PARTITI UNITI SULLA FINANZA: IL CAPO VA SCELTO "IN CASA". UNA DELLE PROPOSTE PREVEDE CHE IL GENERALE RESTI IN CARICA SOLO UN BIENNIO ED IL VICE UN ANNO. PROBABILI TURNOVER FRENETICI E COSTI CONSIDEREVOLI PER I CONTRIBUENTI (Corriere della Sera)

giovedì 22 aprile 2010

Corriere della Sera - 18 aprile 2010

PARTITI UNITI SULLA FINANZA: IL CAPO VA SCELTO "IN CASA"

Una delle tre proposte in discussione alla Camera prevede che il generale al vertice resti in carica soltanto un biennio e il vice un anno.

di Sergio Rizzo

- Per mettersi le dita negli occhi ogni pretesto è buono. Eppure i politici italiani, perennemente cani e gatti, su una cosa almeno sono disposti ad andare a braccetto: la Guardia di Finanza. Meglio, lo Stato maggiore delle Fiamme Gialle. La dimostrazione? La commissione Difesa della Camera sta esaminando tre diversi disegni di legge, che vanno però tutti, più o meno, nella stessa direzione. Stabilendo cioè il principio che il comandante generale della Guardia di finanza possa (o addirittura debba) essere nominato scegliendo fra gli alti ranghi delle stesse Fiamme gialle....

 

 


Un altro tabù destinato prima o poi a cadere dopo che dieci anni fa venne approvata una legge delega di riordino delle forze di polizia grazie alla quale il comandante generale dei Carabinieri viene da allora individuato fra i massimi vertici dell'Arma anziché, com'era obbligatorio in precedenza, delle altre forze armate. Esito dunque scontato anche per la Guardia di Finanza. Capace di mettere una volta tanto tutti d' accordo. I primi a chiedere di uniformare i criteri di nomina dei comandanti di Carabinieri e Fiamme gialle sono stati un paio d' anni fa due deputati del Partito democratico: Massimo Vannucci e Angelo Zucchi. Poi si sono aggiunti cinque parlamentari dell' Italia dei Valori, capitanati dal leader del partito Antonio Di Pietro in persona, primo firmatario di un disegno di legge nel quale si stabilisce che la scelta del capo supremo della Finanza debba avvenire fra i generali delle Fiamme gialle tassativamente sulla base dell'anzianità (e il merito?).

Proposta, quella dipietrista, arrivata in parlamento il 26 febbraio scorso, due giorni dopo un' altra, ben più articolata, che fa letteralmente strabuzzare gli occhi per i nomi dei cinque firmatari. Il primo è Italo Bocchino, fedelissimo di Gianfranco Fini, numero due dei deputati pidiellini. Il secondo, il parlamentare dell'Udc Michele Vietti. Il terzo, il capo dei deputati leghisti Roberto Cota, ora fresco di nomina a governatore del Piemonte. Il quarto, l'ex margheritino ora democratico Gianclaudio Bressa. Il quinto, nientemeno che Massimo D'Alema, premier al tempo della riforma che ha allineato i Carabinieri alle altre forze armate, e oggi presidente del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza. Una compagnia certamente autorevole, anche se oggettivamente sorprendente considerando l' aria che tira a Montecitorio.

Non che nel disegno di legge sottoscritto dai cinque manchi qualche sorpresa, come è saltato fuori appena in commissione Difesa si è cominciato a esaminare la questione. Il fatto è che in quella proposta viene fissata rispettivamente in due anni e in un solo anno la durata massima dell'incarico del comandante generale e del suo vice. Con il risultato di determinare un turnover frenetico ai vertici delle Fiamme gialle. Decisamente superiore rispetto a quello registrato finora, se è vero che a partire dall'inizio degli anni Novanta si sono alternati alla testa della Guardia di finanza cinque comandanti, per una media di quattro anni ciascuno, insieme a una dozzina di vice. Diciassette alti ufficiali in tutto. Sapete quante persone si sarebbero invece sedute su quelle due poltrone nello stesso lasso di tempo, applicando i limiti previsti dal disegno di legge «Bocchino-D'Alema»? Da un minimo di trenta a un massimo di quaranta. Cioè più del doppio.

Con costi non proprio marginali per il contribuente. E questo lasciando da parte ogni considerazione sull'opportunità di prevedere cambi così repentini alla guida di un organismo con compiti delicati come la lotta all'evasione fiscale. Perché in base a una legge del 1981 i massimi vertici di una forza di polizia, quale è la Guardia di finanza, hanno diritto a percepire una speciale indennità «pensionabile», che cioè viene trasferita sul trattamento previdenziale, di tutto rispetto. Gli ultimi calcoli ci dicono che ammonta a circa 287 mila euro lordi l' anno. E aumentando il numero dei comandanti e dei loro vice, aumenterebbe anche il numero dei pensionati d' oro. Nessuno certamente è in grado di fare stime precise. Tuttavia, considerando gli importi, l' aggravio di spesa per la previdenza pubblica non dovrebbe essere inferiore, a regime, a qualche milione di euro l' anno. È proprio necessario?
 


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