IL PESO SPECIFICO DELLA DIVISA (dal sito italiastarmagazine.it)
Due professoresse dell’Università di Torino spiegano come si sta cercando di agire per prevenire i crescenti casi di suicidio nelle forze dell’ordine e tenere sotto controllo lo stress generato da un mestiere delicato.
Come in molte altre città d’Italia, alle 18:30 di martedì 15, giorno dei funerali dei due agenti uccisi a Trieste, nella Real Chiesa di San Lorenzo, a Torino, sarà celebrata una Messa in suffragio per ricordare Pierluigi Rotta e Matteo Demenego. Un momento per sottolineare ancora una volta il sacrificio di due uomini in divisa, ma anche per riaffermare il ruolo e ricordare chi fa un mestiere particolare, delicato, e forse non sempre capito.
La divisa a volte è un abito ingombrante, il cui peso specifico spesso è difficile da sostenere. Nei giorni scorsi l’hanno confermato delle statistiche: la prima causa di morte fra le forze dell’ordine è il suicidio, spesso perpetrato con la stessa arma d’ordinanza. Di cosa stiamo parlando? Di benessere psicologico anche in ambito lavorativo e della valutazione dello stress psicologico in particolari categorie: questo è il tema emergente, allo studio da anni presso i nostri dipartimenti universitari e che dovrebbe essere sempre più oggetto di attenzione da parte di tutti, addetti ai lavori e non.
La professoressa Daniela Acquadro Maran, Ricercatrice in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e la dottoressa Cristina Civilotti, psicologa e psicoterapeuta e professore a contratto per il Dipartimento di Psicologia di Torino e dell’Istituto Universitario Salesiano, spesso collaborano con le forze dell’ordine in convegni e attività che affrontano il delicato argomento.
Quali sono i dati emergenti dagli studi condotti presso il Dipartimento e quale la realtà in tema di suicidi nelle forze dell’ordine in generale? Si può parlare di “emergenza”?
In Francia e Germania, ad esempio, il tasso di suicidio tra i poliziotti è di 25/100.000, circa il doppio rispetto alla popolazione generale. In Italia, sono stati segnalati 155 suicidi nel periodo tra il 2006 e il 2014. La percentuale più alta di casi (60%) riguarda l’Arma dei Carabinieri, seguita dall’Esercito con una percentuale del 28%, dall’Aeronautica con il 7% e infine dalla Marina con il 5% (www.difesa.it). Nel periodo 2004-2008, 9.8/100.000 poliziotti si sono suicidati, mentre fra la popolazione nello stesso periodo la media è stata di 5/100.000. Nell’affrontare un tema così delicato, è di fondamentale importanza non cercare spiegazioni semplicistiche o univoche: una lettura d’insieme è l’unica possibile per comprendere la realtà estremamente complessa che si cela in questi dati.
Se si può affermare senza dubbio che eventi drammatici come l’omicidio e suicidio siano fenomeni legati alle caratteristiche personali del soggetto e alle fragilità che permeano l’essere umano, non va sottovalutata l’influenza che possono avere fattori estrinseci pertinenti, ad esempio, alle specificità del contesto in cui operano le Forze dell’Ordine, intriso di contraddizioni, aggressività e altre molteplici problematicità, quali l’esposizione a situazioni pericolose o dove si viene a contatto diretto con varie forme di violenza e la morte.
Questi fattori di rischio possono potenzialmente influire sulla genesi, sul mantenimento e sulla crescita incontrollata di stati psicologici di estrema frustrazione, ingenerando sentimenti di rabbia, tristezza, impotenza e angoscia che innescano manifestazioni sintomatologiche che spaziano dal disturbo acuto da stress, al disturbo da stress post-traumatico, a disturbi ansiosi o di tipo depressivo. Quando questi fattori si concatenano e si innestano su problematiche personali e relazionali, queste possono diventare il trigger, ovvero la miccia, che poi può esplodere negli esiti più drammatici in maniera repentina, considerando anche che, come si capisce purtroppo dalle amare cronache degli episodi di omicidio e suicido, l’aver accesso con facilità all’arma di ordinanza costituisca un ulteriore elemento di rischio quando si verificano condizioni di particolare dis-regolazione emotiva.
Occorre, in ultimo, porsi nell’ottica della prevenzione, possibile senza dubbio a livello generale, ma tanto più doverosa nel caso specifico verso chi appartiene ad un organo di polizia, costituendo vere e proprie reti di aiuto che consentano di ottenere un supporto effettivo e rispondente alle peculiarità di ogni singolo caso.
Che voi sappiate, esistono degli psicologi di supporto in caso di problematiche da parte degli operatori dell’ordine?
Si, sul territorio esistono realtà che possono supportare gli operatori delle forze dell’ordine. Alcune realtà sono stabili, inserite cioè nell’organizzazione delle forze dell’ordine. Ad esempio, la Polizia Municipale di Torino può contare sulla dottoressa Enrica Baretta, psicologa e psicoterapeuta, che dirige la scuola di formazione per la Polizia Municipale. In questa realtà la dottoressa ha avuto la possibilità di dare il via al progetto “Benessere”, con il quale chi lo desidera può fare corsi volti a diminuire lo stress lavoro correlato (che contribuisce allo stato di malessere del lavoratore, alla sua percezione di disagio) ed aumentare il benessere. Come Università, abbiamo avuto modo di monitorare quanto questi corsi incidano sul benessere dei partecipanti: abbiamo misurato il livello di stress prima e dopo la partecipazione, notando come il livello fosse effettivamente diminuito. Altre realtà sono messe a disposizione dalla pubblica amministrazione a tutti i suoi dipendenti. Un esempio di questo tipo, sempre a Torino, è lo “Sportello di Ascolto”, che offre cinque incontri (a coloro che lo desiderano) utili per affrontare il tema del disagio.
In che modo l’Università di Torino si sta occupando del tema?
Abbiamo un progetto di ricerca avviato con il Comune di Collegno che tra l’altro si focalizza sulla Polizia Municipale. L’obiettivo è quello di rilevare lo stress lavoro-correlato e le sue conseguenze, tra cui il rischio suicidario. Abbiamo messo a punto uno strumento con l’aiuto di professionisti del settore: Nicola Magnavita dell’Università Cattolica di Roma, Sergio Garbarino dell’Università di Genova, Elisabetta Carraro dell’Università di Torino, Antonella Varetto della Città della Scienza e della Salute di Torino. Sono epidemiologi, medici, neurologi E psicologi che si occupano di questo argomento da diversi punti di vista. Il tentativo è quello di far dialogare queste diverse figure professionali per prevenire il rischio suicidario, proporre interventi mirati a far sì che l’operatore di Polizia possa trovare una dimensione organizzativa in grado di supportare la fatica dell’indossare la divisa. Il Comune di Collegno ha creduto in questo progetto finanziando una borsa di studio destinata ad una psicologa e psicoterapeuta (appunto, Cristina Civilotti) che progetterà interventi individuali, di gruppo e organizzativi per migliorare il benessere percepito dagli operatori della Polizia Municipale. Grazie ai dati raccolti in questo contesto, sarà possibile proporre a tutte le organizzazioni delle forze dell’ordine un protocollo di ricerca e intervento in grado di intercettare le necessità di ciascuna realtà organizzativa. Come amo ripetere, gli interventi sono come un abito: se abbiamo una sola misura, andrà bene ad alcuni ma non a tutti, l’abito rischia di essere troppo ampio, troppo stretto O troppo corto... Il nostro obiettivo è invece quello di fare un intervento su misura, i dati ci permettono di capire di cosa ha effettivamente bisogno quella particolare organizzazione: esattamente come i corpi delle persone, i comandi sono diversi gli uni dagli altri.
Fonte: https://www.italiastarmagazine.it/lanalisi/il-peso-specifico-della-divisa-11220