IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: PONTE PER ATTIVARE LA GIUSTIZIA EUROPEA SENZA PAGARE GLI ONEROSI "PEDAGGI" RICHIESTI PER ESSERE RAPPRESENTATI DINANZI A TAR E CONSIGLIO DI STATO - di Cleto Iafrate

martedì 04 gennaio 2011

Di seguito, un interessante approfondimento di Cleto Iafrate sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il titolo è della redazione del sito.

 

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Breve storia del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - 3. L’importanza che riveste la natura giuridica del ricorso - 4. La “mutazione genetica” della natura giuridica del ricorso straordinario disposta dall’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69. - 5. Le implicazioni conseguenti alla riforma. Un caso pratico.

 

 

1. INTRODUZIONE

 

Come noto, il ricorso giurisdizionale amministrativo ha l’obiettivo di ottenere l’annullamento di un atto illegittimo emanato da un Pubblico Potere.

 

Secondo la dottrina tradizionale, l’interesse del privato ad ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo coincide con quello della Pubblica Amministrazione alla rimozione di un atto viziato. Anzi, tale dottrina sostiene che il privato, proprio in ragione dell’interesse pubblico, ha il potere di agire per l’annullamento dell’atto viziato. In altri termini, il cittadino che ricorre al giudice amministrativo per conseguire un interesse personale contribuisce, al contempo, sia al controllo dell’attività  della P.A., sia alla verifica che l’azione di quest’ultima sia volta al raggiungimento dei fini sanciti dall’art. 97 della Cost. (buon andamento ed imparzialità  dell’amministrazione). 

 

Stando così le cose, se si ponessero ostacoli al diritto dei cittadini di impugnare gli atti illegittimi, si avrebbero diverse e perverse conseguenze. In primo luogo, sarebbe errato il messaggio dato ai cittadini quali destinatari di tali atti. Inoltre, le Amministrazioni godrebbero di protezioni illegittime e sarebbero libere di agire in modo incontrollato; il tutto in riduzione degli spazi di tutela dei diritti dei singoli. Di conseguenza lo Stato sarebbe privato di un contributo prezioso, poichà© è frequente che taluni comportamenti illeciti della P.A. emergano nel corso di giudizi di impugnativa, in assenza dei quali, rimarrebbero impuniti e somma ingiustizia sarebbe fatta.

 

Premesso ciò, va ricordato che quando un ricorso viene iscritto a ruolo è necessario versare il contributo unificato: un importo che negli ultimi anni ha subito dei consistenti e costanti aumenti. Il versamento è integralmente a carico di chi propone l’azione, e, ovviamente, si somma al costo della parcella che l’attore pagherà  al legale per essere assistito.

 

Oggi impugnare un atto amministrativo nei due gradi di giudizio costa all’incirca 8.000,00 euro: 4.000,00 euro per il ricorso al TAR e ulteriori 4.000,00 euro per l’eventuale appello al Consiglio di Stato. L’appello è sempre necessario, in quanto le Pubbliche Amministrazioni impugnano quasi tutte le sentenze di primo grado in cui risultano soccombenti. L’appello, oltre a far lievitare i costi della giustizia, fa dilatare i tempi della stessa, tanto che, a volte, la parte più forte (Amministrazione) vince per morte della controparte oppure per “abbandono di campo” del ricorrente (che, anche se non molto sportiva, è pur sempre una vittoria!).

 

In una vecchia commedia di Marcel Achard viene recitata una battuta memorabile: "La giustizia costa cara", dice uno. "E’ per questo che si economizza!" risponde l’altro. In termini metaforici, se si vuole sopprimere un pesce, esistono due modi per farlo: togliergli l’acqua, oppure inquinargliela. In questo secondo modo, pur rispettando formalmente il diritto del pesce a vivere in acqua, nella sostanza lo si uccide, togliendo l’ossigeno presente nell’elemento in cui vive.

 

Parimenti, ricorrere al giudice amministrativo è diventato un lusso riservato a pochi privilegiati. Formalmente “LA GIUSTIZIA E’ UGUALE PER TUTTI” ma, nella sostanza, essa “E’ UGUALE SOLO PER TUTTI QUELLI CHE SE LA POSSONO PERMETTERE”.

 

La Giustizia Europea, al contrario di quella italiana, non è così costosa ed inaccessibile. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) può essere adita da qualsiasi cittadino con il semplice invio di una lettera raccomandata, senza l’uso di marche da bollo, senza il pagamento di alcun contributo unificato ed anche senza l’assistenza di un legale. Tuttavia, il cittadino europeo può ricorrere alla Corte Europea (CEDU) soltanto dopo aver esperito tutti i rimedi interni, cioè tutti i gradi di giudizio previsti dall’ordinamento giuridico del suo Stato.

 

Sembrerebbe che, se prima non si paga un “pedaggio” di circa 8.000,00 euro per esperire i rimedi interni (TAR e Consiglio di Stato), non si possa accedere alla meno dispendiosa giustizia della CEDU.

 

In realtà , così non è. QUESTA E’ LA BUONA NOTIZIA.

 

Ma procediamo con ordine.

 

 

2. BREVE STORIA DEL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in passato è stato definito “ricorso dei poveri” in quanto è nato proprio allo scopo di consentire l’accesso alla tutela legale anche ai cittadini con ridotte capacità  economiche, in quanto non ha bisogno di essere presentato da un avvocato.

 

Tale rimedio ha origini antichissime: risale ai tempi delle monarchie assolute, quando il sovrano aveva il potere di decidere in ultima istanza sugli atti che erano ritenuti illegittimi. Nel 1729, durante il Regno di Sardegna, questo tipo di ricorso fu formalmente disciplinato, per la prima volta, nelle Costituzioni Generali di Vittorio Amedeo II. Nel 1749, con l’ascesa al trono di Carlo Emanuele III, venne istituito il Consiglio del Re e si stabilì che il Re poteva ascoltare il parere, non vincolante, di detto Consiglio prima di decidere il ricorso a lui indirizzato.  Nel 1831, ad opera di Carlo Alberto, il Consiglio del Re venne riorganizzato ed assunse la denominazione di “Consiglio di Stato”, i cui poteri erano ancora molto limitati. Si dovette attendere la successiva legge del Regno di Sardegna nr. 3707 del 30 ottobre 1859, sul “Riordinamento del Consiglio di Stato”, per ottenere che il parere del Consiglio di Stato fosse obbligatorio in tutti i casi di ricorso straordinario al Re.

 

Il rimedio straordinario rischiò per la prima volta, nel 1889, di venir espunto dall’ordinamento quando, con la legge n. 5992, venne istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato; per questo motivo si pensò di sopprimere l’antico istituto del ricorso al Re, ritenuto da quel momento un inutile duplicato. Fortunatamente, prevalsero le voci contrarie e l’istituto venne mantenuto, con la gioia delle classi più povere. Dal 1889, pertanto, iniziarono a convivere sia il ricorso ordinario rivolto alla IV Sezione dell’istituito Consiglio di Stato che quello straordinario indirizzato al Re.

 

Il ricorso straordinario corse un secondo rischio di estromissione nel 1907, allorquando si discusse della proposta della sua soppressione. In quella occasione, Giolitti affermò: “QUESTA SOPPRESSIONE, A MIO AVVISO, NON SAREBBE UNA COSA BUONA. IL RICORSO STRAORDINARIO AL RE COSTITUISCE UNA GIUSTIZIA GRATUITA, GIACCHE’ ESSA NON COSTA CHE IL FOGLIO DI CARTA PER RICORRERE AL GOVERNO” (Camera dei deputati, Legisl. XXII, I Sess. Disc., Tornata 1° marzo 1907, vol. 233, 4956).

 

La stessa Corte Costituzionale, circa un secolo più tardi, ha definito il ricorso “rimedio straordinario contro eventuali illegittimità  di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono evitare con modica spesa, senza bisogno dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio di tempi di presentazione del ricorso particolarmente ampi” (Corte Cost., 19 dicembre 1986, n. 286; ord. 13 marzo 2001, n. 56).

 

 

3. L’IMPORTANZA CHE RIVESTE LA NATURA GIURIDICA DEL RICORSO

 

La legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, nell’introdurre la regola dell’alternatività  tra il ricorso straordinario al Re e il ricorso alla IV Sezione del Consiglio di Stato, però, lasciò un vuoto: non chiarì se il rimedio straordinario avesse natura amministrativa ovvero giurisdizionale.

 

La natura giuridica di un rimedio che l’ordinamento offre per contrastare un atto che si presume illegittimo è molto importante, in quanto incide sulla formazione del giudicato e quindi sull’effettività  della tutela.

 

Mi spiego. Se il ricorso al Capo dello Stato avesse natura amministrativa, la decisione di questi sarebbe impugnabile; pertanto, il ricorrente non potrebbe subito rivolgersi alla meno esosa giustizia europea, prima di aver esaurito tutti i rimedi interni.

 

Ovviamente, va precisato che il problema della natura giurisdizionale del rimedio si pone solo nei casi in cui si applica la regola dell’alternatività  (e non anche quando della lite debba conoscere il Giudice Ordinario).

 

Il tema della natura giuridica del rimedio straordinario è stato ampiamente dibattuto e sul punto vi sono stati differenti orientamenti.

 

Il dibattito, iniziato sin dai tempi dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, non si è mai sopito. Infatti, sin da allora ci si è chiesto se l’antico istituto del ricorso straordinario fosse ancora in vigore e quale fosse la sua natura giuridica.

 

Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in un primo momento, il Consiglio di Stato in Adunanza Generale (del 26 agosto 1950, n. 290) ritenne che il ricorso straordinario avesse la natura giuridica di ricorso amministrativo ed espresse il parere che fossero ancora vigenti le limitazioni  sui ricorsi  stabilite dall’articolo 11 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 (in Relazione del Consiglio di Stato, 1947-50, III, 45).

 

Anche in dottrina è stato spesso sostenuto che il rimedio straordinario avesse natura amministrativa. Il Sandulli ha ritenuto che la natura di tale rimedio risulta espressamente dichiarata dall’articolo 34 T.U.C.d.S. e che “l’instaurazione della monarchia costituzionale infatti trasformò in un vero e proprio rimedio giuridico quello che in origine era stato un estremo appello alla grazia sovrana” (A.M.Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, Jovene, 1989, II,1265). Lo Juso ha sostenuto che “la natura del ricorso straordinario deve essere ritenuta quella di vero e proprio ricorso amministrativo”, anche se aggiunge che “il medesimo costituisce uno strumento intermedio tra gravame amministrativo e quello giurisdizionale”. (R. Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, 1996, 68).

 

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha sostenuto, in ben due orientamenti (nel 2001 e 2002), la natura amministrativa del rimedio straordinario di tutela e la conseguente insussistenza della giurisdizione di merito del Giudice Amministrativo per costringere l’Amministrazione ad eseguire la decisione straordinaria.

 

Persino la Corte Costituzionale, con sent. n. 254/2004, ha sancito che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ha natura amministrativa. Tale conclusione si evince, ad avviso della Corte, dall’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, il quale “stabilisce che, ove il ministro competente intenda proporre (al Presidente della Repubblica) una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre l'affare alla deliberazione del Consiglio dei ministri, provvedimento quest’ultimo, per la natura dell'organo da cui promana, all'evidenza non giurisdizionale”.

 

I succitati orientamenti che hanno ritenuto il rimedio straordinario di natura giuridica amministrativa non sono mai risultati del tutto condivisibili e coerenti con i principi affermati dalla CEDU. Quest’ultima – nel caso Hornsby del 1997 - ha ritenuto che per verificare la sussistenza del potere giurisdizionale non rileva l’appartenenza o meno dell’organo decidente al potere amministrativo o giudiziario, ma il regime giuridico della decisione finale e irrevocabile e l’impossibilità  per altre autorità  di incidere sui suoi effetti, non potendosi ammettere una giustizia illusoria e resa solo sulla carta.

 

 

4. LA “MUTAZIONE GENETICA” DELLA NATURA GIURIDICA DEL RICORSO STRAORDINARIO DISPOSTA DALL’ART. 69 DELLA LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69

 

Il dibattito attorno alla natura giuridica del rimedio straordinario si è definitivamente risolto con l’entrata in vigore dell’art. 69 della legge 18 giugno 2009, nr. 69.

 

La norma ha attuato una definitiva revisione del sistema precedente, sconfessando tutte le opposte interpretazioni e stabilendo definitivamente la natura giurisdizionale del ricorso straordinario, in coerenza con i principi di effettività  della tutela richiesti dalla Corte di Giustizia delle Comunità  Europee.

 

L’art. 69 della succitata legge, per risolvere la questione della natura giuridica del ricorso in questione, ha previsto alcune modifiche alla legge 1199/71, che disciplina tale rimedio straordinario di tutela. Da tali modifiche si rileva il chiaro orientamento del legislatore di considerare giurisdizionale ogni sede nella quale una controversia può essere definita in modo immutabile, così come richiesto dalla giurisprudenza Europea e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (i cui articoli 6 e 13 impongono che i rimedi di giustizia siano effettivi e non rimangano illusori).

 

Il citato art. 69, la cui rubrica “Rimedi giustiziali contro la Pubblica Amministrazione” è già  tutto un programma, stabilisce, infatti, che:

 

- “All’articolo 13, primo comma, alinea, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «SE RITIENE CHE IL RICORSO NON POSSA ESSERE DECISO INDIPENDENTEMENTE DALLA RISOLUZIONE DI UNA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE CHE NON RISULTI MANIFESTAMENTE INFONDATA, SOSPENDE L’ESPRESSIONE DEL PARERE E, RIFERENDO I TERMINI E I MOTIVI DELLA QUESTIONE, ORDINA ALLA SEGRETERIA L’IMMEDIATA TRASMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge11 marzo 1953, n. 87, nonchà© la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati»;

 

- All’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, nr. 1199, sono apportate le seguenti modificazioni:a) al primo comma:1) al primo periodo sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «, conforme al parere del Consiglio di Stato»; 2) il secondo periodo è  soppresso; b) il secondo comma è abrogato”.

 

In conclusione, l’art. 69 ha riconosciuto in modo incontestabile la natura giurisdizionale del rimedio straordinario, ammettendo espressamente tale possibilità  “ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 ”.

 

Il legislatore, conformandosi ai dettami europei, ha affermato esplicitamente la non correttezza di tutte le precedenti interpretazioni fornite dal Giudice delle leggi, da una parte della dottrina e da una giurisprudenza non minoritaria. 

 

In estrema sintesi, l’istituto del ricorso straordinario era considerato, ante riforma, un rimedio alternativo a quello giurisdizionale; ora va considerato come un conveniente rimedio giurisdizionale alternativo ad altro rimedio molto più costoso ed avente la stessa natura.

 

 

5. LE IMPLICAZIONI CONSEGUENTI ALLA RIFORMA. UN CASO PRATICO

 

La riforma ha apportato una rivoluzione, una vera e propria “mutazione genetica” del principio dell’alternatività : riconosce al ricorrente la possibilità  di scegliere se avvalersi del giudizio innanzi ai TAR ed, in caso di appello, dinanzi al Consiglio di Stato (al costo complessivo di circa 8.000,00 euro) oppure di optare per  il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (al modico costo una raccomandata A/R, circa 8,00 euro).

 

Dopo aver esperito uno di questi rimedi interni, qualora il cittadino europeo ritenga che permanga la violazione di un diritto riconosciuto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, potrà  rivolgersi alla Giurisdizione Internazionale della CEDU.

La CEDU, però, non è una giurisdizione d’appello rispetto ai Tribunali Nazionali e non può annullare o modificare eventuali decisioni emesse dalle autorità  nazionali di giustizia. La Corte è competente ad esaminare solamente ricorsi diretti contro uno Stato che ha ratificato la Convenzione e può essere adita entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Nel caso in cui ritenga fondate le motivazioni poste a sostegno del ricorso, la CEDU adotterà  delle raccomandazioni, ovvero delle sanzioni, nei confronti dello Stato cui appartiene il ricorrente e le sanzioni cesseranno nel momento in cui verrà  ripristinata la legalità .

 

Se chi intende adire la CEDU desidera che la sua identità  non sia resa pubblica, lo deve precisare ed esporre le ragioni che giustificano una deroga alla regola normale secondo la quale la procedura è pubblica (la Corte può, in casi eccezionali e debitamente motivati, autorizzare l’anonimato).

 

Come è facile immaginare, si aprono, per tutti i cittadini, prospettive nuove ed orizzonti straordinari le cui conseguenze non si faranno attendere, soprattutto all’interno di quegli ordinamenti più chiusi nei confronti del progresso giuridico, qual è quello militare.

 

Il cittadino, compreso quello militare, il più delle volte subisce gli atti ritenuti illegittimi, non perchà© sia sprovvisto di ragioni ed argomentazioni per opporvisi, ma in quanto ritiene antieconomico farlo, e, piuttosto, decide di sacrificare un proprio diritto, pur di non accollarsi le spese per sostenerne le ragioni.

 

Ciò è tanto più vero, se solo si considera che la maggior parte dei ricorsi amministrativi promossi dai cittadini militari tendono ad ottenere l’annullamento dei soli atti ritenuti lesivi della propria carriera, ciò in quanto l’annullamento dell’atto impugnato quasi sempre è accompagnato da un assegno c.d. “compensativo”, cioè che compensa le spese di giudizio (ricostruzione della carriera con annesse differenze stipendiali, rivalutazioni monetarie, interessi legali e risarcimento danni).

 

In futuro le ragioni del diritto, probabilmente, non saranno più sacrificate a causa degli ostacoli di carattere economico, posti dall’ordinamento, quindi troveranno spazio anche iniziative (idealistiche) intraprese al solo fine di ottenere il riconoscimento di interessi legittimi e diritti soggettivi, intesi in senso immateriale ed astrattamente considerati.

 

Infatti, leggendo i diversi articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed avendo a mente le norme dell’Ordinamento Militare italiano, sono incontenibili i dubbi circa la legittimità  di alcune norme del citato ordinamento speciale.

 

Faccio due esempi.

 

1. Il risultato emergente dal combinato disposto degli artt. 47 – 48 e 49 della Carta, rubricati rispettivamente “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”; “Presunzione di innocenza e diritti della difesa” e “Principi della legalità  e della proporzionalità  dei reati e delle pene”, appare stridente con la procedura per l’irrogazione della consegna degli arresti di rigore (una forma di detenzione domiciliare); la quale, però, viene irrogata in via amministrativa, in più da un organo della diretta linea gerarchica.

 

Tale procedura è assolutamente incompatibile anche con il nostro ordinamento nazionale, ove solo un organo giudiziario e terzo può irrogare tali sanzioni.

 

2. L’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce che "ogni individuo ha diritto alla libertà  di riunione e di associazione pacifica". Inoltre l’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) stabilisce che “Ogni individuo ha diritto alla libertà  di riunione pacifica e alla libertà  di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”, fatte salve le sole limitazioni esplicitamente previste dagli artt. 52 – 53 – 54 della stessa. Questi articoli non sembrano in armonia con la circostanza secondo cui la costituzione di associazioni professionali fra cittadini militari europei residenti in Italia sia subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa.

 

       

Con quale altro criterio, se non quello di opportunità  politica, si può negare a talune organizzazioni l’autorizzazione, e concederla ad altre?

 

Le organizzazioni che ottengono l’autorizzazione possono offrire le garanzie di apoliticità  richieste dalla Costituzione?

 

 

CLETO IAFRATE

Direttivo nazionale

Associazione civica Ficiesse

c.iafrate@ficiesse.it

 


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