L’INVIO TRAMITE UN LEGALE DI UNA LETTERA COSTITUISCE ESERCIZIO DI UNA FACOLTÀ LEGITTIMA E NON PUÒ CONSIDERARSI VIOLAZIONE DEI DOVERI DEL MILITARE. ANNULLATA CONSEGNA DI RIGORE E GDF CONDANNATA AL PAGAMENTO DELLE SPESE DI LITE (Consiglio di Stato)
Sintesi
L’interessato, brigadiere sovrintendente della Guardia di Finanza, ha inviato, a mezzo del suo legale, in data 2.7.2015 agli indirizzi di posta elettronica istituzionali del II Gruppo Guardia di Finanza di -OMISSIS- e della Compagnia Guardia di Finanza di -OMISSIS-, una lettera avente per oggetto “trattamento discriminatorio in violazione dell’art. 2087 c.c.”.
L’Amministrazione, ritenendo rilevante ai fini disciplinari il comportamento tenuto dal Sovrintendente, ha avviato un procedimento disciplinare di corpo, concluso con la sanzione disciplinare della consegna di rigore nella misura di 7 (sette) giorni.
L’adito T.A.R. Venezia, dopo aver accolto l’istanza cautelare, ha accolto anche il ricorso, annullando gli atti impugnati.
Le amministrazioni hanno proposto appello avverso la suddetta sentenza, chiedendone la riforma.
L’appello è infondato. L’iniziativa dell’appellato, che ha inviato tramite il suo legale, una la lettera di segnalazione di presunti comportamenti discriminatori subiti, costituisce esercizio di una facoltà legittima diretta espressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Costituzione e non può considerarsi tale da integrare alcuna violazione dei doveri attinenti al grado e alle funzioni del militare.
Il diritto di difesa deve poter essere esercitabile anche al di fuori e in via preventiva rispetto al momento dell’azione in sede di giudizio, e quindi anche mediante l’interlocuzione con l’amministrazione, ed essere garantito anche nelle organizzazioni a forte impronta gerarchica, come quelle militari.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese del grado di appello, quantificate in euro 3.000,00.
Sentenza
Pubblicato il 07/03/2022
N. 01652/2022REG.PROV.COLL.
N. 04381/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4381 del 2017, proposto da
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati *************;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS-, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni e l’avvocato **********;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ impugnata la sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, Sezione I, n. -OMISSIS-, che ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato per l’annullamento della sanzione disciplinare di sette giorni di consegna di rigore.
L’interessato, brigadiere sovrintendente della Guardia di Finanza, ha inviato, a mezzo del suo legale, in data 2.7.2015 agli indirizzi di posta elettronica istituzionali del II Gruppo Guardia di Finanza di -OMISSIS- e della Compagnia Guardia di Finanza di -OMISSIS-, una lettera avente per oggetto “trattamento discriminatorio in violazione dell’art. 2087 c.c.”.
Con tale missiva sono stati denunciati alcuni comportamenti discriminatori, comportanti nei suoi confronti un pesante demansionamento, consistiti, tra l’altro, nella mancata concessione di turni di servizio serali o festivi, nell’impiego esclusivo in qualità di “capoposto” presso il magazzino merci dello scalo aeroportuale di -OMISSIS-, nel mancato affidamento dell’incarico di Comandante Interinale di Squadra, etc.; con la predetta missiva è stato anche chiesto al Comandante titolare della Compagnia di conoscere elementi in merito ai profili di impiego e ad altre circostanze attinenti al servizio svolto dall’interessato.
Secondo l’amministrazione il contenuto della missiva sarebbe stato sostanzialmente identico a precedente lamentele ed in particolare ai motivi di doglianza formulati in precedenti ricorsi giustiziali, proposti dall’interessato in materia di documentazione caratteristica. Si trattava in particolare di: a) due ricorsi gerarchici presentati in data 7.7.2014 avverso altrettanti documenti di valutazione, denominati “Rapporti Informativi”, redatti in relazione ai periodi di servizio 13.8.2013-31.12.2013 e 1.1.2014-12.5.2014, respinti con determinazioni datate 16.9.2014; b) due ulteriori ricorsi straordinari al Capo dello Stato proposti in data 16.01.2015 avverso le determinazioni con le quali erano stati rigettati i menzionati ricorsi gerarchici, con i quali l’interessato, oltre a lamentare una perdurante staticità nelle valutazioni conseguite (sebbene attestate su livelli apicali di eccellenza), aveva già espressamente censurato i medesimi comportamenti asseritamente discriminatori e demansionanti, oggetto della successiva missiva.
L’Amministrazione, ritenendo rilevante ai fini disciplinari il comportamento tenuto dal Sovrintendente, ha avviato un procedimento disciplinare di corpo, concluso con la sanzione disciplinare della consegna di rigore nella misura di 7 (sette) giorni, così motivata:
“…Sovrintendente in forza ad una Compagnia aeroportuale, assumendo un comportamento palesemente contrario ai propri doveri, perlopiù, manifestamente non consono allo status di militare, inopportunamente si adoperava, presso uno studio legale patavino, rimettendo il mandato ad un avvocato, per indirizzare alla sua diretta linea gerarchica uno scritto avente per oggetto “….
– trattamento discriminatorio in violazione dell’art. 2087 c.c.”.
Nello specifico: (1) la lettera in questione, illustra doglianze già ampiamente conosciute e trattate per via gerarchica, nonché, oggetto di due successivi ricorsi al Presidente della Repubblica per i quali si è in attesa degli esiti, riguardanti presunte discriminazioni ed atti persecutori volutamente adottati, a suo dire, dai diretti Superiori; (2) l’atteggiamento perseguito, ingenera dannose tensioni aggiuntive all’interno del Reparto arrecando turbamento al regolare svolgimento del servizio d’istituto; (3) il comportamento tenuto provoca un artificioso condizionamento dell’azione di comando che risulta, comunque, in parte inibita nel pieno ed armonico sviluppo che le sono proprie.
L’iniziativa di cui si tratta ha comportato, altresì, la produzione di ulteriore copioso carteggio amministrativo, con sostanziale, superfluo, aggravio burocratico per le articolazioni deputate
all’espletamento di questa tipologia di trattazioni e, conseguentemente, considerevole pregiudizio in danno dell’Amministrazione.
La mancanza è stata commessa in -OMISSIS- in data 2 luglio 2015, nel grado di Brigadiere…”.
Avverso tale sanzione l’interessato ha proposto ricorso gerarchico, respinto dal Comandante Regionale Guardia di Finanza -OMISSIS- con determinazione n. 39193/16 datata 2.2.2016.
L’interessato ha impugnato sia quest’ultimo provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico, sia il provvedimento disciplinare; l’adito T.A.R. -OMISSIS-, dopo aver accolto l’istanza cautelare (giusta l’ordinanza n. 273/16 depositata in data 26.05.2016, ritenendo fondata la dedotta “non proporzionalità e congruità della sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata”), ha accolto anche il ricorso, annullando gli atti impugnati.
Il Tribunale ha tra l’altro osservato quanto segue: “a ben vedere, l’iniziativa del ricorrente ha costituito esercizio di una facoltà legittima, allo stesso spettante in base all’art. 24 Cost.; né può condividersi il rimprovero mossogli dall’Amministrazione resistente, di avere con la missiva del 2 luglio 2015 riprodotto pedissequamente le stesse doglianze già oggetto di precedenti ricorsi gerarchici – respinti – e di ricorsi straordinari al Capo dello Stato, tuttora pendenti. Nello specifico, il Brig. P... risulta avere presentato due ricorsi gerarchici nei confronti di altrettanti rapporti informativi redatti in relazione ai periodi di servizio 13 agosto – 31 dicembre 2013 e 1° gennaio – 12 maggio 2014 e, dopo il rigetto degli stessi, due ricorsi straordinari al Capo dello Stato avverso tali determinazioni di rigetto;
- invero, a confutazione dell’assunto del provvedimento sanzionatorio, per cui la missiva del Brig. P…, riportando argomentazioni analoghe a quelle da lui già espresse nei ricorsi amministrativi, investirebbe il Reparto con trattazioni ripetitive e produrrebbe un pesante aggravio del carteggio di ufficio ed un artificioso condizionamento dell’azione di comando (inibita, in parte, dalla costante e gravosa interlocuzione interna ai Comandi), depongono i seguenti elementi, che la P.A. ha omesso di considerare adeguatamente:
a) i ricorsi amministrativi contestano le valutazioni della P.A. nei riguardi del Brig. P… e perciò, al di là dell’identità delle censure, hanno un oggetto ben specifico e diverso. A siffatta differenza di oggetto si accompagna, altresì, una chiara diversità di funzioni, poiché – come ricorda il ricorrente nella memoria conclusiva – la lettera inviata ai superiori per il tramite del legale è volta non già alla revisione delle note caratteristiche del militare, ma, da un lato, al ripristino delle mansioni spettanti allo stesso (in ipotesi, vittima del demansionamento), dall’altro, al rispetto del principio di parità di trattamento (in ipotesi, violato);
b) la missiva del 2 luglio 2015 ha “attualizzato” (come recita l’impugnato provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico avverso l’inflizione della sanzione) questioni già sottoposte dal citato militare ai superiori gerarchici, cioè ha esposto fatti nuovi rispetto a quelli indicati nei ricorsi amministrativi, dovendosi configurare quale fatto nuovo anche la prosecuzione dei comportamenti discriminatori e vessatori lamentati dal Brig. P…. La “costante e gravosa interlocuzione” con i superiori, di cui si lamenta la P.A., ben può spiegarsi, del resto, proprio con il perpetuarsi di situazioni che l’interessato percepisce come lesive della sua posizione lavorativa;
c) la lettera del 2 luglio 2015 ha inoltre contenuto indubbiamente innovativo per le lamentele che si riferiscono a certune vicende avvenute nell’ultimo anno, in relazione alle mansioni di “capoposto” presso il magazzino merci svolte dal Brig. P... In proposito, l’ultimo paragrafo della lettera cita infatti episodi, come la mancata convocazione alle riunioni di Squadra ed i ripetuti richiami da parte del diretto superiore per motivi (asseritamente) insussistenti, non indicati in precedenza, tant’è vero che si tratta di episodi tralasciati dalla difesa erariale nella tabella comparativa depositata quale doc. 15 (dove sono riportati i passaggi delle missiva del 2 luglio 2015 e dei ricorsi amministrativi che coinciderebbero e che, perciò, dimostrerebbero il carattere ripetitivo delle lamentele avanzate con la ridetta missiva);
d) il fatto che il militare abbia conferito mandato ad un legale (peraltro, come nei ricorsi straordinari al Capo dello Stato) vale ad escludere il carattere informale della missiva, essendo irrilevante che la stessa, come afferma il provvedimento sanzionatorio, non assurga al rango di citazione giudiziaria. La serietà dell’iniziativa ed il suo carattere di atto, tramite cui l’interessato persegue scopi di tutela delle sue posizioni lavorative e non certo emulativi, è dimostrata, a ben vedere, proprio dalla scelta del militare di affidarsi ad un legale, il che comporta: da un lato, la sottoposizione delle doglianze al vaglio di un professionista, incaricato di soppesarle alla luce delle sua scienza giuridica; dall’altro, il sobbarcarsi, da parte del Brig. P…, delle relative spese;
- totalmente privo di fondamento è, poi, il rilievo avanzato dal provvedimento sanzionatorio circa la genericità dei contenuti della missiva, che, invece si riferisce a circostanze specifiche (in disparte la fondatezza o meno delle stesse in punto di fatto)”.
Le amministrazioni segnate in epigrafe hanno proposto appello avverso la suddetta sentenza, chiedendone la riforma alla stregua del seguente motivo di gravame, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 751, comma 1, lett. a), del d.p.r. 15.3.2010, n. 90 – artt. 24 e 52 cost. – erronea valutazione degli atti di causa – invasione della sfera discrezionale dell’amministrazione”.
E’ stata sollevata in primo luogo una censura inerente alla natura dell’illecito disciplinare indicando come la sanzione, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 751 co. 1, lett. a), punto 3 e co. 2 del codice dell’ordinamento militare, attinente alla violazione rilevante dei doveri attinenti al grado e alle funzioni del proprio stato.
La mancanza del dato positivo, che tipicizzi specificatamente la condotta attribuita all’interessato (ovvero l’aver inoltrato ai propri superiori una missiva con la quale ha reiterato doglianze già oggetto di due ricorsi gerarchici ed altrettanti ricorsi al Capo dello Stato), non inciderebbe sul fatto storico e fisiologico della contrarietà di tale iniziativa ai canoni di comportamento richiesti ad ogni appartenente alla Guardia di Finanza; in quanto l’interessato con la propria condotta avrebbe: riproposto questioni oggetto di ricorsi gerarchici e straordinari al Capo dello Stato”; causato “dannose tensioni aggiuntive all’interno del Reparto arrecando turbamento al regolare svolgimento del servizio d’Istituto”; generato “la produzione di ulteriore copioso carteggio amministrativo, con sostanziale, superfluo, aggravio burocratico per le articolazioni deputate all’espletamento di questa tipologia di trattazioni e, conseguente, pregiudizio in danno dell’Amministrazione”. Se è vero che le garanzie dell’art. 24 Cost. sono sicuramente esperibili nelle sedi giurisdizionali o amministrative a ciò deputate, le stesse non possono costituire, ove poste in essere al di fuori delle finalità di tutela garantite, causa di intralcio e appesantimento dell’attività amministrativa a sua volta garantita da norma di pari rango costituzionale (art. 97 Cost.).
Sarebbe inoltre irrilevante l’affermazione del T.A.R. secondo cui “…non risponde al vero l’assunto della P.A., per cui i comportamenti lesivi del prestigio del Corpo sarebbero puniti sì con la consegna di rigore, ma da un’altra disposizione (cioè l’art. 751, comma 1, lett. a), n. 17, del D.P.R. n. 90)”, in quanto sia la contestazione degli addebiti, sia la sanzione disciplinare, sia la determinazione di rigetto del gravame gerarchico, fanno correttamente riferimento esclusivamente alla violazione di cui all’art. 751 co. 1, lett. a), punto 3 e co. 2 (“violazione rilevante dei doveri attinenti al grado e alle funzioni del proprio stato”).
In ogni caso, secondo le amministrazioni appellanti, l’illecito disciplinare addebitato sfuggirebbe alla regola della necessaria, preventiva corrispondenza tra sanzione e previsione della fattispecie sanzionata, rientrando una siffatta condotta nel genus delle inosservanze dei doveri comportamentali, in linea generale normativamente previsti dal Codice dell’Ordinamento Militare e dal Testo Unico regolamentare, nonché propri dello status dell’appartenente alla Guardia di Finanza, il che giustificherebbe l’esercizio della potestà autoritativa di tipo sanzionatorio. In sostanza, nel comportamento dell’appellato sarebbe rilevabile comunque un “disvalore” sotto il profilo disciplinare costituito, appunto, dal tentativo di: “accreditare la tesi di una carente azione di comando e gestionale all’interno del proprio Reparto, sotto il profilo delle dinamiche relazionali e gerarchiche, sulla base di rivendicazioni, interpretazioni e ragioni soggettive, già esternate nell’ambito dei ricorsi amministrativi in precedenza citati”; “ottenere spiegazioni dai propri Superiori gerarchici sull’azione di gestione del Reparto e di vedersi riconosciute le anzidette ragioni soggettive, senza attendere gli esiti del contenzioso già instaurato”.
Ciò in quanto uno dei caratteri essenziali dell’illecito disciplinare è l’indeterminatezza e, cioè, la sanzionabilità di fatti e comportamenti anche non contemplati da specifiche norme.
Il principio di tassatività sarebbe infatti attenuato, nel senso che non è richiesto che un comportamento possa essere sanzionato solo in quanto contrario a una legge o ad un regolamento, ben potendo rilevare la violazione di un ordine, anche solo verbale, o un comportamento contrario ad ipotesi concettuali di carattere generale, quali l’onore, il decoro e la dignità del grado.
E’ anche stato sollevato il profilo del travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa l’amministrazione. Viene dedotto che nel procedimento disciplinare l'amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti ascritti al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni e sulla conseguente sanzione da infliggere; ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento.
L’esercizio del potere disciplinare, infatti, può formare oggetto di un controllo di legittimità da parte del giudice unicamente nell’ipotesi di macroscopici vizi logici, o travisamento dei fatti.
Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., nel caso di specie non sarebbe ravvisabile alcun travisamento di fatti, giacché l’amministrazione avrebbe considerato come riproposte questioni già oggetto di precedenti gravami amministrativi, che secondo il Giudice sarebbero state “nuove”.
Sarebbe, inoltre, errato l’assunto del T.A.R. -OMISSIS- secondo cui l’oggetto dei ricorsi gerarchici e straordinari avverso la decisione sugli stessi sarebbe costituito dalla documentazione caratteristica, mentre la missiva in questione avrebbe voluto segnalare pretesi comportamenti “mobbizzanti” a danno del dipendente. In realtà, secondo le appellanti amministrazioni, gli elementi di fatto alla base dei gravami esperiti e della missiva del 2.7.2015 sarebbero i medesimi, ovverossia comportamenti asseritamente discriminatori adottati dal Comandante di Reparto nei confronti del militare attinenti, tra l’altro, gli incarichi e i servizi (con i relativi orari e turnazioni) al medesimo affidati. L’appellato anche nei ricorsi giustiziali aveva censurato, con le medesime argomentazioni, il presunto trattamento discriminatorio subìto, sostenendo che lo stesso avesse impedito ai propri superiori di valutare correttamente il servizio prestato, determinando così l’illegittimità dei documenti caratteristici ivi impugnati. La stessa lettera, peraltro, fa espresso riferimento ai “numerosi scritti, compresi due ricorsi straordinari al Capo dello Stato”. L’amministrazione non sarebbe, quindi, incorsa in alcun travisamento dei fatti, avendo correttamente ritenuto che il finanziere avesse riproposto, in parte attualizzandole, questioni che la superiore gerarchia aveva già trattato nel merito nell’ambito delle decisioni dei ricorsi gerarchici rientranti nelle proprie competenze, successivamente impugnate con gli ulteriori ricorsi al Capo dello Stato.
Le amministrazioni appellanti hanno evidenziato il profilo della rilevanza disciplinare della missiva, quale atto volto a minare l’autonomia del Comandante circa l’impiego dei militari e l’organizzazione dei servizi; hanno aggiunto che il militare non avrebbe lamentato particolari condizioni gravose del proprio incarico, ma avrebbe avanzato, tra l’altro, richieste ulteriori rispetto all’esecuzione ordinaria del servizio in un’ottica di personale convenienza anche se non necessariamente utile al servizio (quali lo svolgimento di turni di lavoro serali o in giorni festivi), recriminando la mancata soddisfazione delle proprie richieste; tali pretese circa l’assegnazione di specifici incarichi sarebbe state infondate, come ben avrebbe dovuto sapere l’appellato, in quanto il Comandante del Reparto ha il potere - dovere di organizzare i servizi e impiegare il proprio personale dipendente in assoluta autonomia, in vista del raggiungimento degli obiettivi istituzionali della Guardia di Finanza e in ossequio ai canoni costituzionali del buon andamento dell’amministrazione. L’interessato con la sua condotta avrebbe messo in discussione la indubbia autonomia del Comandante, gettando discredito rispetto all’esercizio della sua azione di comando e creando conflittualità all’interno della compagine lavorativa. L’azione di comando ne sarebbe risultata in parte impedita e, comunque, fortemente condizionata, perché si sarebbe dovuta confrontare ripetutamente e di volta in volta con richieste inconsistenti e fondate su aspettative meramente soggettive.
Le amministrazioni appellanti contestano, altresì, l’asserzione del giudice di primo grado che non ha ritenuto censurabile l’invio della lettera del 2 luglio, perché espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Il militare aveva già rappresentato all’amministrazione le sue lagnanze e si era difeso avverso atti concreti e ben precisi, quali i giudizi caratteristici. Inoltre, con la missiva in questione l’appellato non avrebbe denunciato concreti atteggiamenti vessatori dei propri superiori, bensì l’organizzazione dei servizi e l’impiego del personale, che per ogni Comandante di Reparto si traducono nel corretto e dovuto esercizio dell’azione di comando.
Nessun diritto di difesa, pertanto, sarebbe stato leso o compresso con l’esercizio dell’azione disciplinare, essendo stata posta in discussione la potestà organizzativa e discrezionale dell’amministrazione in tema di impiego del personale e l’attività di direzione e coordinamento dei vertici dell’amministrazione, con l’aggravante del fatto che sarebbero stati palesati a terzi (il legale o il redattore materiale dello scritto) aspetti che attengono alle vicende operative di un reparto di Polizia militare che in quanto tali sono strettamente avvinte dal vincolo di riservatezza.
L’ultimo aspetto dedotto in sede di appello riguarda la proporzionalità della sanzione inflitta, ritendendo le appellanti che, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la sanzione non sarebbe stata sproporzionata e che la valutazione della gravità della condotta sarebbe stata rimessa dal legislatore all’autorità disciplinare con sindacabilità da parte del giudice amministrativo sotto il profilo dell'eccesso di potere, quando vi sia stato un travisamento dei fatti ovvero la relativa motivazione risulti sprovvista di logicità e di coerenza. Queste ultime circostanze non sussisterebbero in quanto l’autorità disciplinare: avrebbe dato adeguata contezza dell’impianto probatorio che dimostrerebbe l’indubbia responsabilità del militare nella vicenda in questione e avrebbe adeguatamente argomentato circa l’infondatezza delle giustificazioni rese dallo stesso nell’ambito del procedimento disciplinare; avrebbe posto l’accento sul danno arrecato dal militare al reparto di appartenenza quanto “alle dinamiche relazionali tra il personale e tra questo e la catena di comando”; dopo aver verificato le responsabilità del militare, avrebbe conseguentemente provveduto a valutare la gravità dell’infrazione dallo stesso commessa al fine di individuare la giusta sanzione, all’uopo indicandone le ragioni con congrua motivazione.
Si è costituito in giudizio il militare appellato, con apposita memoria difensiva, resistendo al ricorso.
La controversia è stata trattenuta in decisione all’udienza dell’8.2.2022.
DIRITTO
1) L’appello è infondato.
2) L’iniziativa dell’appellato, che ha inviato tramite il suo legale, una la lettera di segnalazione di presunti comportamenti discriminatori subiti, costituisce esercizio di una facoltà legittima diretta espressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Costituzione e non può considerarsi tale da integrare alcuna violazione dei doveri attinenti al grado e alle funzioni del militare.
Il diritto di difesa deve poter essere esercitabile anche al di fuori e in via preventiva rispetto al momento dell’azione in sede di giudizio, e quindi anche mediante l’interlocuzione con l’amministrazione, ed essere garantito anche nelle organizzazioni a forte impronta gerarchica, come quelle militari.
Né le modalità con le quali la facoltà di difesa è stata esercitata esorbitano dai limiti consentiti dall’ordinamento per il suo esercizio, per assumere caratteri offensivi o disfunzionali.
La facoltà di difesa è stata, infatti, esercitata in via formale, mediante il conferimento di apposito mandato a un difensore, ovverosia con una iniziativa seria e ponderata volta a tutelare la posizione lavorativa, per il tramite di un professionista, che ha potuto quindi valutare l’iniziativa anche da un punto di vista tecnico-giuridico e scrivere la nota in questione dopo l’esame della vicenda.
La lettera inviata è pertanto volta a tutelare i diritti dell’interessato e non emergono elementi, anche solo indiziari, tali da far ritenere che la stessa sia stata inviata per perseguire scopi emulativi o per portare discredito alle istituzioni militari o condizionare l’azione di comando.
L’esercizio del diritto di difesa non può inoltre risultare recessivo di fronte alle generiche argomentazioni difensive dell’amministrazione che si richiamano alla necessità che lo stesso non costituisca causa di causa di intralcio e appesantimento dell’attività amministrativa e finanche a ragioni di riservatezza, in relazione alla divulgazione di dati inerenti al servizio al legale e ai suoi collaboratori; ciò anche perché altrimenti tali esigenze sarebbero deducibili di fronte a ogni iniziativa volta a tutelare un diritto, in quanto ogni pretesa o rivendicazione del cittadino può comportare un’attività istruttoria e difensiva dell’Amministrazione e l’assistenza di un legale comporta la necessità di renderlo partecipe dei fatti.
Né d’altra parte, a fronte della situazione evidenziata dall’appellato, può imputarsi a quest’ultimo come comportamento violativo dei doveri del militare il fatto di non aver adito direttamente le vie legali avverso i comportamenti ritenuti “mobbizzanti”, piuttosto che prima interloquire, tramite un legale, con l’amministrazione militare, consentendo peraltro in tal modo a quest’ultima di poter verificare l’effettiva situazione di fatto e di adottare, se necessario o opportuno, gli adeguati eventuali correttivi.
Non si può limitare l’esercizio del diritto di difesa in via preventiva rispetto all’adire le vie giudiziarie, e anzi il dialogo preventivo con l’Amministrazione su eventuali possibili controversie, risulta conforme ai principi di comportamento in buona fede e leale collaborazione che devono sempre improntare il rapporto tra il cittadino e l’amministrazione pubblica, anche nel caso in cui si tratti di un militare.
Peraltro nel caso di specie l’invio della lettera, che evidenzia una situazione potenzialmente lesiva di alcuni diritti, non può dirsi di per sé tale da creare “dannose tensioni aggiuntive all’interno del Reparto arrecando turbamento al regolare svolgimento del servizio d’Istituto”, che d’altronde avrebbe dovute essere rigorosamente documentate; né può condividersi la singolare tesi dell’amministrazione secondo cui l’invio della più volte citata missiva avrebbe determinato “la produzione di ulteriore copioso carteggio amministrativo, con sostanziale, superfluo, aggravio burocratico per le articolazioni deputate all’espletamento di questa tipologia di trattazioni e, conseguente, pregiudizio in danno dell’Amministrazione”.
In verità, l’aggravio dell’attività amministrativa è stato generato, nel caso di specie, più dal procedimento disciplinare che dalla lettera dell’interessato che non avrebbe richiesto un particolare seguito procedimentale.
Proprio perché la missiva ha rappresentato la forma adeguata e non abnorme dell’esercizio del diritto di difesa e tenuto conto del suo contenuto, che non è neppure risultato a giudizio dell’amministrazione connotato da elementi integranti la violazione dei doveri del militare, ben avrebbe potuto l’amministrazione limitarsi a prendere atto della stessa (qualora la vicenda fosse stata effettivamente nota, come sostenuto, e le pretese fossero state infondate), senza dar luogo a un procedimento disciplinare fondato sul solo fatto dell’invio di una missiva.
3) Né, ai fini della astratta legittimità anche solo dell’avvio del procedimento disciplinare, può assumere rilievo la ritenuta manifesta infondatezza o la ripetitività delle rimostranze del militare, essendo questi elementi irrilevanti ai fini della garanzia del diritto di difesa, che deve essere comunque riconosciuto.
La fondatezza della pretesa non è, infatti, in alcun modo oggetto del presente giudizio, che verte esclusivamente sul diverso tema della punibilità in sede disciplinare del comportamento del finanziere cha ha fatto presente, tramite il suo legale, l’esistenza di presunte discriminazioni nei suoi confronti per avere tutela dall’amministrazione.
4) In definitiva l’indicata riconducibilità dell’azione dell’appellato all’esercizio del diritto di difesa comporta di per sé l’infondatezza dell’appello, assorbendo ogni altra doglienza sollevata.
E’ appena il caso di aggiungere per completezza come sia irrilevante ai fini del caso in esame il sostenuto carattere di tassatività attenuata che connota l’illecito disciplinare, così come l’esatta individuazione della norma sottostante l’esercizio del potere disciplinare, e l’invocato alto grado di discrezionalità tecnica che connota le valutazioni dell’amministrazione nel giudizio disciplinare
In ogni caso, infatti, il presupposto per l’esercizio di tale potere è la violazione dei doveri inerenti allo status e al grado di militare, che nel caso di specie per quanto esposto in precedenza non è risultata sussistente.
La sentenza gravata ha del resto compiutamente, ragionevolmente e correttamente indicato i motivi per cui la lettera di cui si tratta non si sia limitata alla mera ripetizione di questioni già oggetto di due ricorsi gerarchici ed altrettanti ricorsi al Capo dello Stato, ma abbia costituito un quid novi: motivazioni che le censure spiegate in appelli non sono idonee a scalfire.
I due gerarchici presentati in data 7.7.2014 e i relativi successivi ricorsi straordinari al Capo dello Stato del 16.01.2015, avevano in effetti ad oggetto l’impugnativa di specifici rapporti informativi (redatti in relazione ai periodi di servizio 13.8.2013-31.12.2013 e 1.1.2014-12.5.2014), mentre la missiva che ha generato il provvedimento disciplinare, seppure verte in parte su circostanze comuni e sul “condiviso” tema del trattamento discriminatorio subito, ha un oggetto diverso dalla contestazione delle note caratteristiche del militare, inerente all’intera situazione di supposto demansionamento. Inoltre essa contiene ulteriori circostanze avvenute nell’anno trascorso dalla presentazione dei ricorsi gerarchici, come ben evidenziato dalla sentenza gravata (“certune vicende avvenute nell’ultimo anno, in relazione alle mansioni di “capoposto” presso il magazzino merci svolte dal Brig. P…. In proposito, l’ultimo paragrafo della lettera cita infatti episodi, come la mancata convocazione alle riunioni di Squadra ed i ripetuti richiami da parte del diretto superiore per motivi (asseritamente) insussistenti, non indicati in precedenza”)
5) Per le suesposte ragioni l’appello deve essere rigettato.
Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del grado di appello, quantificate in euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Fabrizio D'Alessandri |
Carlo Saltelli |
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IL SEGRETARIO