ESECUZIONE DELL’ORDINE MILITARE NON MANIFESTAMENTE ILLECITO: ASIMMETRIE DA SANARE TRA CODICE PENALE COMUNE, CODICE PENALE MILITARE E LEGGE SULLE NORME DI PRINCIPIO DELLA DISCIPLINA MILITARE - di Cleto Iafrate

venerdì 06 agosto 2010

ESECUZIONE DELL’ORDINE MILITARE NON MANIFESTAMENTE ILLECITO: ASIMMETRIE DA SANARE TRA CODICE PENALE COMUNE, CODICE PENALE MILITARE E LEGGE SULLE NORME DI PRINCIPIO DELLA DISCIPLINA MILITARE - di Cleto Iafrate

L’attività svolta dalle Forze armate e dalle Forze di polizia militarmente organizzate si realizza attraverso uno strumento i cui requisiti formali sono ridotti all’osso: L’ORDINE MILITARE, che però è il motore primo della potentissima macchina militare.

L'ordine militare può definirsi un atto autoritativo discrezionale, che si configura come atto amministrativo a tutti gli effetti, completo dei suoi elementi essenziali. L’elemento soggettivo è costituito dalla legittimazione del soggetto emittente e quello oggettivo dalla manifestazione della sua volontà, cui consegue lo stato di soggezione del ricevente e, in caso di violazione, la comminazione di sanzioni disciplinari o penali.

La forma non ha alcuna rilevanza; in giurisprudenza è stato ripetutamente affermato che anche l’invito, ovvero la richiesta di cortesia, fatta dal superiore all’inferiore, ha valore autoritativo ed è un ordine.

Il legislatore ha sempre cercato di delimitare i contorni dell’ordine militare a tutela anche, e non solo, di chi ha il dovere di obbedienza all'interno dell'apparato militare. In tale direzione andava l’art. 40 del codice penale militare di pace, che prevedeva un caso speciale di "adempimento di un dovere", posto a tutela del il militare che avesse eseguito un ordine criminoso.

In seguito la Legge di principio ha mutato questa prospettiva: il reato è sopravvissuto, ma la scriminante è stata radicalmente abrogata. Oggi, pertanto, alla materia si deve ritenere applicabile la disciplina comune, contenuta nell'art. 51 del codice penale.

A parere dello scrivente, l’abrogato articolo 40 del c.p.m.p. era più in armonia con l’ordinamento militare, di quanto non lo sia l’art. 51 c.p., che genera dubbi ed equivoci di diversa natura.

Nel tracciare il contorno dell’ordine, bisogna preliminarmente precisare che il suo limite superiore è costituito dall'ordine <<manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce manifestamente reato>>, che deve essere sempre disatteso.

In dottrina si è discusso circa la portata dell'avverbio "manifestamente", ma si ritiene, comunque, che esso debba essere riferito a una valutazione di tipo oggettivo, propria dell'uomo medio.

Se, tutto sommato, è agevole, sul piano normativo, tracciare il confine tra ordine legittimo ed ordine illecito, non può dirsi altrettanto in merito al confine tra ordine legittimo ed ordine illegittimo. Quando si prova a tracciare questa linea di demarcazione, anche solo sul piano normativo, senza passare agli aspetti pratici, subentrano elementi di complicazione.

Il panorama normativo di riferimento è costituito da una serie di norme scarsamente coordinate e differenti per grado di forza, stratificatesi nel corso del tempo, che, nell’insieme, prestano il fianco ad alcuni dubbi interpretativi. Il rilievo penale della materia impone, però, il massimo grado di chiarezza, in quanto il reato di disobbedienza è severamente punito dall’ordinamento. Procederò, pertanto, ad una ricognizione della normativa vigente utile a tracciare tale confine.

· L'art. 51 del codice penale sancisce che <<Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine>>.

· L'art. 173 del codice penale militare di pace punisce <<il militare che rifiuta, omette o ritarda di obbedire ad un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore>>.

· L'art. 4 della legge di principio sancisce che <<gli ordini devono, conforme alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare il servizio e non eccedere i compiti d'istituto".

· L'art. 23 del regolamento di disciplina militare impone che gli ordini siano <<emanati in conformità e nei casi previsti dalla legge>>. Il successivo art. 25 al comma 2 prescrive al militare di <<eseguire gli ordini ... nei limiti delle relative norme di legge e di regolamento>>, al comma 3 invece chiarisce che <<Il militare al quale venga impartito un ordine che non ritenga conforme alle norme in vigore deve ... farlo presente ... ed è tenuto a eseguirlo se l'ordine è confermato>>. Infine, il n. 15 dell'Allegato "C" al regolamento di disciplina militare tipizza quale fattispecie di violazione disciplinare punibile con la consegna di rigore la <<Emanazione di un ordine non attinente alla disciplina o non riguardante il servizio, o eccedente i compiti d'istituto>>.

Orbene. L'art. 51 riconosce la possibilità che un ordine illegittimo sia legittimamente eseguito, se la legge non consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. Tale comma potrebbe essere altrimenti letto nel seguente modo: “E’ punito chi esegue un ordine illegittimo in tutti i casi in cui la legge gli consenta di sindacarne la legittimità”. L'art. 173 esime da punizione il solo caso in cui sia stato disobbedito un ordine privo di entrambi i requisiti, attinenza a disciplina e compiti d'istituto. Sembrerebbe potersi dedurre che l'inosservanza di qualunque altro genere di ordine illegittimo costituisce reato.

Differente però è la formulazione dell'art. 4, che oltre a ribadire l’attinenza dell’ordine ad entrambi i citati requisiti, aggiunge che l’ordine deve essere conforme alle leggi in vigore; senza, però, chiarire se il limite si riferisce alle leggi sul funzionamento degli ordini, ovvero a qualsiasi legge dello Stato.

L’art. 25 comma 2, del rdm, infine, afferma che l’ordine illegittimo deve essere eseguito se confermato (insindacabilità dell’ordine).

Il problema della vincolatività dell’ordine rileva, quindi, sotto un duplice profilo: l’art. 51 cp e l’art. 173 cpmp: chi disattende un ordine illegittimo, ma insindacabile, incorre nel reato di disobbedienza; per verso opposto, chi esegue un ordine illecito che poteva sindacare non è scriminato dall'art. 51 c.p..

In effetti il problema del dovere di obbedienza viene analizzato dalla legge di principio esclusivamente con riferimento al momento dell’emanazione degli ordini, trascurando l’aspetto dell’esecuzione, cui attiene il problema della sindacabilità.

Per la verità, già durante i lavori preparatori della legge la dottrina sollevò i dubbi interpretativi che la norma avrebbe creato. La norma, infatti, pur delineando i confini di attinenza dell’ordine, non dice al militare, con chiarezza, quale comportamento debba assumere di fronte all’ordine che si pone al di fuori di tali confini.

Tutto viene lasciato all’alea della valutazione del militare, il quale si trova come in una morsa le cui ganasce sono raffigurate dall’art. 51 CP e l’art. 173 CPMP e sulla cui forza di serraggio pesa il disposto di un regolamento (atto emanato dal solo potere esecutivo).

Il militare, nel breve lasso di tempo concessogli dalla necessità di adempiere all'ordine con prontezza, dovrebbe valutare la legittimità dell'ordine - che per giurisprudenza incontrastata non deve essere motivato, né quindi dare atto della propria aderenza a servizio e disciplina. In tali circostanze il militare da un lato rischia di incorrere nel reato di disobbedienza, dall'altro in quello conseguente all'esecuzione dell'ordine eventualmente criminoso.

Come s'è visto, il problema della sindacabilità dell'ordine nasce non da disquisizioni dottrinali, ma da una norma di diritto positivo, l'art. 51 del Codice Penale. Appare dunque grave la carenza della legge di principio che, pur generalizzando l'applicabilità della scriminante, nulla dice sul punto della sindacabilità.

In verità, la giurisprudenza risolve il problema dell'ordine illegittimo, esaltando la rilevanza dell'errore. Non sembra però una soluzione soddisfacente: contrasta con il principio sancito dall'art. 39 c.p.m.p., per il quale l'ignoranza dei doveri non scusa il militare.

In conclusione. L’Ordinamento militare dal punto di vista dei principi fondanti, vive un momento storico di transizione molto particolare, si può definire nel mezzo tra “il già passato ed il non ancora arrivato”.

Il panorama normativo analizzato sembrerebbe un maldestro tentativo del legislatore di conciliare due opposte esigenze: la coerenza con Ordinamento giuridico democratico e la speditezza e coesione dell’Ordinamento militare.

A parere dello scrivente, poiché tali esigenze sono inconciliabili, andrebbero separate: dovrebbero coesistere un r.d.m. di pace ed un r.d.m. di guerra. Solo il secondo dovrebbe ispirarsi all’esigenza di speditezza delle attività militari. In tempo di pace, invece, l’ordinamento militare dovrebbe assorbire integralmente i principi democratici, così come vuole il legislatore europeo.

Non è un dettaglio di poco conto che il tempo di pace e di democrazia si raggiunge con il sacrificio, anche estremo, dei militari; sarebbe veramente paradossale se rimanessero gli unici esclusi da tali conquiste. Qualsiasi altra soluzione, si rivelerebbe un compromesso foriero di insidie di diversa natura.

L’assenza di regole certe in merito proprio all’esecuzione degli ordini contrari alla legge, non è una questione di poco conto che riguarda solamente i militari. Si consideri la pericolosa interazione dei seguenti due fattori: l’informalità dell’ordine militare e la sua vincolatività anche se illegittimo.

Non bisogna dimenticare che il legislatore europeo ha in mente un militare posto a presidio di tutti i cittadini. Ciò distingue l’Europa da altre zone geografiche meno evolute, in cui le forze armate e quelle di polizia sono state spesso trasformate in qualcosa di diverso, il cui scopo primario era la sopravvivenza del potere politico, indipendentemente, e anzi talvolta in contrapposizione con la volontà popolare.

Per un esempio relativamente recente, si consideri quanto accaduto ad Haiti, in cui la polizia è stata usata come strumento di repressione, da parte delle istituzioni autoritarie, contro l'opposizione e la popolazione civile; oppure quanto accaduto nella ex Jugoslavia, dove polizia e forze armate sono state complici nella preparazione e nella conduzione di operazioni finalizzate all'allontanamento, e talvolta all'eliminazione, della popolazione civile di etnia diversa da quella in un dato momento predominante su un territorio.

CLETO IAFRATE
c.iafrate@ficiesse.it


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