“EMERGENCY: PER DIVISA UN CAMICE, PER ARMA UN BISTURI”. ARTICOLO DI CINZIA DE LIO CON UN PASSAGGIO SU FRANCESCO SALERNO (da www.aipsimed.org)

martedì 11 maggio 2010

Da www.aipsimed.org

Emergency: per divisa un camice, per arma un bisturi

Cinzia De Lio , Lun, 10/05/2010 - 11:59

Gino Strada, direttore esecutivo dell'associazione umanitaria Emergency, con una straordinaria abilità comunicativa che può derivare soltanto dal chiamare le cose con il loro nome, senza menzogne “politiche” e senza giri di parole, ha definito "semplici stupidaggini" le ipotesi che l'ospedale di Lashkar-Gah, in Afganistan possa essere riaperto solo se il governo italiano garantirà un maggiore appoggio. "Emergency apre i suoi ospedali per decisione propria - ha detto Gino Strada - non c'entra niente il governo italiano".

Strada, insieme a Rossella Miccio responsabile dell'Ufficio Umanitario dell'associazione e Gabriele Risica primario cardiologo all'Ospedale Civile di Venezia e già operatore umanitario nell'ospedale di Lashkar-Gah è stato ospite di un incontro del ciclo “In punta di penna – L'informazione raccontata dai protagonisti”, organizzato dall'Ordine dei Giornalisti del Veneto, presieduto da Gianluca Amadori. A moderare e presentare l'incontro i giornalisti Amadori e Beppe Gioia ed il presidente dell'Ateneo Veneto, Michele Gottardi.

Estremamente duro il commento di Gino Strada sulla vicenda dell'arresto dei tre operatori umanitari e soprattutto sulla condotta di alcuni politici “che sparavano sciocchezze una dietro l'altra”. Riferendosi alla nota vicenda del ritrovamento di armi ed alla presunta responsabilità degli operatori, Strada ha aggiunto“Abbiamo detto dal primo minuto che si trattava di un'enorme montatura...tutte quelle accuse sono state smentite nel giro di qualche ora” ed ha concluso dicendosi fiducioso sulla riapertura dell'ospedale. Tale struttura medica di eccellenza, aperta nel 1999, era specializzato in chirurgia di guerra, con oltre 2.500 persone curate e dove il 40 per cento di pazienti ricoverati era costituito da bambini.

Il tema dell'incontro, “Informazione, guerra e aiuti umanitari”, ha costituito occasione feconda per mettere a fuoco “le difficoltà di operare nell'ambito degli aiuti umanitari in zone di guerra, e le difficoltà per i giornalisti di raccontare cosa accade veramente nelle zone di guerra” e per unire le voci di chi in guerra ci va veramente in missione di pace: come divisa un camice bianco o verde oppure chissà-cosa, come armi un bisturi ed un pallone di Ambu oppure una telecamera ed un pc.

Quel che ci interessa, quale occasione di riflessione, è soffermarci sul “veramente”. C'è “veramente” chi è libero di raccontare cosa accade in zone di guerra dove, sovente, militari volontari in armi vanno paradossalmente a portare la pace? La pace interessa “veramente” agli Stati cui questi militari appartengono?

“Veramente” gli Stati si sono mai posto il problema di quale potrà essere, da adolescenti e da adulti, la salute mentale di coloro che sopravviveranno fra quel 40% di bambini vittime della guerra? Saltati su una mina, mutilati da una bomba, violentati o chissà cos'altro? Non importa se in Afganistan o in qualsiasi altro angolo della Terra.

“Veramente” ce la sentiamo di escludere che i “grandi burattinai” del Pianeta sono ben consapevoli che tutte le volte che in odor di guerra un uomo armato imbraccia un'arma, la userà contro qualcuno e che entrambi saranno vittime di una violenza che uccide, se non sempre il corpo con certezza – sempre - la mente?

“Veramente” crediamo allo stereotipo di cui ci nutrono, che un soldato che muore in guerra sia un eroe? Più di un vigile del fuoco caduto mentre “ordinariamente” sta svolgendo il suo pericoloso lavoro, di uno dei tanti operai caduti dalle impalcature, di un finanziere travolto da un treno mentre insegue degli spacciatori, della morte dei quali si apprenderà da un trafiletto o da un articoletto in taglio basso nella pagina di cronaca locale, dove talvolta non c'è spazio né per la retorica né addirittura per un giusto riconoscimento del valore? Salvo che qualcuno si ricordi di renderglielo (http://www.ficiesse.it/news.php?id=3890) !

“Veramente” siamo convinti che la responsabilità di tutte le guerre sia della natura umana, entità impersonale, e non piuttosto dei “grandi burattinai” che di volta in volta hanno tirato le fila per motivi non diversi dalla religiosa fedeltà all'unico Dio Denaro?

Nell'angoscia che queste domande verosimilmente generano in qualsiasi mente pensante, una sola certezza: “veramente” gli unici eroi di tutte le guerre sono i medici che combattono per affermare la vita laddove altri combattono per portare la morte.

Sul giornalista, se “veramente” libero grava sempre di più una responsabilità, nella consapevolezza che la cronaca di oggi diventerà la storia di domani: dare sempre più voce a chi combatte per affermare la vita, darne sempre meno ai “grandi burattinai” ed all'enfasi ed alla retorica con cui gestiscono la morte.

Infatti, come scriveva il filosofo Enzo Paci nella prefazione ad un pilastro della filosofia contemporanea, “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale” di Edmund Husserl: “Ecco il sapere più semplice, più evidente, più popolare. Tutti i paesi del mondo, senza eccezioni, si sono compresi. Ma quando si parla di paesi del mondo si parla della società civile di questi paesi, della società soggettiva e non degli apparati tecnocratici, burocratici o militari.

Sono questi apparati – comandati da uomini che certamente distruggeranno se stessi, e che, se non vengono fermati, distruggeranno tutti i popoli, - che bisogna combattere. La vera rivoluzione è la rivoluzione contro la tirannide tecnocratica, burocratica e militare. La società civile è debole, gli apparati sono tanto forti che hanno paura della loro stessa forza. Se noi diciamo che la verità è reale vinceranno gli apparati. Se noi lasciamo che la verità irreale diventi in noi vita della verità, e significato della verità, la vittoria sarà di tutti gli uomini del mondo.
 

CINZIA DE LIO


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