INTERVISTA DI QUADERNI RADICALI A GIUSEPPE FORTUNA E ANTONIO ROBERTI SUL CASO CIRIO E PARMALAT E SUL RUOLO DELLA GUARDIA DI FINANZA

mercoledì 24 marzo 2004

Riportiamo di seguito il testo dell'intervista pubblicato oggi sul sito di Quaderni Radicali e Nuova Agenzia Radicale alla pagina internet http://www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=706

 

QUADERNI RADICALI - NUOVA AGENZIA RADICALE

 

News del 24-03-2004

 

"CASI CIRIO E PARMALAT. INTERVISTA ALL’ASSOCIAZIONE FICIESSE (FINANZIERI CITTADINI E SOLIDARIETÀ)"

 

di Maurizio Navarra

 

I recenti accadimenti intorno ai casi che hanno visto coinvolti consistenti ed importanti settori della nostra industria, sembra abbiano posto sotto accusa tutto il nostro apparato di vigilanza economico–finanziaria. Posto che in Italia è presente ed è operativo il Corpo della Guardia di Finanza, prestigioso e collaudato organo di Polizia Tributaria Investigativa, è necessario un approfondimento di informazione anche per poter comprendere e far comprendere quali siano state le “maglie larghe della rete” attraverso le quali possano essere stati sottratti all’accertamento dello Stato fatti macroscopici come i crak Cirio e Parmalat, di valenza destabilizzante per il nostro Sistema Paese.
L’intervista è stata rilasciata dall’ “Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà – Ficiesse” a «Quaderni Radicali» da Giuseppe Fortuna ed Antonio Roberti, rispettivamente Presidente e Segretario Nazionale del Direttivo Ficiesse.


Che cosa fa, nella realtà, la Guardia di Finanza?

R. Fa quasi esclusivamente repressione. Basta leggere i rapporti annuali. Vi sono esposti soltanto moduli operativi di tipo repressivo: verifiche, controlli, indagini. Come repressivi sono i risultati: tributi evasi, beni sequestrati, persone denunciate. La prevenzione non c’è, anche se è prevista dalla legge d’ordinamento del 1959 come il primo compito della GdiF, che è chiamata, appunto, a “prevenire ricercare e denunciare le evasioni e le violazioni finanziarie”.

Ma in Italia il sommerso bisogna pur combatterlo.

R. Non c’è dubbio. E bisogna farlo con grande determinazione. Ma dobbiamo limitarci a rincorrere i buoi usciti dai recinti o pensare anche a quelli che stanno dentro cercando di farceli rimanere? Noi siamo convinti che la strategia giusta deve saper calibrare gli strumenti della repressione con quelli della prevenzione. Invece, si chiede ai comandi sempre e soltanto di colpire. Un finanziere fa carriera se porta a casa più verbali dell’anno precedente, non se si adopera per far crescere il gettito. Guardiamo il caso degli evasori totali scoperti: il loro numero cresce ininterrottamente da otto anni. Vuol dire che i nostri amici finanzieri sono stati bravi, ma vuol dire anche che non gli si fa fare nulla per prevenire il fenomeno.

In questo quadro, quali erano le possibilità di intervento sul caso Parmalat?

R. Con le attuali competenze del Corpo non c’era alcuna possibilità di intervento. Lo ha detto chiaramente il comandante generale Speciale nell’audizione del 10 febbraio scorso davanti alle commissioni parlamentari. I controlli della polizia tributaria sono finalizzati a scovare l’evasione fiscale e non a scoprire truffe ai danni dei risparmiatori. Si tratta effettivamente di atti fraudolenti che – come ha detto Speciale – “esulano dai normali sentieri investigativi”.

E dov’è allora che non siete d’accordo?

R. Il punto non è su quello che ha fatto o non ha fatto il Corpo, ma su quello che dovrebbe fare nell’immediato futuro. Il punto è la disponibilità della Guardia di Finanza ad assumere un ruolo da protagonista a tutela dei mercati finanziari e dei risparmiatori. E qui la risposta dei vertici militari è stata negativa e deludente.

È grave?

R. I treni quando passano si devono prendere, specialmente se sono uno stimolo di crescita per l’organizzazione. Negli anni Settanta, quando partì la riforma tributaria, successe qualcosa di simile. Fu chiesto alla Guardia di finanza di fare le verifiche esterne alle imprese quando fino ad allora, in quel settore, i finanzieri erano stati impiegati soltanto per redigere verbalini di una paginetta per l’ige, l’imposta generale sulle entrate. Si trattava di mandare fuori da un giorno all’altro sottufficiali e finanzieri, molti dei quali con la scuola dell’obbligo, a controllare che fossero stati pagati tributi nuovi e complessi che nessuno conosceva bene come l’imposta sul valore aggiunto. Anche allora i generali cercarono di resistere, ma la svolta fu ordinata ugualmente e il risultato è stato che la Guardia di Finanza è cresciuta enormemente.

Anche in quest’ultimo caso c’è stata sfiducia nella possibilità del Corpo da parte dei vertici?

R. Probabilmente un diverso tipo di sfiducia. Oggi la Finanza le professionalità di elevato profilo le sa creare, ma non riesce a trattenerle. Il primo problema dei vertici è quello che gli anglosassoni chiamano “retention”, cioè la capacità di mantenere i migliori al proprio interno e di non lasciarseli catturare sul mercato del lavoro dalla concorrenza esterna. E ogni anno è una vera e propria emorragia. Figuriamoci se si acquisissero ulteriori competenze nei confronti dei primari gruppi economici del paese.

E quali sono gli altri problemi?

R. Essenzialmente la paura della corruzione, il terrore che possano ripetersi gli scandali che purtroppo flagellano periodicamente l’istituzione distruggendone la credibilità e l’immagine. Nessuno nel Corpo sa davvero cosa fare.

Ma la Guardia di Finanza ce l’ha davvero la capacità tecnico-professionale per compiere interventi presso realtà aziendali di dimensione internazionale?

R. In questo momento, la Guardia di Finanza è l’istituzione che meglio di ogni altra è in grado di scoprire se un bilancio sia basato o no su documenti falsi perché coniuga la professionalità della polizia giudiziaria con quella della polizia tributaria. I migliori verificatori del Corpo riconoscono a vista i documenti falsi e non si spaventano davanti a masse anche imponenti di documenti contabili. In più, la Finanza ha un’estensione territoriale che gli consente controlli incrociati praticamente in tempo reale in tutto il territorio nazionale, sa attivare gli organi collaterali fiscali e di polizia degli altri paesi e possiede un grosso apparato di intelligence con canali rodati sia in Italia che all’estero.

Si può far qualcosa per rimediare?

R. Purtroppo, temiamo che il treno sia passato e la Guardia di Finanza non ci è salita sopra. Certo, si darà supporto alle authority e si continuerà a lavorare alle dipendenze della magistratura. Ma conquistare spazi di iniziativa in un settore così importante per l’economia come quello della tutela dei risparmiatori sarebbe stato un altro salto di qualità epocale per l’istituzione.

Dà maggiori garanzie al nostro Sistema/Paese nel settore fiscale un Corpo militarmente organizzato oppure sarebbe migliore garanzia un’organizzazione civile?

R. Come ogni organizzazione, anche quella militare ha punti di forza e punti di debolezza. Il punto di forza è essenzialmente uno, ma molto importante: la capacità di reagire con immediatezza alle sollecitazioni del potere politico. Se ad esempio il ministro dell’Economia decide oggi di avviare una campagna per il controllo dei prezzi, vedremo dopo pochissimi giorni finanzieri in divisa nei mercati e nei negozi di tutta Italia. I punti di debolezza sono rappresentati dalla rigidità della struttura e delle carriere, dalla eccessiva e dannosa frammentazione del personale in troppe inutili categorie e dalla inadeguatezza culturale a dominare a costi accettabili scenari operativi troppo complessi, come certamente sono quelli propri di una polizia economica e finanziaria.

Spiegatevi meglio.

R. Il militare nasce per prepararsi alla guerra, ha bisogno di un nemico da sopraffare fisicamente e vive in una dimensione di sfida continua. Se non gli si fa vedere un nemico si siede, si svuota, vivacchia ed il rischio di comportamenti opportunistici o devianti è più elevato che nelle organizzazioni civili. Inoltre, quando si enfatizza troppo il valore dell’obbedienza, valore indispensabile se non ci vuol sfaldare davanti al nemico, si paga inevitabilmente un prezzo in termini di dialettica e di confronto interno e quindi anche di capacità di modernizzazione e di innovazione. Alla lunga, i professionisti migliori se ne vanno e l’organizzazione entra inevitabilmente in crisi.

Questo vale anche per i carabinieri?

R. I carabinieri sono agevolati perché operano in uno scenario meno ampio e più stabile di quello della Guardia di finanza. Basti pensare al precedente codice di procedura penale, che è rimasto in vigore per quasi sessant’anni, dal 1930 al 1988.


L’intervista ha termine ed offre un quadro complessivo non incoraggiante. La Guardia di Finanza è quindi un’organizzazione altamente qualificata e specializzata, ben disposta a livello territoriale, dalle possibilità operative non comuni. Un’organizzazione che ha però l’attitudine a perdere i suoi quadri più preparati, ed è relegata a svolgere una funzione di mero controllo. Una funzione certamente necessaria, nessuno può mettere in dubbio il concetto, ma che non può ritenersi esclusiva a meno che si passi il principio (erroneo) che una repressione forte e capillare abbia di per sé sola il potere di agire da fattore di prevenzione.
L’Arma dei Carabinieri opera in un settore diverso ed ha problematiche diverse. Se ci si limita a vedere l’Arma soltanto come Polizia Giudiziaria, i compiti appaiono più semplici e lineari. Una riflessione di superficie, che non tiene conto di tutte le specializzazioni che vedono i Carabinieri protagonisti in disparati settori organizzativi, di prevenzione e di controllo. Ma l’Arma è di fatto protagonista di una rivoluzione copernicana dal momento in cui è divenuta la quarta Forza Armata dello Stato. La prima Forza Armata dello Stato a poter contare su forze professionali, addestrate e specializzate in settori di impiego operativo non facili.
Modernizzare le due strutture militari è una sfida reale del nostro Paese. Dotare queste strutture di un sistema democratico interno, capace di poter realmente fornire una linea di confronto autentico alla linea gerarchica, potrebbe essere il nodo gordiano da sciogliere per vincere questa sfida.

Maurizio Navarra

 


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