SUICIDI IN GDF, SBAGLIATO NON PARLARNE PIÙ. BISOGNA TROVARE I MODI PER COGLIERE I SEGNALI PREMONITORI E LAVORARE PER RENDERE RICCHI E UMANI GLI AMBIENTI DI LAVORO – di Giuseppe Fortuna e Domenico Vallefuoco
I frequentatori del forum del sito di Ficiesse conoscono bene una discussione che sta da oltre tre anni in prima pagina col titolo “Suicidi in Guardia di Finanza”. E ugualmente conoscono l’appello che Ex Alto Fulgor, un frequentatore storico del medesimo forum, ripete continuamente: il nostro "per non dimenticare" è rivolto <<alla Superiore Gerarchia>>, perché si facciano analisi, siano individuate le ragioni e si tenti in ogni modo di trovare dei rimedi.
Il topic diventa se possibile ancora più mesto quando viene inserita una nuova nuova drammatica notizia. L’ultima, soltanto la settimana scorsa, ha riguardato Michele: <<un altro collega - avverte "Pistorius" - ha deciso di lasciarci>>.
Tra le condoglianze seguite all’annuncio, è comparso anche lo sfogo di un frequentatore che ha conosciuto lo sfortunato militare e che ha voluto fornire qualche elemento di riflessione. Da noi - ha scritto in sintesi “Lisetta” – vale soltanto avere il berretto in testa e salutare in modo corretto autorità e superiori; i finanzieri, i problemi dei finanzieri, <<contano meno di niente>>. Insomma, un ambiente evidentemente percepito come freddo, anonimo, che ti fa sentire un numero, poco più di una macchia di colore.
Così, con il povero Michele, sono trentuno, dal luglio 2006, gli sfortunati appartenenti alla GDF che si sono tolti la vita. Un numero impressionante, che conferma come il suicidio sia la prima causa di morte per cause non naturali tra i finanzieri in servizio.
Ci si deve chiedere, allora, se si possa fare qualcosa. E chi possa e debba farlo.
Qualche indicazione la si può trovare nel sito www.prevenireilsuicidio.it.
<<L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)- scrive il professor Maurizio Pompili, uno dei massimi esperti della prevenzione al suicidio in Italia - considera il suicidio come un problema complesso, non ascrivibile ad una sola causa o ad un motivo preciso. Sembra piuttosto derivare da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali. Il suicidio, nell’ambito della salute pubblica, è un grave problema che potrebbe essere in gran parte prevenuto; costituisce la causa di circa un milione di morti ogni anno (…) le stime suggeriscono che nel 2020 le vittime potrebbero salire ad un milione e mezzo (…). Vi è la necessità di infrangere quel silenzio e quel composto, ma deleterio, sviamento dal tema attuato quotidianamente>>.
Sì, ma come prevenire queste tragedie?
<<Ogni individuo può fare qualcosa – chiarisce Pompili - per aiutare a ridurre il numero delle persone che considerano il suicidio come soluzione al loro dolore mentale (…). La maggior parte degli individui con rischio di suicidio vuole assolutamente vivere; costoro non riescono però a trovare possibili alternative ai loro problemi. La maggior parte degli individui emette CHIARI SEGNALI inerenti alla loro intenzione suicida, ma spesso gli altri non colgono il significato di tali messaggi, oppure non sanno come rispondere alla loro richiesta d’aiuto>>.
Ma siamo sicuri che anche parlare del fenomeno non sia un errore e non si finisca per enfatizzarlo? Non si rischia di aumentarne il numero? Non è meglio far finta di nulla?
Toglie ogni dubbio il professor Pompili: <<Parlare del suicidio non induce nell’altro un proposito suicidario; al contrario, l’individuo in crisi e che pensa al gesto si sente sollevato, ed ha l’opportunità di sperimentare un contatto empatico. (…) Il suicidio affligge profondamente gli individui, le famiglie, i luoghi di lavoro, la comunità e la società nel suo complesso. Coloro che perdono un loro caro a causa del suicidio rimangono a lungo traumatizzati e sono anch’essi a rischio di suicidio. La sfida della prevenzione del suicidio dovrebbe essere intrapresa dalla collettività>>.
Ecco, allora, che possono (devono) fare qualcosa le persone che vivono negli ambienti nei quali questi segnali premonitori vengono lanciati. A cominciare dai colleghi e dai collaboratori, che con la persona condividono tante ore di lavoro quotidiano, per arrivare ai superiori.
Quindi, fece bene e fu coraggioso l’allora comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, a far prendere coscienza a tutto il personale della gravità del fenomeno e a farne oggetto di analisi e di approfondimenti da parte di qualificati specialisti, come si apprese a novembre del 2006 in un ampio articolo del quotidiano Repubblica dal titolo “Fiamme gialle, troppi suicidi” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/11/20/fiamme-gialle-troppi-suicidi.html).
Da allora sono passati quattro anni e di cosa si stia facendo, di quali esiti ebbero quelle analisi non si è saputo più nulla. E non vorremmo che alla fine stesse prevalendo la scelta del “meglio non parlarne”, mentre, come visto, parlarne aiuta a vivere e a lavorare meglio e potrebbe salvare qualche vita.
Ogni uomo non è un’isola. Sulla copertina del romanzo “Per chi suona la campana” si legge <<non chiedere per chi suoni la campana, suona per te>>.
GIUSEPPE FORTUNA
Direttore del sito www.ficiesse.it
Vicepresidente Direttivo nazionale Ficiesse
g.fortuna@ficiesse.it
DOMENICO VALLEFUOCO
Segretario nazionale Ficiesse
Segretario Sezione Ficiesse Roma-Anagnina
d.vallefuoco@ficiesse.it