CONGRESSO NAZIONALE FICIESSE 2009, DOCUMENTO DEPOSITATO DALLA SEZIONE DI GENOVA

giovedì 19 novembre 2009

Relazione congressuale della sezione Genovese.

Sono trascorsi dieci anni dalla fondazione della nostra associazione, oggi al suo terzo congresso merita certamente l’attenzione, il plauso, la celebrazione ed il meritato riconoscimento per l’importante lavoro fin qui svolto.
Il tutto è stato autorevolmente illustrato dal Segretario Carlo Germi e dai molti delegati che sono intervenuti.
Condivido tutto e quindi evito di insistere su meriti e su successi.
Ci sono! Sono evidenti a tutti, ne siamo tutti orgogliosi.

Ma oggi è anche il giorno delle critiche, critiche costruttive, finalizzate ad aiutarci a rientrare nella realtà ed a migliorare i nostri futuri progetti “politici”.

Nel 2002 una circolare, in netto ed evidente contrasto con le norme vigenti, “abrogava” il diritto di migliaia di finanzieri di ricevere il giusto compenso per le ore di straordinario effettuate in giornata festiva.
All’epoca, come ben ricorderanno molti di voi, la problematica è stata portata all’attenzione del direttivo nazionale, il quale purtroppo, distratto da mille altri problemi, non ha compreso la portata del disagio che i finanzieri erano costretti a subire.
Si è così persa l’occasione per far sentire la presenza e la solidarietà dell’associazione
a quanti si trovano in difficoltà a causa di ingiusti trattamenti.
Un adeguato intervento dell’associazione, tramite i mezzi di comunicazione, avrebbe potuto evitare a migliaia di finanzieri e centinaia di soci, sia di subire una ingiusta decurtazione della compensazione, sia di buttare dei soldi presso gli studi legali.
Per il futuro è gradita una maggiore attenzione, anche perché, solo entrando nel concreto dei problemi possiamo dimostrare la bontà delle nostre finalità ed acquisire la giusta credibilità.


La progressione di carriera nelle FF.PP., la riforma incompiuta.
Le anomalie del novello ruolo sovrintendenti.

La storia delle anomalie nella progressione di carriera ha origini lontane e radici profonde nel tempo. La consapevolezza del diritto, riconosciuto dalla Costituzione, al miglioramento delle condizioni di lavoro ed economiche, si sviluppa e si diffonde tra gli addetti alla sicurezza negli anni 70, quando finanzieri e poliziotti democratici iniziano a reclamare a gran voce il riconoscimento dei diritti fondamentali di cittadini e lavoratori:
Smilitarizzazione, sindacalizzazione, carriera aperta dai gradi più bassi, effettivo impiego nel rispetto delle funzioni.( molti di voi ricordano: basta con i finanzieri camerieri, i finanzieri cuochi, i finanzieri tuttofare ecc…ecc…).
Sul versante dei diritti fondamentali sappiamo com’è andata.
Ha prevalso la scelta della divisione, utile a garantire una migliore gestione.
Ci troviamo così, ancora oggi, a vivere la grave anomalia per un Paese democratico, quella di vedere due corpi di polizia, CC e G.di F., militarizzati e privati dello strumento sindacale.
Per quanto riguarda, invece, la progressione di carriera e l’impiego nel rispetto delle funzioni, nessuna di queste Amministrazioni sembra abbia fatto dei grandi passi avanti.
Infatti siamo fermi agli anni settanta, nel tempo è aumentata solo la confusione tra ruoli, gradi e funzioni.

Dopo la legge 121/81, con la quale si è tentato di dare una risposta alle esigenze organizzative della Polizia di Stato, nel 1991 è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza nr. 277, la quale metteva in chiaro che le funzioni dei sottufficiali dei carabinieri sono identiche alle funzioni degli ispettori della polizia di stato.
Da qui l’esigenza di un riordino delle carriere per il ripristino di un equo trattamento.
Il provvedimento legislativo arriva solo nel 95, senza però raggiungere quasi nessuno degli obiettivi prefissati, infatti, ancora oggi subiamo la disparità di trattamento tra i vari ruoli ed osserviamo impotenti la grande confusione tra qualifiche, funzioni ed effettivo impiego.
Particolarmente grave risulta la condizione in cui versa il ruolo sovrintendenti, incaricato a svolgere le funzioni del ruolo superiore si ritrova privato di un adeguato sbocco di carriera e fortemente penalizzato nel livello economico, ad aggravare le precarie condizioni, si aggiunge il trattamento penalizzante nel campo della formazione permanente.

Nonostante la legge delega nr.216 del 92 detti due principi fondamentali:
• il primo impone la scrupolosa corrispondenza tra funzioni assegnate e trattamento economico e di carriera - principio vigente nel pubblico impiego già dal 1983 con l’approvazione della legge nr.93 –
• il secondo stabilisce le modalità di accesso al ruolo superiore.

Ambedue sono stati disattesi a discapito dei sovrintendenti.
Ruolo che oltre al danno, oggi, deve sopportare anche la beffa di vedersi privato della rappresentanza in seno al Co.ce.r..

Se proviamo ad osservare nel panorama Europeo delle forze armate e forze di polizia, non troviamo un ruolo corrispondente al nostrano sovrintendente, ed ovviamente, non esistono due ruoli con le medesime qualifiche impegnati nelle medesime funzioni.
Si nota spesso, invece, un’armonica e democratica progressione di carriera concretamente aperta a tutti gli appartenenti ai vari Corpi.

Il personale del ruolo sovrintendente vive con grande disagio la peculiare condizione lavorativa, il disagio maggiore deriva dal fato che pur essendo titolare delle impegnative qualifiche di ufficiale di polizia giudiziaria e tributaria, si vede costretto ad operare all’interno di un ruolo privo di un’adeguata progressione di carriera, schiacciato sotto il peso del ruolo ispettori (23 mila unità)che di fatto svolge le medesime funzioni.

I sovrintendenti vogliono attenzione e rispetto per il proprio lavoro e chiedono semplicemente che gli venga riconosciuto il criterio adottato per l’assetto retributivo dei dipendenti pubblici, criterio richiamato nella legge nr. 121/81 e consolidato in varie decisioni della Corte Costituzionale, il quale stabilisce che sulla base della omogeneità delle funzioni non può che spettare un identico trattamento economico.

La mancata applicazione di detto principio viola il combinato disposto agli artt. 3, 36, 97 della nostra Carta Fondamentale.
Inoltre, è appena il caso di ricordare che le buone regole, finalizzate ad una corretta progressione di carriera, costituiscono un importante presidio democratico interno.
La nostra proposta per un nuovo riordino prevede:
l’attuazione di una vera “apertura di carriera” che parta dal basso;
il sano equilibrio tra merito, titoli e anzianità di servizio;
la concreta corrispondenza tra qualifiche, ruoli, funzioni, effettivo impiego.
Per il futuro,
per avere una G.di F. più moderna e meglio integrata nella società, sarebbe opportuno prevedere due sole scuole: finanzieri ed ufficiali.
Riservando l’accesso alla scuola finanzieri ai giovani con titolo di studio diploma di secondo grado, mentre per l’accesso alla scuola ufficiali va prevista una laurea di secondo livello.

 

In questo panorama politico, però, una semplice proposta ci appare scarsamente efficace, chiediamo quindi a ficiesse, uno sforzo ulteriore:
l’organizzazione di un ricorso collettivo teso a ripristinare i diritti costituzionali oggi negati al ruolo sovrintendenti.
A nostro modesto parere, solo dopo aver ripristinato e riconosciuto i diritti di lavoratori dei sovrintendenti, si creeranno le condizioni favorevoli per il miglioramento della progressione di carriera di appuntati, finanzieri ed ispettori.
Nel supremo interesse del buon andamento dell’Amministrazione.

La nostra associazione fino ad oggi ha fatto molto per il riordino delle carriere ed in particolare per il ruolo sovrintendenti, con la pubblicazione di tante preziose lettere sulla prima pagina del sito, e con il topic sul forum dedicato al ruolo sovrintendenti, dal quale sarà tratto il “Libro Bianco dei Sovrintendenti”.


Il benessere organizzativo sul luogo di lavoro.

Il Benessere Organizzativo.
È entrato a far parte a pieno titolo degli obiettivi delle Pubbliche amministrazioni con una Direttiva del Ministero della Funzione Pubblica con la quale le amministrazioni sono state invitate, adottando le opportune forme di relazioni sindacali, a valutare e migliorare il benessere all’interno della propria organizzazione rilevando le opinioni dei dipendenti sulle dimensioni che determinano la qualità della vita e delle relazioni nei luoghi di lavoro e realizzando opportune misure di miglioramento per:
-valorizzare le risorse umane, aumentare la motivazione dei collaboratori, migliorare i rapporti tra dirigenti e operatori, accrescere il senso di appartenenza e di soddisfazione dei lavoratori per la propria amministrazione;
-rendere attrattive le amministrazioni pubbliche per i talenti migliori;
-migliorare l’immagine interna ed esterna e la qualità complessiva dei servizi forniti dall’amministrazione;
-diffondere la cultura della partecipazione, quale presupposto dell’orientamento al risultato, al posto della cultura dell’adempimento;
-realizzare sistemi di comunicazione interna;
-prevenire i rischi psico-sociali di cui al decreto legislativo N.626/94.

Benessere Organizzativo, inteso come l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale della comunità lavorativa.
tutto questo serve ad:
-Assicurare un ambiente di lavoro sano e sicuro;
-Assicurare l’equilibrio ottimale tra interessi diversi dell’organizzazione, da un lato, e la capacità di lavoro e la salute di tutto il personale e delle relative famiglie, dall’altro;
-Fornire servizi sani e sicuri dal punto di vista ambientale.
E presenta i seguenti vantaggi:
salute:
-aumento dell’aspettativa di vita esente da disabilità e aumento della capacità di lavoro;
-riduzione della percentuale di infortuni e malattie professionali;
-adozione di stili di vita sani;
-riduzione delle assenze per malattie ed infortuni.
Sociali:
-miglioramento della vita lavorativa e, in generale, della qualità della vita dei lavoratori;
-aumento dell’autostima e della motivazione;
-innalzamento delle competenze professionali e delle capacità di far fronte alle esigenze della vita professionale.
Economici:
-aumento della produttività ed efficienza economica;
-aumento della competitività dell’organizzazione;
-miglioramento dell’immagine istituzionale.

Convinti della necessità di approfondire la problematica, nell’ultimo congresso provinciale ci siamo assunti l’impegno di trattare, in modo permanente, il fenomeno del disagio su luogo di lavoro.
Tale impegno lo consideriamo un nostro preciso dovere, consapevoli che nel futuro su questo fronte si gioca il riconoscimento concreto dei diritti.
Il disagio è causa di gravi danni ai lavoratori ed alle stesse amministrazioni, e rappresenta sempre più spesso l’anticamera del Mobbing.
Il termine, oramai di uso comune anche in Italia, indica la condotta posta in essere da un gruppo di persone contro la vittima prescelta.
Per l’attuazione dei vili propositi si fa ricorso ad ogni mezzo ritenuto utile, con attacchi sistematici e vessatori finalizzati ad isolare ed eliminare il malcapitato lavoratore, lo scopo è quasi sempre quello di difendere sistemi e privilegi consolidati nel tempo a favore del “branco”.
Stime effettuate da agenzie specializzate, sui luoghi di lavoro pubblici e privati, già nel 1999, ci informano che Il mobbing conta in Europa milioni di vittime, purtroppo, in Italia il riconoscimento e le stime sono ancora oggi di difficile reperimento.
In ambienti chiusi, come ad esempio quelli militari, è più corretto parlare d’impossibilità ad ottenere informazioni nel merito.

Come spesso accade, anche in questo campo, siamo in ritardo, ci troviamo alla presenza di una grave scarsa conoscenza del fenomeno, ciò impedisce quel doveroso dibattito, capace di avviare il cambiamento culturale.
Al deficit culturale e conoscitivo, si aggiunge l’assenza di una specifica norma giuridica in grado di definire e sanzionare un comportamento così palesemente criminale, che va a colpire la persona, il lavoro, la stessa amministrazione.
Harald Ege, studioso del fenomeno, lo definisce: “una guerra sul posto di lavoro”.
Mentre, la legge francese nr. 73 del 2002, più precisa e puntuale, da la seguente definizione:
“ripetute azioni di violenza psicologica aventi come fine o conseguenza un degrado delle
condizioni di lavoro capace di determinare danno ai diritti e alla dignità della persona,
alla sua salute fisica o mentale o comprometterne il futuro professionale”.

La complessità del fenomeno è sotto gli occhi di tutti, merita la nostra attenzione e l’impegno finalizzato a divulgare la cultura del lavoro improntata sul “benessere organizzativo”.
Solo un ambiente di lavoro sano ha gli strumenti giusti per togliere spazi alle manovre di pratiche mobbizzanti.
Pensare d’intervenire solo “all’ultimo minuto”, quando il lavoratore è in serie difficoltà, può rivelarsi una illusione destinata al fallimento.


Sindacalizzazione e smilitarizzazione.

Non insisto sul riconoscimento dei diritti sindacali e sull’esigenza di smilitarizzare i corpi di polizia, non insisto per il semplice fatto che mancano i necessari presupposti politici.

Ma permettetemi di ricordare qui la lezione, sul tema, tenuta a L’Aquila dal Professor Martone in occasione del Convegno della rappresentanza militare della G.di F. .
Il Professore dopo aver spiegato, fornendo degli esempi concreti, che quando manca la volontà politica, le riforme si possono attuare solo a determinate condizioni e con il coinvolgimento attivo delle parti interessate.
Nella sua lezione indica con chiarezza il percorso da seguire ed infine arriva alle interessanti considerazioni conclusive, di cui vi propongo alcuni brevi passaggi:

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6. Considerazioni conclusive

E’ stata ampiamente acclarata, oltre che storicamente dimostrata, l’utilità del sistema di relazioni sindacali nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico, e gli effetti benefici che ha avuto la (pur parziale e graduale) sindacalizzazione delle Forze di Polizia ad ordinamento civile.
……………………
l’esperienza di alcuni paesi europei (Belgio, Germania, la stessa Spagna), insegna che il riconoscimento di una autentica dimensione sindacale non è andato a detrimento dell’efficienza lavorativa.

Da ultimo, numerose ricerche sociologiche tendono a dimostrare come, in un’organizzazione di lavoro, la rappresentanza delle istanze degli organizzati non è mai di per sé causa di disservizio, ed anzi può divenire fattore di miglioramento di quello stesso servizio.


………………………………………..

…………., nulla esclude che un processo di sindacalizzazione possa compiutamente realizzarsi anche nell’ambito del Corpo della Guardia di Finanza, senza che sia di ostacolo a tale aspirazione la matrice militare dell’ordinamento, purché sia mantenuta ferma la distinzione di status tra militare e cittadino, ed anzi assicurando, proprio in tal modo, il riconoscimento di una più compiuta cittadinanza.

Tale differenza di status è imposta dalla specialità della funzione e del servizio militare, nonché dal “sacrale” presidio costituzionale dell’art. 52, e, come tale, essa giustifica, se non impone, limitazioni, ma non assolute preclusioni, alla componente sindacale.

Pertanto, senza scomodare il lungo e riuscito processo di sindacalizzazione “piena” del pubblico impiego, si potrebbe ipotizzare di intraprendere la virtuosa “via mediana” del riconoscimento delle facoltà autentiche e tipiche del sistema sindacale, senza in alcun modo compromettere la funzionalità del Corpo, né indebolire il presidio dell’art. 52 Cost..

Tracciando, di conseguenza, un percorso analogo a quello meritoriamente, e fruttuosamente, intrapreso dalle Forze di Polizia ad ordinamento civile, con la medesima gradualità nei tempi, e parzialità nei contenuti.

Percorso che, tuttavia, può essere altrettanto fruttuosamente perseguito nell’ambito delle Forze di Polizia ad ordinamento militare, solo se e in quanto l’organizzazione militare, ed in fondo il personale militare di ogni ordine e grado, realizzi almeno due condizioni:

a) una prima, consistente nella disponibilità degli appartenenti al Corpo, ad affrontare, parallelamente agli innegabili vantaggi legati ad un processo di autentica (benché graduale e parziale) sindacalizzazione, anche i relativi oneri, ad esempio in termini di autofinanziamento ;

b) una seconda, più generale, consistente nell’aver “sviluppato gli anticorpi”, dal punto di vista della mentalità, per un graduale (e parziale) riconoscimento di diritti sindacali o di rappresentanza, che non sia puro e semplice rivendicazionismo.

Ciò anche perché, soprattutto in questo delicato momento storico, il Paese ha quanto mai bisogno di “vedette insonni” lungo il fragile confine che separa la legalità dall’illegalità.
“”””””””””””””””.

Il Professore con la sua lezione ci informa del grande lavoro che abbiamo di fronte a noi.
l’Associazione è quindi chiamata ad un impegno straordinario per la diffusione di questa cultura, la sola in grado di condurci con sicurezza alla meta prestabilita.


 


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