NUOVO ARTICOLO DE LA STAMPA SULLA MORTE DI FRANCESCO SALERNO: PERCHÉ TANTI INSPIEGABILI INTRALCI ALLE INDAGINI DA PARTE DEI FERROVIERI?
Pubblichiamo l’articolo apparso domenica 9 maggio 2010 su La Stampa di Torino sul procedimento penale in corso per la morte dell’appuntato Francesco Salerno.
La Stampa, domenica 9 maggio 2010
INTRALCIATE LE INDAGINI: DUE MESI PER TROVARE IL LOCOMOTORE KILLER
Brandizzo – La morte dell’appuntato Francesco Salerno spinto sotto un treno nel 2005 – Alberto Gaino
Hanno mentito tutti al pm Anna Maria Balzelli i 21 indagati nell’inchiesta sulla morte dell’appuntato Francesco Salerno, investito da un interregionale Torino-Milano la sera del 4 novembre 2005. Mentono i 3 colleghi della Guardia di Finanza di pattuglia con il sottufficiale. Mentono i 18 ferrovieri, dai macchinisti del treno al dirigente della sala operativa regionale di Trenitalia, che hanno intralciato a tal punto le indagini dei carabinieri da costringerli a cercare per oltre due mesi il locomotore con i segni di un’ammaccatura riconducibili all’investimento.
Il giallo dell’orrenda fine di Salerno prescinde dalla clamorosa soluzione che gli ha dato il pm con avviso di chiusura delle indagini: accusa di omicidio preterintenzionale, delitto d’impeto, al finanziere Francesco Scarelli, che l’avrebbe spinto contro il treno. Inspiegabile al momento. Ed inspiegabile, per quanto provato, è che un intero apparato ferroviario quella notte si metta in moto per nascondere un locomotore, manipolando i documenti “di bordo”, sopprimendo il convoglio trainato da quella motrice durante il viaggio di ritorno a Torino (passeggeri caricati su pullman o altri treni) e inviando il locomotore e le 10 carrozze ad Alessandria alle sei del mattino successivo. Viaggio compiuto con un cavo elettrico in cui passa corrente a 3 mila volt che “pende” sotto la motrice.
In Rfi e Trenitalia, le società coinvolte, si deve registrare tutto. Avviene anche quella volta e la prima certezza che i testimoni mentano arriva dal taroccamento di quei documenti. Operazioni pressoché sistematica, pur di evitare che si scoprisse almeno una parte della verità: che i due macchinisti avevano visto e azionato la “frenata rapida” 60-50 metri prima dell’impatto a 90 all’ora; che la scatola di derivazione Rec – quella in cui passano i 3 mila volt – fosse stata danneggiata. Il dettaglio è importante: il contenitore sta sotto la motrice, a sinistra.
Vicino al corpo del povero Salerno gli investigatori rintracciano un frammento metallico. Con ostinazione e nonostante la quasi generale omertà incontrata – fa eccezione il dirigente dell’officina manutenzione locomotori di Torino – risalgono al coperchio frantumatosi della scatola di derivazione Rec. La scoperta dimostra che i macchinisti non possono aver soltanto udito un “botto” (la massima concessione dopo un’iniziale totale negazione di tutto) perché “l’urto è stato laterale”.
Quella sera uno dei due macchinisti scende dal locomotore dopo l’investimento vicino ad un casello abbandonato nei pressi di Brandizzo. Il treno riparte 2 minuti e mezzo dopo, il tempo di ricaricare i freni. D’accordo con la sala operativa. “Avevamo paura” finisce per dichiarare il primo macchinista dopo aver ammesso la sua verità. “Due litigavano. Quello in divisa ha spinto l’altro contro il treno”. È quello che, a parere del secondo macchinista, ogni tanto alza il gomito, “ma quella sera non aveva bevuto”.
Questa, per quanto allucinante, è già un’altra storia. Torniamo a quella in cui dirigenti, funzionari, colleghi dei macchinisti sono così zelanti, ai vari livelli, per far sparire le tracce del guasto: ad Alessandria lo si ripara ma si nasconde l’intervento di manutenzione. Nessuno riesce a spiegare perché. Quando finalmente i carabinieri scoprono che una scatola di derivazione Rec è sparita dal magazzino Trenitalia di Torino nessuno riesce a darne ragione. Anche in quel caso ci si espone al ridicolo pur di coprire e depistare. Per aver lasciato un uomo morto accanto ai binari?
Alberto Gaino