IL GHIGNO IRONICO DEL FISCO. (da italiaoggi.it)

martedì 03 dicembre 2019

Il ghigno ironico del fisco La politica fiscale sembra avere qualche problema di schizofrenia. Da una parte la legge di bilancio inasprisce le sanzioni penali, dall’altra la giurisprudenza salva chi non ha versato imposte per mancanza di liquidità. E si può fare di più...

Da una parte il fisco gentile, l'enfasi sulla compliance del contribuente, il tentativo di venire incontro alle sue difficoltà con norme di favore come il ravvedimento operoso sempre più esteso e la possibilità di chiedere la rateizzazione del debito tributario sempre più ampia. Dall'altra, una fiscalità punitiva con l'abbassamento delle soglie di rilevanza penale e l'introduzione nel decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio di confisca per sproporzione, inasprimento delle pene e responsabilità ex lege 231 anche per i reati tributari. Insomma, la politica fiscale sembra avere qualche problema di schizofrenia. Paradigmatico il trattamento riservato all'imprenditore che pur avendo presentato regolare dichiarazione dei redditi o Iva non ha poi versato le relative imposte per mancanza di liquidità.

Mentre il legislatore sembra aver scelto di puntare sempre di più sull'inasprimento delle sanzioni abbassando la soglia della rilevanza penale da 250 a 150 mila euro, al contrario, la giurisprudenza, che fino a poco tempo fa aveva adottato criteri molto rigidi, negando la rilevanza, per l'integrazione del reato, dei motivi sottesi al mancato versamento, ora sembra svoltare in senso più liberale. Una pietra miliare è quella posta da una sentenza delle Sezioni unite del 2013, che ha ritenuto sufficiente per l'incriminazione penale la consapevolezza dell'inadempimento, e che è stata invocata dalle pronunce successive per giustificare l'irrilevanza dell'esistenza o meno di una reale crisi di liquidità e i motivi di questa crisi. Ma ora questo orientamento è contestato dall'emergere di un nuovo filone interpretativo che si sta consolidando in sentenze sia di merito sia di legittimità che considerano la continuità aziendale sufficiente a escludere il dolo e quindi la punibilità. In pratica, qualora l'imprenditore non abbia potuto versare imposte e contributi per una mancanza di liquidità a lui non imputabile (esempio, ritardi di pagamento di una pubblica amministrazione, oppure fallimento del cliente principale) non ci sarebbe responsabilità penale (un emendamento in questo senso è stato presentato nei giorni scorsi anche al dl fiscale).

Interessante notare come due tra i temi politicamente più caldi del momento, quello del salvataggio delle imprese in crisi (es. Ilva o Alitalia) e quello della lotta all'evasione (o meglio, dell'uso dello strumento penale per salvaguardare le ragioni dell'erario), sembrano entrare in corto circuito.

Anche perché salvare l'impresa in crisi di liquidità può voler dire anche salvare il gettito futuro, oltre ai posti di lavoro attuali e futuri.

E forse non è un caso se, mentre il pendolo della politica legislativa va in nella direzione di accentuare sempre più la spinta repressiva, anche penale, la giurisprudenza penal-tributaria sembra svoltare nella direzione opposta e riconoscere che contro le leggi dell'economia non c'è sanzione che tenga e che, quando la crisi è reale, il codice penale, utilizzato come una clava, può solo aggravarla. Infatti, recentemente la Cassazione ha escluso il delitto di omesso versamento dell'Iva quando l'imprenditore ha provveduto al pagamento di dipendenti e fornitori in una prospettiva di continuità aziendale, nella convinzione, cioè, che tale scelta consenta di proseguire l'attività d'impresa attraverso il conseguimento di ricavi e di utili.

A questo punto sarebbe forse sensato trarre le conseguenze più logiche da questo orientamento con una norma che consentisse in ogni caso la dilazione dei pagamenti in dieci o venti anni, alle aziende che hanno dichiarato regolarmente le imposte, ma poi non le hanno versate per mancanza di liquidità. Ci sono in Italia centinaia di migliaia di partite Iva che, trovandosi in questa situazione, hanno presentato negli ultimi anni una regolare dichiarazione dei redditi, ma poi non hanno effettuato i versamenti, sperando di poterlo fare con il ravvedimento operoso o dopo aver ricevuto l'avviso bonario da parte dell'Agenzia delle entrate. Si tratta di contribuenti onesti, ma in difficoltà finanziarie, come dimostrato dal loro comportamento. L'ammontare delle imposte non versate, ma dichiarate regolarmente nella speranza di tempi migliori, pare sia addirittura di 20/30 miliardi di euro. Una somma certamente impossibile da recuperare, nemmeno introducendo la pena di morte. Ma che forse potrebbe essere in gran parte incamerata in tempi brevi dall'erario grazie alla cessione del credito ad apposito veicolo finanziario. In questo modo si garantirebbe un immediato beneficio alle finanze pubbliche e la possibilità, per centinaia di migliaia di partite Iva, di proseguire l'attività.

 

Fonte: https://www.italiaoggi.it/news/il-ghigno-ironico-del-fisco-2404794

 

 

 

 


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