DALLO STATUTO DEI LAVORATORI ALLO STATUTO DEI MILITARI. (di Rosario A. Leonardo)

venerdì 22 maggio 2020

Il 20 maggio abbiamo festeggiato i cinquanta anni dello Statuto dei Lavoratori, quella legge 300 che ha reso l’Italia una delle prime nazioni a riconoscere la dignità al lavoro svolto all’interno delle fabbriche. Una legge votata alla Camera dei deputati il 14 maggio 1970 con 217 voti favorevoli, 10 contrari e 125 astenuti. L’allora Ministro Carlo Donat Cattin, per la successiva approvazione al Senato, chiese ed ottenne da tutti i partiti (tranne il PLI) il ritiro di tutti gli emendamenti proposti.

La pubblicazione della Legge 300/70 fu annunciata dall’Avanti con il titolo in prima pagina “La Costituzione entra in fabbrica”.

Siamo nel 1970. Ma la nascita dello Statuto affonda le proprie radici negli anni ’50, precisamente nel 1952, quando Giuseppe di Vittorio al Congresso del Sindacato dei chimici della CGIL annuncia la volontà di presentare un progetto, lo statuto dei lavoratori appunto, in occasione del III Congresso della CGIL. Dice Di Vittorio “….in realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica italiana quando entrano nelle fabbriche …….. Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. E’ per questo che noi pensiamo che i lavoratori debbono condurre una grande lotta per rivendicare il diritto di essere considerati uomini nella fabbrica e perciò sottoponiamo al congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (perché questa esigenza l’ho sentita esprimere recentemente anche da dirigenti di altre organizzazioni sindacali), per poter discutere con esse ed elaborare un testo definitivo da presentare ai padroni e lottare per ottenere l’accoglimento e il riconoscimento solenne.” (tratto da Lavoro, 13 dicembre 1952).

Erano anni difficili. Nel 1952 la Fiat organizzava l’Officina Sussidiaria Ricambi (Osr) a Torino a cui erano avviati quei lavoratori considerati “facinorosi”. Un reparto di confino e punitivo che ha visto fino a 130 operai, tutti vicini ai sindacati, identificati solo per il fatto di portare in tasca giornali come l’Unità o l’Avanti. Anni caratterizzati dalla crisi della dignità sociale, dovuta anche allo spostamento di circa cinque milioni di lavoratori dal Sud al Nord o all’estero a cui faceva corollario l’inadeguatezza delle città sempre più piene ed incapaci di offrire servizi, scuole e case. Le campagne si svuotano, le città si riempiono e l’Italia passa da Paese prevalentemente agricolo a Paese industriale.

Poi gli anni ’60 e le contestazioni studentesche del 1968.

Nascono i movimenti democratici da Magistratura Democratica a Medicina Democratica, passando da Psichiatria Democratica, a Genitori Democratici e, qualche anno dopo, Finanzieri Democratici.

Una società in fermento in cui giocano ruoli fondamentali prima il Ministro del lavoro Brodolini, che incaricò il giuslavorista Gino Giugni di predisporre una proposta di Statuto da sottoporre ai sindacati, e poi il Ministro Donat Cattin che gli successe.

Il 20 maggio 1970 nasce, come detto, la Legge 300 che così recita “Norme sulla tutela e la dignità dei lavoratori, della libertà sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, una norma dal titolo fortemente significativo in cui si respira tutta la lotta necessaria per ottenere il suo raggiungimento.

Luciano Lama, segretario generale della CGIL prima e vice presidente del Senato poi, afferma che “Lo Statuto dei diritti è frutto della politica unitaria e delle lotte sindacali: lo strumento non poteva che essere una legge, ma la matrice che l’ha prodotta e la forza che l’ha voluta è rappresentata dal movimento dei lavoratori e dalla sua azione organizzata.

Gli anni che precedono questa rivoluzione in campo legislativo e sociale, tanto da definire lo Statuto la norma più importante dopo la Costituzione, sono caratterizzati dalla strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura e di Piazza Fontana. Seguono gli scontri in piazza e l’autunno caldo del 1971, mentre oltre 32 contratti collettivi di lavoro sono bloccati, e la contrapposizione sociale sfocia in scontri violenti ed armati e l’estremismo di destra e di sinistra dà l’avvio alla strategia della tensione ed agli anni di piombo.

L’ispirazione dei movimenti democratici di rendere la vita sociale sempre più equa, sfocia nel conflitto di classe volto a tutelare gli interessi degli oppressori contro quegli degli oppressi.

Oggi si può affermare che l’aspettativa dei movimenti sindacali che hanno portato alla rivoluzione del mondo del lavoro, è una realtà concreta che tuttavia non trova analoga corrispondenza nel mondo dei lavoratori militari. Questi, in tema di diritti sul posto di lavoro, sono fermi agli anni ’50, tranne le flebili aperture degli anni ’80 in cui nacquero le Rappresentanze Militari. Ciò, nonostante la Corte Costituzionale nel 2018 abbia riconosciuto ai militari, sulla base di azioni legali portate avanti dalle Associazioni Assodipro e Ficiesse,  la possibilità di potersi organizzare in liberi sindacati.

Anche in questi giorni (maggio 2020) stiamo assistendo alla ripresa dei lavori alle proposte di legge sui sindacati militari. Lavori che non lasciano presagire alcuna apertura ai diritti sindacali per il personale con le stellette. La politica manifesta un vero e proprio disinteresse alle richieste dei militari e un orecchio sempre più teso agli Stati Maggiori, nonostante la Corte Costituzionale abbia indicato la strada per poter applicare l’art. 39 della Costituzione[1] anche al mondo militare.

I tempi sono diversi, la politica è in crisi, senza leader, la società è in crisi, senza valori su cui basare le proprie mosse, l’economia è in crisi, distrutta, da ultimo dalla pandemia del Covid-19. La base militare è in crisi, disattenta e disinteressata al mondo che la circonda e la sovrasta, priva di unità ed incapace di trovare convergenza d’intenti nelle nascenti sigle sindacali, alcune delle quali virano al giallo.

Oggi, mentre la CGIL dal 2015 ha avviato i lavori per la bozza della Carta dei diritti universali del lavoro, quindi il nuovo Statuto dei lavoratori, riecheggiano forti le parole di Di Vittorio e Lama che abbiamo letto prima, mentre i diritti dei militari segnano il passo.

Anche i militari dovrebbero, anzi devono, essere inseriti in questa carta; ma se questo potrebbe sembrare troppo al passo con i tempi, forse è giunto il momento di lavorare allo Statuto dei lavoratori militari, perché il militare è un uomo con i suoi doveri ma anche i suoi diritti e vuole che questi siano rispettati in primo luogo sui posti di lavoro.

Non c’è un Di Vittorio ma chi ha ereditato le sue idee non può e non deve tirarsi indietro.

 

Rosario A. Leonardo

 


[1] Articolo 39

L'organizzazione sindacale è libera

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

 

 

 


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