Il COMPARTO SICUREZZA E DIFESA SEMPRE PIÙ ESCLUSO DALLE RIFORME PER IL MIGLIORAMENTO DELLA COMPETITIVITÀ E DELLA PRODUTTIVITÀ DELLA P.A. (di Gianluca Taccalozzi)

mercoledì 30 aprile 2008

Nella campagna elettorale appena terminata tutte le forze politiche hanno proposto riforme per migliorare la produttività e la competitività e del sistema economico “Italia”, come, ad esempio, lo snellimento della burocrazia, la riforma del pubblico impiego, il ripensamento della contrattazione collettiva nazionale dei contratti di lavoro, la detassazione del lavoro straordinario e dei “premi produzione”, l’incentivazione della contrattazione di secondo livello o “aziendale”, ecc..

Per la copertura finanziaria necessaria alla realizzazione delle stesse riforme, le stesse forze politiche (non potendo chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini) hanno proposto soluzioni più o meno uguali come razionalizzazione della spesa pubblica e/o lotta all’evasione fiscale.

La netta vittoria del Popolo della Libertà, con relativa larga maggioranza parlamentare, la scomparsa dal Parlamento dei rappresentanti delle posizioni più estreme (Destra e Sinistra Arcobaleno) e l’opposizione “collaborativa” del Partito Democratico e dell’UDC fanno ragionevolmente ipotizzare che il futuro Governo possa finalmente imbastire e realizzare le riforme economiche che servono al Paese.

In questo ambito, la Guardia di Finanza si presenta in una doppia veste di amministrazione pubblica:

Ø         come “oggetto” delle riforme tese a migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione in termini di maggiore produttività, migliore qualità del servizio e minori costi;

Ø         istituzionalmente impegnata nella lotta all’evasione fiscale.

Tuttavia, il percorso riformatore che, si spera, potrebbe configurarsi sembrerebbe ancora escludere le amministrazioni del comparto sicurezza e difesa.

Infatti, tutti i progetti di riforma in discussione e, in particolare, la detassazione dello straordinario e l’incentivazione della contrattazione di secondo livello sono tarati sul mondo del lavoro privato e pubblico “privatizzato”, ovvero per modelli di organizzazione aziendale che, tra l’altro, prevedono (nel settore privato) o dovrebbero prevedere (nel settore pubblico):

Ø         una gestione di tipo imprenditoriale, basata sul principio dell’ efficienza (maggior risultato/minori costi);

Ø         una contrattazione (di primo e secondo livello) piena e basata su principi privatistici;

Ø         un‘elevata responsabilità sia dirigenziale che esecutiva operativa verso il risultato operativo (risultati ottenuti/risorse impiegate).

(Vero è che nel pubblico impiego la responsabilità verso il risultato operativo risulta ancora troppo scarsa e rappresenta il vero punto critico della pubblica amministrazione su cui bisognerebbe agire con decisione.  Ciò comporta ancora evidenti differenze tra il lavoro privato e quello pubblico privatizzato e darebbe sì che anche le riforme oggi proposte otterrebbero risultati ben più soddisfacenti nel settore privato e ben meno soddisfacenti nel settore pubblico.)

Al contrario, per il pubblico impiego non contrattualizzato, costituito in larga parte dal comparto sicurezza e difesa, le proposte di riforma in discussione non solo non produrrebbero effetti positivi ma addirittura andrebbero a peggiorare una situazione già critica, sia in termini di efficienza che di democraticità/equità nella gestione del personale.

I modelli di organizzazione di questo settore, infatti, non sono stati interessati dalla riforma del pubblico impiego “c.d. privatizzazione del pubblico impiego” ed è, in pratica, rimasto fermo al primo dopoguerra per le amministrazioni militari ed al 1981 per le amministrazioni civili-speciali.

Le amministrazione del comparto, così, sono ancora organizzate sul modello gerarchico-burocratico (di cui il modello militare è il prototipo) ormai rimasto in uso nei paesi occidentali solo per il settore difesa, modello che, al contrario del precedente,  prevede:

Ø         una gestione di tipo “paternalistico” legata a principi di mera efficacia (conta solo il risultato ottenuto e non i metodi o le risorse impiegate), con una conseguente responsabilità (sia dirigenziale che esecutiva) scarsa verso il risultato operativo in termini di efficienza (risultato ottenuto/risorse impiegate) e rilevante in termini di efficacia (risultato ottenuto);

Ø         una contrattazione monca (solo per le amministrazioni civili) o inesistente (per le amministrazioni militari dove esiste solo la negoziazione), dove le materie oggetto di contrattazione/negoziazione sono molto limitate;

Ø         l’assenza della contrattazione/negoziazione di II livello (per le amministrazioni militari);

Ø         una negoziazione fortemente sbilanciata, nelle amministrazioni militari, dove, infatti, si registra un importante squilibrio tra il potere contrattuale imprenditoriale (qui pressoché identificabile con quello dirigenziale) ed il potere contrattuale del personale, in ragione notevole autonomia dirigenziale e degli inadeguati e poco incisivi meccanismi di tutela e rappresentanza del personale.

Capite bene che riforme come la detassazione dello straordinario o della retribuzione incentivante o il potenziamento della contrattazione di secondo livello per premiare la produttività ed il merito, non possono e non potranno mai trovare accoglimento, o solo produrre effetti positivi, in un modello di organizzazione:

Ø         che non prevede e/o che  “mal tollererebbe” forme di contrattazione piene di primo e, tanto più, di secondo livello;

Ø         dove, a causa della scarsa responsabilità operativa, il lavoro straordinario non di rado viene disposto e/o effettuato e successivamente autorizzato senza i caratteri di assoluta straordinarietà ed indilazionabilità di esigenza operativa e spesso gestito con criteri di mera integrazione del trattamento economico fondamentale (c.d. a pioggia); 

Ø         dove il lavoro straordinario è previsto e riconosciuto anche al personale dirigente, caso unico nel panorama nazionale.

Ecco perché, prima di ogni altra riforma, si dovrebbe:

1. dividere il comparto sicurezza e difesa in due distinti comparti (come in tutti i Paesi occidentali), con il netto e definitivo spostamento dell’Arma dei Carabinieri e, soprattutto, della Guardia di Finanza nel comparto sicurezza;

2. adottare un modello di organizzazione militare moderno ed efficiente tipo quello tedesco per le amministrazioni del comparto difesa;

3. adottare un modello di organizzazione civile-manageriale tipo quello utilizzato nel settore privato o pubblico “privatizzato” con le dovute limitazioni (es. di diritto allo sciopero) e con obiettivi reali e tangibili e bilanci pubblici e trasparenti, per le amministrazioni del comparto sicurezza;

4. razionalizzare compiti e competenze delle amministrazioni del comparto sicurezza evitando inutili e costose sovrapposizioni.

Tuttavia, sembra che questi temi non interessino la politica anzi, da quanto udito nell’ultima campagna elettorale, gli unici argomenti di discussione sul comparto sicurezza e difesa e, più in particolare, sulla Guardia di Finanza, sembrano di nuovo essere:

-         la provenienza “interna” del Comandante Generale (cui sono estremamente contrario, in quanto comporterebbe effetti irrisori sull’efficienza della gestione del Corpo ed aumenterebbe esponenzialmente la conflittualità interna);

-         l’assegnazione di maggiori risorse finanziarie ed umane (in quantità più che in qualità);

-         il rinnovo del contratto di lavoro e la rivendicazione del premio di produzione dell’Amministrazione finanziaria. 

Tutti temi nobili e degni della massima  attenzione ma che sono rivolti all’interno ovvero al solo benessere del personale e non all’interesse generale del Paese e che non permetterebbero, quindi, di migliorare l’efficienza.

In questo contesto, le amministrazioni del comparto sicurezza, se, come probabile, saranno escluse dalle riforme in discussione o se, ancor peggio, saranno interessate dalle medesime,  rischiano di vedere aumentata la “forchetta” che le separa dal pubblico impiego privatizzato, in termini di efficienza, competitività e contenimento della spesa pubblica.

Usando una metafora si può descrivere l’attuale situazione nei termini che seguono.

Si propone di inserire il “turbo” o il “cambio automatico” (detassazione dello straordinario o incentivazione della contrattazione di II livello) sulle carrozze a cavallo (amministrazioni militari) o sulle prime autovetture del ‘900 (amministrazioni civili-speciali).

Al contrario, si dovrebbero trasformare le “carrozze a cavallo” (forze di polizia ad ordinamento militare) e le “autovetture del ‘900” (forze di polizia ad ordinamento civile) in “moderne autovetture” (aziende privato e pubblico impiego privatizzato), per poi proporre l’introduzione del “turbo” e del “cambio automatico” (riforme attualmente in discussione).

 

Mentre, oggi, le “autovetture” (amministrazioni pubbliche privatizzate e private) si rendono sempre più moderne e competitive e le amministrazioni del comparto sicurezza e difesa restano “carrozze e autovetture obsolete”.

A rischiare maggiormente è proprio la Guardia di Finanza, per la quale la forchetta in parola potrebbe assumere dimensioni enormi, in quanto il Corpo opera:

Ø         nel settore tributario-finanziario (tornando alla precedente metafora “una moderna autostrada”) connotato da un’estrema dinamicità e da un esasperato tecnicismo per cui si richiede sempre maggiore professionalità, laddove peggio si adegua l’organizzazione militare;

Ø         in competizione con l’Agenzia delle Entrate (tornando alla precedente metafora “la migliore “autovettura”), ovvero l’amministrazione pubblica che più e meglio di tutte si è aperta al modello di organizzazione introdotto dalla privatizzazione e che più e meglio si sta adeguando ai canoni di efficienza richiesti dal tempi, tanto da uscire indenne dai “tagli” alla spesa pubblica degli ultimi anni ed, anzi, da attirare maggiori risorse.

Io ritengo che non si possa più tenere il settore sicurezza fuori da ogni processo di riforma con lo strumentale pretesto derivato dai “particolari compititi istituzionali”, soprattutto alla luce dell’attenzione che il tema della sicurezza suscita nell’opinione pubblica. Credo, però, che non servano più addetti, più risorse o riforme tese solo ad accontentare il personale, ma si dovrebbe razionalizzare ed utilizzare al massimo del loro potenziale le risorse già a disposizione, con riforme realizzate nell’interesse generale del Paese.

Riforme che, se realizzate, porterebbero sicuri vantaggi al personale (dirigente, direttivo ed esecutivo) più competitivo ed impegnato, quello che quotidianamente mantiene gli standard dei risultati operativi delle amministrazioni in argomento, oggi purtroppo senza un adeguata premiazione dei carriera e retributiva, spinto da motivazioni personali inevitabilmente destinate a scemare con il passar del tempo.

 

GIANLUCA TACCALOZZI

Segretario della Sezione Ficiesse di Roma

e.mail: gianlucataccalozzi@alice.it

 


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