari, professionisti). Tutti i dati e le informazioni raccolte possono così confluire nelle banche dati proprio per poter rimediare all’asimmetria informativa e fornire la prova della pretesa tributaria.

La storia del Fisco, del resto, è proprio la storia di come l’amministrazione finanziaria sia riuscita a raccogliere le informazioni necessarie per il corretto adempimento degli adempimenti da parte dei contribuenti: gli uffici accertatori, il catasto, il sostituto d’imposta, il contrasto d’interesse, il sostituto di dichiarazione (Caf e professionisti), l’intermediario finanziario nella tassazione delle attività finanziarie, gli studi di settore e, infine, fattura e scontrino elettronici. La svolta strategica degli ultimi anni è stata proprio quella di organizzare le banche dati e, al contempo di mettere anche al servizio dei contribuenti i servizi digitali necessari per semplificare, velocizzare e migliorare il rapporto tra Fisco e cittadini, al fine di favorire l’adempimento spontaneo, cercando di anticipare e prevenire l’evasione, non solo di inseguirla e reprimerla. A questo punto, dovremmo limitarci a osservare i risultati raggiunti e compiacerci di come questa strategia abbia arginato il fenomeno dell’evasione fiscale e indotto tutti i contribuenti a essere leali verso la collettività. Ma così non è stato.

Anzi, siamo ancora lontani da quel risultato. Secondo i dati forniti dal Mef, la montagna di euro sottratti all’erario, a tutti noi, è ancora troppo alta. Si attesta ancora a oltre 90 miliardi (ai quali vanno aggiunti quelli dell’evasione dei contributi previdenziali). Dove abbiamo sbagliato? In cosa? La risposta ce la offre, appunto, Asimov: non basta raccogliere tutti i dati (la tecnologia, ormai, ce lo consente), ma occorre saperli utilizzare. E, prima ancora, in Italia, serve essere autorizzati a farlo. L’obiettivo non è semplice da raggiungere, perché quei dati non possono essere utilizzati «liberamente». Per quanto la lotta contro l’evasione sia una priorità, anzi un’emergenza italiana, non può essere trascurato il diritto alla privacy. La quale deve essere tutelata da quella che può essere percepita come l’intrusione dello Stato nella nostra vita privata. Il timore è che un Grande Fratello orwelliano ci stia guardando in ogni momento della nostra esistenza. Negli anni, grazie al lavoro dell’Authority per la privacy, sono state disciplinate le modalità di acquisizione e tenuta dei dati raccolti, è stata blindata la loro sicurezza, sono stati stabiliti i tempi di conservazione e il diritto dei cittadini a essere informati e coinvolti circa il loro utilizzo.

Ma, nonostante tutto questo, alcune delle informazioni delle banche dati — specialmente quelle relative ai rapporti finanziari — non sono facilmente incrociabili con tutti gli altri dati (reddituali, patrimoniali) perché ne andrebbe della nostra privacy. Eppure, anno dopo anno, abbiamo consentito che la nostra vita fosse posta costantemente sotto la lente d’ingrandimento di chicchessia, purché non sia il Fisco. Compriamo beni e servizi attraverso piattaforme informatiche alle quali concediamo l’uso di tutte le informazioni che ci riguardano. Elargiamo generosamente tutti i dati sulle nostre abitudini e i nostri gusti ai gestori dei social network o, più semplicemente, al supermercato sotto casa che ci spinge a fare la raccolta dei bollini, lasciandoci profilare. Accettiamo, da sempre, che gli intermediari finanziari sappiano quanto guadagniamo e come lo spendiamo.

Ma con lo Stato non c’è verso e dello Stato continuiamo a diffidare. Al momento delle tasse, pensiamo allo Stato come qualcosa di diverso da noi. Ed è un male che ha radici lontane: quasi cento anni fa, Gobetti scriveva che «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L’imposta gli è imposta». Forse alcuni di noi hanno qualcosa da nascondere. Ma i più dovrebbero vedere di buon occhio un utilizzo sicuro dei propri dati per non sentirsi soli quando paghiamo le tasse.

Bilanciare il nostro diritto alla privacy e il dovere di pagare le tasse non vuol dire necessariamente rinunciare a un pezzetto dell’uno o a una fetta dell’altro. Forse la tecnologia potrebbe trovare il modo per per aprire una porta dietro la quale si nasconda il giusto equilibrio che garantisca pienamente l’uno e l’altra. Abbiamo davanti quattro leggi di bilancio e dovremmo trovare il coraggio di trovare la chiave giusta per aprirla. E la prossima volta che pagheremo le tasse, forse, ci sentiremo meno soli.

 

Fonte: https://www.corriere.it/economia/opinioni/19_ottobre_10/fisco-sa-tutto-noi-ma-l-evasione-non-si-ferma-dove-si-sbaglia-63588494-ea78-11e9-9140-07f05ef9e6ae.shtml

 


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