L'ASSENZA PER MALATTIA PUÃ’ COSTARE AGLI STATALI FINO A 80 EURO AL GIORNO (da IL SOLE 24 ORE)

martedì 05 agosto 2008

IL SOLE 24 ORE - 4 agosto 2008

L'ASSENZA PER MALATTIA PUÃ’ COSTARE AGLI STATALI FINO A 80 EURO AL GIORNO

di Arturo Bianco e Gianni Trovati

Più di 800 euro in dieci giorni. Tanto può costare l'assenza per malattia dei dipendenti pubblici con le nuove regole anti-assenteismo introdotte dalla manovra d'estate, che per i primi dieci giorni con il certificato medico taglia dalla busta paga tutte le forme di «trattamento accessorio», lasciando all'interessato solo lo stipendio tabellare e poco più.

Gli effetti concreti, naturalmente, dipendono dal comparto e appaiono in media più pesanti per i 521mila lavoratori di Regioni ed enti locali, seguiti dai 189mila dei ministeri e dai 54mila delle agenzie fiscali; tra i più "fortunati", invece, possono rientrare i lavoratori della scuola, cioè il settore pubblico più "affollato" (1,5 milioni) e i 687mila che lavorano nella sanità. In ogni caso, il peso dell'inedita stretta anti-assenteismo cresce assieme agli scalini della gerarchia, non solo in valore assoluto (com'è ovvio) ma anche in rapporto alla retribuzione lorda. Nel pubblico impiego, infatti, quando si sale di livello la retribuzione ne guadagna sotto forma di componenti aggiuntive (a partire dalla retribuzione di posizione) direttamente interessati dalla stretta, mentre lo stipendio tabellare, escluso dalla norma, cresce a ritmi molto più blandi.

Il caso degli enti locali mostra bene questa dinamica. Con una retribuzione di posizione di 25mila euro, la malattia costa 80 euro al giorno: se questa voce sale al livello massimo (44mila euro), il prezzo da pagare alla stretta anti-assenteismo arriva a oltre 140 euro, dunque 1.400 euro in 10 giorni. Lontano dalla dirigenza, gli effetti si attenuano: per un dipendente di categoria C, per esempio, il sacrificio sull'altare dell'efficienza è costituito dall'indennità di comparto (meno di due euro al giorno) e, se può contare su un'indennità «di specifica responsabilità» di 2mila euro all'anno, su poco più di 6 euro aggiuntivi. Risultato: a lui 10 giorni di malattia costano il 4,6% dello stipendio lordo, al dirigente il 15,5 per cento.

A spiegare il primato dei dirigenti locali interviene anche un altro fattore: la loro retribuzione «di posizione», come ha spiegato in una nota recente l'Aran, l'agenzia per la contrattazione nel pubblico impiego (si veda Il Sole 24 Ore del 16 luglio), rientra tutta nel «trattamento accessorio», cioè nella parte di stipendio che decade con i primi 10 giorni di malattia. Non succede così negli altri comparti dove, lo ha confermato la Funzione pubblica nella circolare 7/2008, la stessa voce ha una parte fissa, che quindi sopravvive al certificato medico.

Basta questa singolare disparità di trattamento fra voci analoghe, che per essere risolta ha bisogno di un intervento ministeriale, per intuire le difficoltà dell'applicazione pratica della misura. Difficoltà inevitabili per chi decide di addentrarsi nelle 162 diverse indennità che compongono la foresta degli stipendi pubblici.

Prendiamo ad esempio il caso del servizio sanitario. Nella busta paga dei medici è presente l'indennità «di esclusività», che costituisce una parte a sé dello stipendio e nasce per remunerare (arriva a sfiorare i 18mila euro per un direttore di area chirurgica) la scelta di non operare in altre strutture. Secondo l'interpretazione sindacale, naturalmente, questa voce non è compresa dal taglio e l'esclusione spiega gli effetti limitati della norma sugli stipendi dei medici indicati in tabella. Ma su questo, come su molti altri aspetti puntuali destinati a emergere dalle incertezze delle amministrazioni e dalla loro esigenza di mettersi al riparo dal contenzioso, manca ancora un'interpretazione ufficiale. Per le agenzie fiscali, invece, i calcoli si appuntano sull'indennità di amministrazione (si veda anche l'articolo in basso), che oscilla dai 300 ai 900 euro mensili a seconda dell'inquadramento. I calcoli pubblicati in pagina, quindi, sono solo indicativi, basati su profili-tipo e aperti alle incertezze applicative ancora presenti sulla scena. E rimaste in larga parte intatte anche dopo la circolare 7/2008 della Funzione pubblica, che ha ribadito l'obbligo di far scattare la visita fiscale fin dal primo giorno ma ha rimandato i criteri alle interpretazioni contrattuali.


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