IL PERCORSO EVOLUTIVO DEL CONCETTO DI ONORE MILITARE: DALL'OBBEDIENZA CIECA DELLO STATO ASSOLUTISTA ALL'OBBEDIENZA LEALE E CONSAPEVOLE DELLO STATO DEMOCRATICO - di Cleto Iafrate

giovedì 29 luglio 2010

Perchà© in un anno le auto blu ci sono costate qualcosa come 4 miliardi di euro? Perchà© sono molto richiesti i militari, piuttosto che i poliziotti, per essere impiegati in determinati servizi, per così dire, “delicati”? Perchà© i parlamentari italiani in Europa votano a favore del diritto di associazione per i cittadini militari ed in Patria votano contro? (vgs. http://www.ficiesse.it/news.php?id=4223)

“Tanti sono i dubbi che assillano il giusto”. Per chiarirli occorre procedere con ordine.

L’ordinamento delle Forze armate si fonda su principi preesistenti allo Stato di diritto, ereditati dalla tradizione e dalla consuetudine, che derivano dalle antiche regole cavalleresche medioevali. Alla base di tali principi vi sarebbe una filosofia che si fonda sull’ONORE MILITARE. Il quale può definirsi una qualità  etico-psicologica, espressione di tutte quelle virtù caratteriali: onestà , lealtà , rettitudine, fedeltà , giustizia; che procurano la stima altrui e che sono dal militare gelosamente detenute e custodite, nell’intimo convincimento della necessità  di mantenerle integre.

Il possesso di tali virtù, storicamente, ha rappresentato una prerogativa assoluta propria dello status militis e la conseguenza di questa convinzione, imposta legalmente dalla consuetudine, legittimava il capo militare a gestire autonomamente, all’interno dell’organizzazione militare, i tre poteri: il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. Le sue decisioni erano inappellabili, emanava i regolamenti, infliggeva le punizioni, anche corporali.

All’indomani dell’emanazione della Carta Costituzionale, apparve subito evidente che i principi sanciti dalla Costituzione mal si coniugavano con gli ordinamenti militari. Il principio dell’onore militare si trovò a fare i conti con un altro principio, che la costituzione aveva recepito, altrettanto degno di rispetto (se non altro, perchà© era stato scritto con il sangue versato durante la rivoluzione francese): il principio di SEPARAZIONE DEI POTERI, che deriva da una filosofia diametralmente opposta rispetto a quella alla base dell’altro.

Quest’ultimo si fonda su una teoria del filosofo francese Montesquieu, secondo il quale “chiunque abbia un potere è portato ad abusarne; egli arriva fin dove non trova limiti (…) quindi occorre che il potere arresti il potere”. Apparve lampante l’impossibile convivenza tra il principio vigente e l’altro nascente, in quanto antitetici.

Infatti, dall’avvento della Carta Costituzionale, ha avuto inizio un lento processo di affermazione dello spirito democratico della Repubblica e, man mano che questo permeava l’ordinamento militare, il principio dell’onore militare perdeva terreno a vantaggio di quello della separazione dei poteri.

Tale contrasto, ancora oggi irrisolto, ha avuto una prima intesa nel 1978 con l’emanazione della “Legge di Principio sulla Disciplina Militare” e del relativo Regolamento del 1986 (che sostituì il precedente, approvato con D.P.R. nel 1964).

Uno dei campi su cui i due principi si sono affrontati aspramente è stato quello dell’istituito dell’obbedienza militare. Infatti, da prima della Costituzione e fino all’entrata in vigore del Regolamento di Disciplina Militare del 1964, l’obbedienza era definita dalla dottrina con la significativa qualificazione di “CIECA”; sotto la vigenza del Regolamento del 1964 essa è stata definita “ASSOLUTA”. Si è dovuto attendere la Legge di Principio e il relativo Regolamento perchà© l’obbedienza potesse essere qualificata come “LEALE E CONSAPEVOLE”.

La Legge di Principio venne salutata come il definitivo superamento della mentalità  secondo la quale il capo militare non ha bisogno di alcun contropotere, in quanto depositario, per diritto di appartenenza, dell’antico senso dell’onor militare. Si riconobbe, perciò, in capo a colui che riceveva un ordine ingiusto, il potere di non eseguirlo ovvero di contestarlo. Era stato finalmente introdotto, nell’istituto dell’obbedienza, il PRINCIPIO DELLA PARTECIPAZIONE, secondo il quale “il potere arresta il potere”.

In questa direzione, infatti, sia l’art. 4, L.382/78 che l’art. 25, D.P.R. 545/86, hanno disposto che, qualora l’inferiore ritenga l’ordine impartito manifestatamente rivolto contro le Istituzioni dello Stato, ovvero che la sua esecuzione costituisca manifestatamente reato, ha il DOVERE DI NON ESEGUIRE L’ORDINE E DI INFORMARE AL PIà™ PRESTO I SUOI SUPERIORI.

Accanto a questa ipotesi, ve n’è un’altra costituita dall’ordine illegittimo, cioè “non conforme alle norme di legge in vigore”. In tal caso, il militare è tenuto a far presente, con spirito di leale e fattiva partecipazione, l’illegittimità  dell’ordine a chi lo ha impartito; ma se l’ordine viene ribadito, costui è tenuto ad eseguirlo (art. 25, comma 2 D.P.R. 545/86). Questi sono i rimedi introdotti dal legislatore.

Poichà©, però, l’esistenza di un diritto acquista carattere di effettività  quando la norma di condotta viene attuata e rispettata - per dirla con una frase ad effetto “Un concetto è proclamare un diritto, altro è goderne. Problema urgente non è il fondamento, ma sono le garanzie” (cfr. De Tilla Maurizio, “Riflessioni sulla giustizia” in La Previdenza Forense 2 -3. 1994, pag. 21) - occorre, a questo punto, verificare se tali rimedi siano attuabili.

Per fare ciò occorre dare uno sguardo al contesto in cui si trova ad agire il militare che, avendo ricevuto un ordine illegittimo ovvero costituente reato, dovrebbe far presente, rispettivamente, a chi l’ha impartito, ovvero al suo superiore, la circostanza.

Per la verità , a fronte dei rimedi proclamati sulla carta, vanno evidenziate le seguenti situazioni di fatto:
a) le sanzioni di corpo sono un potente strumento, svincolato dal principio di legalità  e di trasparenza, posto nelle mani del superiore impartitore;
b) i giudizi annuali caratteristici sono compilati dal superiore (impartitore) sulla base di una normativa vischiosa e obsoleta che lascia ampi margini alla sua discrezionalità ;
c) i trasferimenti ad altri incarichi possono attuarsi anche per non meglio identificati motivi di servizio o di opportunità ;
d) gli organismi di rappresentanza non possono trattare argomenti riguardanti il servizio o la disciplina e, per di più, non hanno un ordinamento interno a base democratica (circostanza questa che incide pesantemente sulla loro funzionalità );
e) infine, il fatto che il militare contesti l’illegittimità  dell’ordine ricevuto e venga perciò esonerato dall’eseguirlo, non esclude che lo stesso ordine possa essere eseguito da altro militare.

Appare evidente che i principi sono stati proclamati, ma è altrettanto evidente che vanno rafforzati i diritti e le garanzie. Come richiesto dalle istituzioni europee.


CLETO IAFRATE
c.iafrate@ficiesse.it
 


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