SMILITARIZZAZIONE DELLA GDF, RIPUBBLICHIAMO UN AMPIO ARTICOLO DELLA RIVISTA DI FICIESSE, "FINANZIERI E CITTADINI", DEL 2002 SU "MERITI, LIMITI E FUTURO DI UNA GDF A STRUTTURA MILITARE"

giovedì 20 dicembre 2007

Il dibattito che si acceso a seguito della presentazione e dell'inizio della discussione del disegno di legge presentato da alcuni parlamentari di Rifondazione comunista sulla smilitarizzazione e lo scioglimento della Guardia di finanza, ci consiglia di ripubblicare di seguito un nostro servizio apparso su "Finanzieri e Cittadini", la rivista semestrale della nostra associazione, a giugno del 2002.

Abbiamo anche aggiunto l'immagine di una storiella satirica, intitolata "La gara di canoa", che ebbe allora un certo successo e che ci sembra ancora piuttosto graziosa e attuale.

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Dalla rivista “FINANZIERI E CITTADINI”(organo di informazione dell’Associazione Ficiesse) n. 3 dell’anno 2002, pagine 5 – 12.

 

I ARTICOLO

“GDF, LA STAGIONE DELLE RIFORME”

Una serie di articoli per capire se è stata fatta vera innovazione

(di Giuseppe Fortuna)

giugno 2002

Con due distinte deleghe del 1997 e del 2000, la Guar­dia di finanza ha avuto l'occasione per porre rimedio ai problemi che avevano creato tensioni e malcontento nel personale.

Ma gli interventi hanno anche una valenza più ampia perché, contemporaneamente, si sono riorganizzati anche i "competitori istituzionali" del Corpo, vale a dire: Polizia di Stato e Carabinieri sul lato della sicurezza, Agenzie fi­scali sul fronte tributario. Queste ultime, in particolare, hanno palesato l'intenzione di volersi in qualche misura riappropriare delle funzioni di prevenzione e di ricerca dell'evasione sul territorio, dimostrando una flessibilità e una fantasia sconosciuti alla mentalità un po' troppo rigi­da dei militari; inoltre, grazie a stipendi e incentivi da azienda privata, dimostrano un maggiore appeal rispetto ai colleghi militari, angustiati dall'esodo apparentemente inarrestabile delle professionalità migliori.

Continua, poi, ad aleggiare una certa diffidenza, e non solo all'interno del Corpo, sul fatto che un organismo gestito secondo logiche militari tradizionali possa riuscire ancora oggi a produrre professionalità di elevato profilo e specialmente a mantenere entro limiti fisiologici il fenome­no della devianza e della corruzione.

D'altra parte, la Gdf ha anche il problema di non essere strettamente indispensabile, come lo sono, invece, polizia, dogane, esercito. Ecco perché è importante, se non addirittura esiziale, per le Fiam­me gialle, riuscire a intuire più rapidamente degli altri la domanda di nuovo che viene dalla società civile.

Ma proviamo a chiarire quali siano i principali punti di forza e di debolezza del Corpo in uno scenario che sta rapidamente cambiando.

 

IL VALORE DA DIFENDERE

La Gdf è un'organizzazione che non trova riscontri in nessun altro paese evoluto. La sua principale caratteristica sta nell'essere contemporaneamente polizia tributaria e polizia giudizia­ria. La concentrazione di queste due diverse competenze in un unico con­testo ha un notevole valore, tanto che in altri paesi vengono costituiti orga­nismi specifici, in genere agenzie, composti da personale di estrazione professionale diversa (poliziotti, ma­gistrati, fiscalisti, economisti). In Italia questa agenzia c'è già e si chiama, appunto, "Guardia di finanza"; i suoi agenti hanno imparato: 1) ad accertare gli illeciti penali con la pro­fessionalità tipica degli uffici finan­ziari; 2) ad accertare gli illeciti fiscali con la professionalità tipica della po­lizia giudiziaria. Tale miscela di po­teri e competenze, questo stare a ca­vallo tra due funzioni così diverse (pg e pt) rappresenta la più autentica identità del Corpo e il vero valore da di­fendere. Il finanziere, insomma, è un poliziotto che non si spaventa se si tratta di leggere carte e documenti contabili e, nel contempo, è un verifi­catore fiscale capace di "vedere" nelle contabilità le fatture false, le truffe, il riciclaggio.

 

COME SI È CREATO IL VALORE

Questo patrimonio non è frutto del caso, ma è il risultato di un lungo percorso.

La Gdf nasce storicamente per svolgere una funzione servente nei confronti dell'amministrazione finanziaria civile; i suoi uomini erano destinati a svolgere le attività disa­giate nelle quali il personale degli uf­fici finanziari non poteva o non vole­va essere impiegato: vigilanza sui bricchi alpini, posti fissi in luoghi malsani, verifiche a malavitosi, ecce­tera. A tale posizione di subalternità, si è venuta gradualmente ad affian­care, col passare degli anni, una vera e propria funzione di supplenza rispetto agli organi dell'amministra­zione civile, dovuta a fenomeni diret­tamente o indirettamente legati ad una generale processo di impoveri­mento della pubblica amministrazio­ne. In altri termini, quando organismi pubblici evidenziavano difficoltà a perseguire i loro fini istituzionali, il legislatore li ha spesso fatti supporta­re dalla Guardia di finanza, alla quale, però, ha dovuto contestual­mente attribuire funzioni e poteri de­gli uffici "sostituiti". L'esercizio dei poteri degli uffici ha permesso ai mi­litari di acquisirne, col tempo, la spe­cifica professionalità e all’organizza­zione di consolidare un patrimonio di conoscenza e di competenza straordinariamente di­versificato.

Nel 1982 c'è stato un ulteriore salto di qualità. Con l'abrogazione della pregiudiziale tributaria, infatti, la Gdf, che era stata fino ad allora quasi esclusivamente impiegata per perseguire i reati di contrabbando e valutari, ha cominciato ad essere uti­lizzata dalle Procure della Repubbli­ca per l'accertamento dei reati tribu­tari. Con la conseguenza che il Cor­po ha potuto arricchire il suo baga­glio professionale con i moduli ope­rativi tipici della funzione giurisdi­zionale.

 

MERITI E LIMITI DEL MODELLO MILITARE

Nell' evoluzione descritta ha avuto certamente un ruolo determinante la strutturazione militare. Non v'è dub­bio, infatti, che negli anni '70 ed '80 la mancanza di fronti sindacali inter­ni e la minore permeabilità all'inva­denza dei partiti abbiano favorito il successo dell'organizzazione.

Ci si dovrebbe domandare però se in quel periodo storico i successi conseguiti dal Corpo siano dipesi più dai punti di forza della sua struttura militare, con particolare riferimento alla reat­tività operativa tipica dei reparti, piuttosto che dalla debolezza delle pubbliche amministrazioni civili. L'argomento avrebbe bisogno di una più ampia riflessione, ma è certo, comunque, che, in quegli anni, il sacrificio dei diritti individuali e collettivi propri della condizione militare erano di gran lunga compensati da una lunga serie di benefit, diretti e indiretti, che rendevano tollerabile, se non addirit­tura conveniente quel particolare sta­tus.

Tra questi benefit, assumeva fon­damentale importanza il regime pen­sionistico di favore il quale, unita­mente ad altri vantaggi economici, permetteva dopo venti anni di servi­zio di conseguire una pensione di buona entità. Insomma, una situazio­ne di privilegio che compensava di­sagi quali l'accentuata mobilità di sede e di incarico, l'aleatorietà delle carriere e l'impossibilità di pianifica­re il futuro delle famiglie. La pensio­ne di anzianità, perciò, è stato un potente fattore di mantenimento del personale di sempre più elevata qua­lificazione che, col crescere dei com­piti, si andava via via formando all’interno dell'organizzazione.

Un'ulteriore considerazione riguarda il rapporto con i cittadini. In quegli anni, l'opinione pubblica percepiva in modo sostanzialmente positivo la figura, un po' autoritaria, del finan­ziere-soldato. Tale sensazione deri­vava in larga parte dalle caratteristi­che del sistema socioeconomico di allora basato, su un'economia som­mersa di enormi dimensioni. Sicché l'esistenza di una polizia tributaria organizzata militarmente appariva giustificata da quella sorta di "guer­ra senza quartiere" che bisognava combattere giornalmente contro un esercito subdolo e sfuggente di eva­sori fiscali.

 

IL CAMBIAMENTO DEGLI ANNI NOVANTA

Nel 1990 inizia in Italia una serie im­pressionante di trasformazioni su tutti i fronti: politico, sociale, culturale, economico. Per non rimanere emar­ginati in Europa, si comincia a intervenire sul fronte dei conti pubblici, dell'economia sommersa e dell'ineffi­cienza della pubblica amministrazio­ne. Si interviene anche sui regimi pensionistici privilegiati e su quasi tut­ti i benefit di cui godevano i militari. I cittadini, obbligati a maggiori sacrifi­ci, cominciano anche a pretendere servizi di standard europeo e a chie­dere ai dirigenti pubblici maggiore "managerialità", cioè capacità di produrre servizi di quantità e qualità crescenti, a costi decrescenti. Comin­ciano ad andare di moda parole co­me "trasparenza" e "cultura del servi­zio". E comincia ad entrare in crisi la percezione, fino ad allora positiva, del finanziere-soldato. In alcune aree del paese si verificano episodi di aperta ribellione che investono il per­sonale in grigioverde, tacciato di in­terpretare il ruolo di miope e arro­gante gabelliere. L'immagine del Corpo viene scossa da nuovi, ulteriori scandali per fatti di corruzione e di concussione che arrivano a toccare gradi elevati. Il contribuente pretende un fisco più semplice e vuole essere informato e aiutato; trova stolidi e ar­roganti gli atteggiamenti "rambistici". Tutto ciò provoca crescente disorien­tamento e disagio all'interno della Guardia di finanza, aumenta la con­flittualità dei singoli con l'amministra­zione, esplode il fenomeno dei con­gedi anticipati, specialmente nella ca­tegoria degli ufficiali.

Questo, in estrema sintesi, il quadro che hanno avuto davanti i generali in grigioverde che hanno realizzato la riforma del 2000. I prossimi anni ci diranno se sono stati capaci di fare le scelte giuste.

(giugno 2002) 

GIUSEPPE FORTUNA

 

II ARTICOLO

"I NODI IRRISOLTI"

Perpetuati alcuni difetti del precedente modello

(di Franco Simoni)

giugno 2002

 

La nuova struttura adottata dalla Guardia di finanza con il regolamen­to approvato dal DPR 34 del 1999 avrebbe dovuto rispettare i criteri e principi direttivi indicati dall'articolo 27 della legge 449 del 1997. In sinte­si, si trattava di: l) distinguere tra strutture con funzioni finali e strutture con funzioni strumentali e di supporto; 2) prevedere funzioni e dislocazioni territoriali omogenee rispetto alle altre pubbliche amministrazioni; 3) garan­tire economicità, speditezza e rispon­denza al pubblico interesse.

Il primo criterio è stato sostanzialmen­te osservato grazie in particolare al­l'introduzione dei reparti tecnico logi­stico amministrativi (RTLA) e alla costi­tuzione di un apposito ruolo per gli ufficiali del Corpo. Perplessità, invece, sorgono quando si tratti di valutare la conformità alla delega della nuova struttura rispetto agli altri criteri. Proveremo a sintetizzare alcuni dei nodi che la riforma non ci sembra abbia sciolto.

 

ECCESSIVA LUNGHEZZA DELLA STRUTTURA

Era uno dei principali problemi del Corpo e lo è rimasto anche col nuovo modello. Alla soppressione delle Zo­ne, infatti, ha fatto da contraltare l'in­troduzione dei Comandi interregio­nali, destinati ai neogenerali di corpo d'armata. In tutto, si continuano a contare fino a 6/7 livelli gerarchici, senza considerare quelli di staff. Vie­ne perpetuato, così, un difetto grave per un'organizzazione da gestire "per obiettivi". Infatti, oltre alle dise­conomie dovute alla duplicazione di funzioni, si rende molto difficile la negoziazione dei piani annuali degli obiettivi. I livelli dovevano essere al massimo quattro: nazionale, regionale, provinciale ed operativo. E tutti i dirigenti, generali di corpo d'armata compresi, dovevano rispondere per i risultati della gestione. Per la collocazione dei generali di corpo d'armata c'era­no due possibilità: collocarli alla di­rezione dei 5-6 comandi regionali di maggior rilievo socio-economico, op­pure dar loro la direzione delle quat­tro macroaree di cui il Corpo si com­pone (reparti territoriali, reparti spe­ciali, reparti di reclutamento e adde­stramento, reparti tecnico logistico amministrativi).

 

DIMINUZIONE DELL'AUTOFUNZIONAMENTO

Le risorse umane impiegate dalla Guardia di finanza nell'autofunzio­namento rimangono, di fatto, supe­riori a quelle destinate ai processi di tipo diretto, quelli, per intenderci, che portano alla realizzazione di prodotti versati a "clienti esterni".

Oltre ad eli­minare, come appena detto, alcuni degli attuali livelli, sarebbe stato ne­cessario: 1) continuare la strada, ini­ziata nel 1999 e poi abbandonata, della reingegnerizzazione dei pro­cessi di funzionamento attraverso il benchmarking e la individuazio­ne delle best practices; 2) inco­raggiare le esternalizzazioni, prevedendo anche una politica di reclutamento coerente con il graduale abbandono di tali im­pieghi; 3) introdurre strumenti di misurazione dei prodotti delle attività di funzionamento; 4) prevedere incentivi monetari col­legati all'effettivo conseguimento degli obiettivi di produttività e di economicità annualmente negoziati per le attività di funzionamento.

 

MANCANZA DI SISTEMI PREMIALI LEGATI AI RISULTATI CONSEGUITI

La revisione organizzativa non ha modificato la vecchia prassi degli in­centivi scollegati dal conseguimento effettivo di risultati di produttività, economicità e/o qualità. Gli interven­ti premiati di tipo monetario sono "a pioggia", oppure sono collegati al grado e alla posizione gerarchica ricoperta.

Poi, vi sono gli encomi, cioè i cosiddetti "incentivi d'ordine morale", sui quali la riforma non ha in alcun modo inciso. Si tratta di ricompense non moneta­rie, attestazioni riferite ai soli com­portamenti eccezionali, utili ai fini de­gli avanzamenti in carriera ma senza alcun riferimento agli obiettivi di pia­no. Inoltre, la valutazione dell'ecce­zionalità compete, in modo fortemen­te discrezionale, agli ufficiali dirigenti e, tra questi, in particolare, ai gene­rali di corpo d'armata. Insomma, strumenti orientati molto più al rafforza­mento dei valori di obbedienza, che al miglioramento della produttività dell'organizzazione.

 

GLI STRUMENTI PER IL CONTROLLO DI GESTIONE

Sul fronte del controllo di gestione si è registrato, più che un rallentamen­to, una vera e propria involuzione. Innanzitutto, il cruscotto direzionale non è stato ancora completato con i sistemi informativi sulla quantità della produzione (Sirend) e della qualità (Siqual). Di conseguenza, è operativo il solo Siris che, però, monitorizza esclusivamente le ore di lavoro versa­te sui processi ma non i risultati che da questi scaturiscono. Ma ciò che sembra più grave riguarda la diretti­va generale del ministro, con partico­lare riferimento alla griglia degli obiettivi numerici. Da due anni a questa parte, infatti, la griglia non ri­porta più le ore/persona effettiva­mente consuntivate dall'archivio Siris ma si limita a riprodurre i dati pro­grammati negli anni precedenti come obiettivi. Insomma, i risultati della ge­stione sono effettuati sulla base di "stime" prive di vincoli oggettivi.

 

COMPETENZE TRA I REPARTI IN MATERIA DI VERIFICA FISCALE

Sul fronte operativo, la riforma ha di­stinto le competenze per le verifiche fiscali dei diversi reparti di esecuzio­ne del servizio (brigate, tenenze, compagnie, nuclei provinciali e nuclei regionali) sulla base del criterio del volume d'affari conseguito dai sog­getti economici operanti sul territorio. La scelta non è condivisibile perché le verifiche sono processi eterogenei quanto a input, metodologie di con­trollo e a volte, addirittura, a finalità. Le competenze avrebbero dovuto es­sere definite in ragione delle variabili appena citate.

 

ASSENZA DI MODULI OPERATIVI PER LA PREVENZIONE NEL SETTORE DELLE IMPOSTE INDIRETTE E SUI REDDITI

La riforma non incide su uno degli inadempimenti "storici" del Corpo che per la legge d'ordinamento del 1959 deve, non solo reprimere, ma anche prevenire le violazioni finan­ziarie. Le articolazioni operative avrebbero dovuto essere strutturate per tipologie di processi di lavoro e distinguendo i servizi destinati alla prevenzione da quelli deputati alla repressione degli illeciti amministrati­vi e penali.

 

FUNZIONI DI COMANDO

L'accesso al grado di generale di cor­po d'armata avrebbe dovuto consen­tire l'affrancamento dei tenenti e dei capitani più giovani dalle funzioni di comando. Ne sarebbe derivato un duplice vantaggio: da una parte, il recupero alla produzione diretta di risorse di pregio, dall'altra, lo cresci­ta del tenore professionale dell'intera categoria ufficiali che avrebbe potuto affinare per un te"-,po più lungo i fon­damentali della difficile professione.

(giugno 2002)

FRANCO SIMONI

 

III ARTICOLO

“L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI NUOVI COMANDI INTERREGIONALI

Riforme un po’ troppo tarate sulle aspettative dell’elite che le ha concepite

(di S. Innamorato e F. Simoni)

giugno 2002

La riforma avvenuta nella Guardia di finanza è stata presentata e illustrata in maniera positiva e come una conferma della capacità del Corpo di sa­persi dotare di strutture che rispondono e si adeguano alle esigenze della società in continua evoluzione.

Così si è verificato, tra l'altro, che gli "Ispettorati", retti da generali di divisione sono stati trasformati in comandi "leggeri" e, per evitare l'appesantimento dei livelli di comando, i comandi di Legione sono stati assorbiti dai Comandi regionali (già comandi di Zo­na).

Nel contempo, anche gli organici del ruolo ufficiali sono stati notevol­mente aumentati nei gradi di colonnello, generale di brigata e di divisione con lo fruizione del nuovo grado di generale di corpo d'armata. Agli uffi­ciali con il massimo, nuovo grado dovrebbero essere riservati i comandi "leggeri", cioè i preesistenti Ispettorati.

Varie possono essere state le motivazioni che hanno determinato queste innovazioni, ma alcune, inespresse, meritano un cenno.

Per poter avere il diritto a percepire la maggiorazione sulla retribuzione spettante ai gene­rali di divisione, occorreva che al grado corrispondesse anche una funzio­ne di comando contraddistinta, almeno sulla carta, da obiettivi di carattere operativo che comunque non potevano essere assegnati agli Ispettorati.

Tenuto conto della naturale riluttanza dei generali di divisione dell'epoca di ritornare a comandare alcune Zone che potevano essere individuate sullo base di criteri di importanza, al fine comunque di poter beneficiare dell' anzidetta maggiorazione retributiva offerto dallo normativa, anziché abolirli, gli Ispettorati sono stati trasformati in comandi "leggeri" ai quali assegnare obiettivi a livello inter-regionale e nel contempo, come già det­to, i comandi di Legione sono stati assorbiti nei Comandi regionali.

Poco importava, infatti, che i generali di brigata ritornassero o fare i co­lonnelli ed i colonnelli, a loro volta, ritornassero a fare i tenenti colonnelli.

Una volta raggiunto lo scopo anzidetto, i generali di divisione ideatori del­le riforme sono stati tutti promossi automaticamente, per conferimento, ge­nerali di corpo d'armata e hanno visto allungare da 64 o 65 anni il limite per lo loro cessazione dal servizio. Il loro numero è stato fissato in 9, lad­dove i Carabinieri, che sono il doppio dei finanzieri, ne hanno previsti 8; ma specialmente sono stati appositamente creati per loro dei comandi - gli Interregionali, appunto - che sono dichiaratamente inseriti nella linea ge­rarchica, ma che il Comandante generale inspiegabilmente dimentica di considerare quando assegna gli obiettivi annuali di piano.

Questi, infatti, sono attribuiti ai Comandanti regionali lasciando, in tal modo, esenti i ge­nerali di grado più elevato da una scomoda responsabilità. Insomma, una gerarchia "a intermittenza" che indossa le greche quando gestisce il pote­re, le dismette quando c'è da rispondere dei risultati raggiunti.

(giugno 2002)

S. INNAMMORATO

F. SIMONI

 

 

 

 


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