MARONI ORDINA UN'INCHIESTA, REGOLE D'INGAGGIO DA CHIARIRE. LA PRESENZA DEI FINANZIERI ITALIANI IN LIBIA COSTA 16 MILIONI DI EURO L'ANNO (La Stampa)

martedì 14 settembre 2010

La Stampa - 14/9/2010

IL CASO

MARONI ORDINA UN'INCHIESTA
REGOLE D'INGAGGIO DA CHIARIRE

La presenza dei finanzieri italiani in Libia costa 16 milioni di euro l'anno

di FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA -Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ora vuole un’inchiesta sulla storia della motovedetta libica che ha sparato contro un nostro peschereccio. E’ furibondo, il ministro, e c’è da capirlo: Maroni è tra quelli che ha creduto di più nell’accordo di cooperazione italo-libico, ha difeso il trattato con le unghie e con i denti, ha polemizzato, ha dimostrato con i numeri che grazie a quell’accordo si è pressoché chiuso un rubinetto che inondava di immigrati clandestini l’Italia, e ora scopre con disappunto che i libici stanno facendo tutt’altro e per di più sotto gli occhi degli «osservatori» della Guardia di Finanza. E perciò, come da nota ufficiosa del Viminale: «Il ministro ha immediatamente disposto l’apertura di un’inchiesta per accertare se nella vicenda del motopeschereccio colpito da colpi di arma da fuoco sparati da una motovedetta libica emerga un’utilizzazione dei mezzi donati dall’Italia per potenziare il contrasto all’immigrazione clandestina non coerente con le previsioni del Trattato firmato nel 2007 dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato». Era in effetti un accordo inseguito da tempo, quello per il contrasto all’immigrazione clandestina. E che siano Pisanu o Amato o Maroni i ministri dell’Interno, D’Alema o Prodi o Berlusconi i premier, con Gheddafi andiamo sempre molto d’accordo.

Già oggi si terrà una riunione per verificare «il funzionamento delle regole di ingaggio». L’ha annunciato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, confermando che a bordo della motovedetta libica vi era più di un italiano: un sottufficiale della Finanza in veste di osservatore (e dovrebbe essere stato lui ad aver gridato al megafono ai pescatori che si allontanavano: «Fermatevi o questi vi sparano») più un altro che supervisionava i motori. «Quando i pescherecci italiani pescano in acque vietate - ha spiegato Frattini al Tg1 - ovviamente vengono fermati. Ma sparare è una cosa che non possiamo immaginare né contemplare».

Che l’uso di almeno una delle sei motovedette donate dall’Italia al leader libico non sia stato «coerente» con il trattato del 2007 è facile capirlo. Quelle motovedette dovevano essere disarmate e ora invece imbarcano una mitragliatrice pesante. Dovevano servire a fermare gli scafisti che traghettano immigrati clandestini verso l’Europa e ora vengono utilizzate per affermare i diritti di pesca della Libia. Incredibile, poi, è che ciò avvenga sotto gli occhi del personale italiano.

Detto per inciso, la presenza dei finanzieri in Libia costa un occhio della testa. Nel decreto legge numero 1 del 1 gennaio 2010, si legge che sono stati stanziati 8 milioni di euro e 220mila euro per sei mesi di presenza italiana in Libia. Personale della Guardia di Finanza che si trova laggiù appunto a «garantire la manutenzione ordinaria e l’efficienza delle unità navali cedute dal governo italiano al governo libico, in esecuzione degli accordi di cooperazione sottoscritti tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani». Sedici milioni di euro all’anno: ecco quanto costa la missione della Guardia di Finanza per garantire a Gheddafi l’efficienza delle motovedette.
 


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