LA SPECIFICITA’ DANNEGGIA I MERITEVOLI. LE RIFORME DEL PUBBLICO IMPIEGO SERVIREBBERO ANCHE PER I FANNULLONI IN DIVISA - di Gianluca Taccalozzi.

giovedì 04 giugno 2009

LA SPECIFICITA’ DANNEGGIA I MERITEVOLI. LE RIFORME DEL PUBBLICO IMPIEGO SERVIREBBERO ANCHE PER I FANNULLONI IN DIVISA - di Gianluca Taccalozzi.

Il dibattito sulle riforme del pubblico impiego imperversa su tutti i media; politica, sindacati, intellettuali, associazioni dei consumatori, dirigenza pubblica, tutti gli interessati fanno sentire la loro voce ed anche i protagonisti del comparto sicurezza e difesa, seppur non direttamente interessati dai provvedimenti all’ordine del giorno, guardano con attenzione ed, in qualche caso, con preoccupazione a quanto accade nel settore pubblico contrattualizzato. Non fosse altro perché la storia insegna che quanto sperimentato nel settore pubblico privatizzato viene poi, in buona parte, attuato anche nel settore non privatizzato.
C’è però un parte di personale pubblico (privatizzato e non) che fino ad oggi non ha mai avuto voce in capitolo e da anni si sobbarca la stragrande maggioranza del lavoro a fronte di stipendi non adeguati alle performance prodotte e con ormai la considerazione generale, a torto o ragione, che lavoratore pubblico = fannullone. Si tratta di quella sacca di impiegati virtuosi, “lavoratori spremuti” come li definisce il Prof. Pietro Ichino[1], ossia di quelli che portano avanti il lavoro negli uffici pubblici coprendo le inefficienze ed il “fannullismo” di tanti colleghi più furbi e disonesti, con stipendi uguali e/o spesso superiori.
Già, perché in genere nel pubblico impiego (comparto sicurezza incluso) si usano metodi diversi ed opposti per la fase di pretesa del lavoro e per la fase di premiazione dello stesso. Infatti, quando si affida un compito viene scelto l’incaricato in base alla competenza, all’impegno, all’affidabilità; al contrario quando si tratta di dover scegliere a chi assegnare premi, promozioni o quant’altro, prevalgono logiche e metodi molto meno virtuosi (a pioggia, ad anzianità, per conoscenze, relazioni, ecc.). Una situazione contraddittoria ed inopportuna che ha contribuito a creare nel pubblico impiego una cultura della competitività distorta ossia tesa al raggiungimento di obiettivi poco virtuosi quali: fare di meno, ricoprire incarichi meno responsabili, “imboscarsi” ….. tanto comunque il trattamento economico e la carriera seguono logiche diverse e distanti dalla performance prodotta.
Tante e di tanti sono le colpe e le responsabilità che hanno causato questa situazione: c’è chi dice la dirigenza pubblica (ma da chi è nominata?), c’è chi dice il sindacato (ma non c’è anche nel settore privato? E nelle amministrazioni dove il sindacato non c’è la situazione è forse diversa?), c’è chi dice che tutto ciò è inevitabile perché il lavoro pubblico non è misurabile (ma allora perché non assegnare le pratiche e gli incarichi per ruolo o grado e non per competenza, impegno, ecc.? In quel momento non si è già fatta una valutazione del dipendente?), c’è chi dice che è meglio non valutare altrimenti si potrebbero generare iniquità ed ingiustizie (ma non è già una grande ingiustizia non retribuire i lavoratori per quello che realmente producono?).
Oggi premiare il merito nella pubblica amministrazione deve essere alla base di ogni riforma, pena l’insuccesso di questa; una direzione obbligata che si propone di creare competitività e premiare il merito anche nel pubblico impiego. Certo, in un futuro sistema di carriere e retribuzioni basato sulla misurazione della performance bisognerà vigilare affinché si utilizzino nella giusta direzione gli eventuali meccanismi premiali e che ogni figura professionale, a qualsiasi livello, sia in qualche modo controllata e giudicata per i risultati ottenuti. Ma se l’alternativa è rimanere come si è organizzati oggi, cioè non giudicare, non misurare, non valutare, premiare a pioggia o esclusivamente per anzianità, ecc., ecc., a vincere saranno sempre i soliti (furbi, imboscati, adulatori, ecc.) ed a perdere sempre gli stessi (meritevoli, onesti e, sopratutto, il cittadino/datore di lavoro).
Dunque, oggi nel pubblico impiego privatizzato si stanno approntando riforme (tagli, razionalizzazioni, riforma della contrattazione, riforma degli ordinamenti e delle regole di impiego) che, se correttamente e concretamente attuate, porterebbero alla riscossa dei lavoratori onesti e meritevoli. Una categoria di dipendenti/dirigenti, troppo spesso dimenticata anche dai sindacati, che non ha paura di essere valutata e premiata per quello che rende e ora (almeno sulla carta) sembrerebbe finalmente messa al centro di concrete proposte legislative.
E nel comparto sicurezza cosa succede?
I lavoratori spremuti esistono anche in questo comparto; anzi, l’assenza di un sindacato (nelle amministrazioni militari), l’esasperata gerarchia degli ordinamenti, la notevole autonomia dirigenziale ed il trattamento economico legato a doppio filo con l’anzianità di servizio, rendono questa categoria ancora più danneggiata rispetto a quanto accade nel pubblico impiego contrattualizzato e rimanere fuori dal processo di riforma in atto per gli altri dipendenti pubblici rappresenterebbe, per loro, un ulteriore grave danno.
Per questa categoria di poliziotti/finanzieri/carabinieri è necessario, a mio avviso, che gli ordinamenti e le regole di impiego delle rispettive Amministrazioni vengano pienamente interessati dalle riforme in atto nel pubblico impiego e non invece esclusi (unitamente alle Forze Armate) in nome di una marcata specificità (costituzionalmente e logicamente giustificata solo per il comparto difesa), di futuri ed aleatori vantaggi economico/previdenziali (ad oggi solo promessi) o di una maggiore efficienza, peraltro del tutto apparante, garantita dall’assenza di sindacati.
Viva l’Italia, viva le corporazioni e gli interessi particolari.

GIANLUCA TACCALOZZI
Segretario Sezione Ficiesse Roma
gianlucataccalozzi@alice.it
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[1] Pietro Ichino - I Nullafacenti - Mondatori 2006;
 


 


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