PER IL GOVERNO LA SPECIFICITA' DEI MILITARI IMPEDISCE LORO DI ISCRIVERSI AI PARTITI POLITICI. LO AFFERMA IL SOTTOSEGRETARIO ALLA DIFESA ON. CROSETTO (PDL) RISPONDENDO AD UNA INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DEL PD
venerdì 08 aprile 2011
Camera dei Deputati
Resoconto della IV Commissione permanente
(Difesa)
Mercoledì 6 aprile 2011. - Presidenza del presidente Edmondo CIRIELLI. - Interviene il sottosegretario di Stato per la difesa, Guido Crosetto.Resoconto della IV Commissione permanente
(Difesa)
5-04535 Rugghia: Sulle eventuali iniziative che il Ministero intenda assumere per garantire una corretta informazione in merito all'esercizio del diritto di associazione per il personale militare.
RUGGHIA, VILLECCO CALIPARI, GAROFANI, RECCHIA, LAGANà € FORTUGNO e MOGHERINI REBESANI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
come noto, in base all'articolo 98, terzo comma, della Costituzione, possono essere introdotte con legge limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero;
il Parlamento, dopo un'approfondita discussione in sede di lavori preparatori della legge n. 382 del 1978 (Norme di principio sulla disciplina militare), ritenne di non avvalersi della facoltà  di stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i militari in servizio attivo;
successivamente vennero emanate dal Governo con il decreto-legge 3 maggio 1991, n. 141, norme di segno opposto che però decaddero per la loro mancata conversione in legge;
la Corte costituzionale, nell'ambito della sentenza n. 449 del 1999, valutando il contemperamento tra beni costituzionalmente rilevanti, quali da un lato i diritti dei militari e l'interesse alla coesione interna, dall'altro la neutralità  e il buon andamento delle amministrazioni militari, nel bilanciamento tra interessi dell'amministrazione e quelli personali, ha sancito che la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli «cittadini-militari» non recede di fronte alle esigenze dell'istituzione militare;
il quadro normativo di riferimento, pur ispirandosi al noto principio dell'assoluta imparzialità  delle amministrazioni militari e della loro estraneità  alle competizioni politiche, nonostante il carattere «assorbente» del servizio reso in un comparto speciale e particolare quale quello militare, non contempla alcun categorico ed espresso divieto all'iscrizione dei militari ai partiti politici, nà © alla conseguente assunzione di doveri «altri» stabiliti dagli statuti dei partiti politici, nà © alle opportunità  di incarichi interni che i partiti garantiscono;
i diritti in questione, quindi, allo stato attuale, sono perfettamente esercitabili, fermi restando, a norma della citata legge n. 382 del 1978, il divieto di partecipare a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonchà © di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni o organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche o amministrative ai militari durante l'attività  di servizio, in luoghi militari o in uniforme, divieti, peraltro confermati dal decreto legislativo n. 66 del 2010 - nuovo codice dell'ordinamento militare;
quest'ultimo decreto legislativo è l'ulteriore e recentissima revisione normativa che il legislatore ha operato confermando la linea trentennale di tutela e di garanzia nei confronti dei diritti di iscriversi ai partiti, di assumere obblighi «altri» e di concorrere alle opportunità  interne delle medesime organizzazioni politiche;
tale quadro non appare discutibile e su questa linea correttamente si sono espressi il Ministero dell'interno, interpellato dal sindacato di polizia e successivamente il comando generale della Guardia di finanza, pur nella manifestata consapevolezza che la mera iscrizione ad un partito politico - non vietata - potrebbe comportare, per statuto dei partiti stessi, l'assunzione dell'obbligo di esercitare una costante azione politica e di proselitismo e, per ovvia conseguenza, le altre possibilità  previste;
a giudizio degli interroganti, appare del tutto incongrua, oltre chà © contraria alla legge, una nota che sarebbe stata indirizzata al consiglio intermedio di rappresentanza dell'Arma dei carabinieri dal comandante interregionale carabinieri «Vittorio Veneto», concernente «la limitazione al diritto di iscrizione ai partiti politici applicabile ai militari di carriera in servizio attivo»;
in tale nota si affermerebbe che «l'iscrizione ai partiti politici, ancorchà © in sà © - non vietata, è da intendersi assorbita dal divieto di esercizio di attività  politica» e che «la sola presenza di un certo numero di militari tesserati di un partito potrebbe consentire di argomentare in ordine all'espressione di preferenza politica nella compagine militare»;
a giudizio degli interroganti, le affermazioni contenute nella nota sopracitata oltre al tentativo di interpretare in senso oltremodo restrittivo le norme con note e/o circolari interne, fatto che andrebbe verificato in ciascuna delle organizzazioni militari esistenti, sono imprecise e tendono a sostenere surrettiziamente la tesi del divieto di iscrizione al fine di generare tra il personale militare un giudizio negativo nei confronti di chi invece intendesse avvalersi di questo diritto costituzionalmente protetto -:
quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire al personale militare il diritto ad essere informato correttamente su questioni così delicate, verificando la corrispondenza tra le circolari e le decisioni interne delle forze di polizia a ordinamento militare e delle Forze armate, e le previsioni normative in vigore, al fine di tutelare i diritti del cittadino militare di fronte alle possibili interpretazioni fuorvianti delle facoltà  che la legge stabilisce.
(5-04535)
Il sottosegretario Guido CROSETTO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato.
RUGGHIA, VILLECCO CALIPARI, GAROFANI, RECCHIA, LAGANà € FORTUGNO e MOGHERINI REBESANI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
come noto, in base all'articolo 98, terzo comma, della Costituzione, possono essere introdotte con legge limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero;
il Parlamento, dopo un'approfondita discussione in sede di lavori preparatori della legge n. 382 del 1978 (Norme di principio sulla disciplina militare), ritenne di non avvalersi della facoltà  di stabilire limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i militari in servizio attivo;
successivamente vennero emanate dal Governo con il decreto-legge 3 maggio 1991, n. 141, norme di segno opposto che però decaddero per la loro mancata conversione in legge;
la Corte costituzionale, nell'ambito della sentenza n. 449 del 1999, valutando il contemperamento tra beni costituzionalmente rilevanti, quali da un lato i diritti dei militari e l'interesse alla coesione interna, dall'altro la neutralità  e il buon andamento delle amministrazioni militari, nel bilanciamento tra interessi dell'amministrazione e quelli personali, ha sancito che la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli «cittadini-militari» non recede di fronte alle esigenze dell'istituzione militare;
il quadro normativo di riferimento, pur ispirandosi al noto principio dell'assoluta imparzialità  delle amministrazioni militari e della loro estraneità  alle competizioni politiche, nonostante il carattere «assorbente» del servizio reso in un comparto speciale e particolare quale quello militare, non contempla alcun categorico ed espresso divieto all'iscrizione dei militari ai partiti politici, nà © alla conseguente assunzione di doveri «altri» stabiliti dagli statuti dei partiti politici, nà © alle opportunità  di incarichi interni che i partiti garantiscono;
i diritti in questione, quindi, allo stato attuale, sono perfettamente esercitabili, fermi restando, a norma della citata legge n. 382 del 1978, il divieto di partecipare a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonchà © di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni o organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche o amministrative ai militari durante l'attività  di servizio, in luoghi militari o in uniforme, divieti, peraltro confermati dal decreto legislativo n. 66 del 2010 - nuovo codice dell'ordinamento militare;
quest'ultimo decreto legislativo è l'ulteriore e recentissima revisione normativa che il legislatore ha operato confermando la linea trentennale di tutela e di garanzia nei confronti dei diritti di iscriversi ai partiti, di assumere obblighi «altri» e di concorrere alle opportunità  interne delle medesime organizzazioni politiche;
tale quadro non appare discutibile e su questa linea correttamente si sono espressi il Ministero dell'interno, interpellato dal sindacato di polizia e successivamente il comando generale della Guardia di finanza, pur nella manifestata consapevolezza che la mera iscrizione ad un partito politico - non vietata - potrebbe comportare, per statuto dei partiti stessi, l'assunzione dell'obbligo di esercitare una costante azione politica e di proselitismo e, per ovvia conseguenza, le altre possibilità  previste;
a giudizio degli interroganti, appare del tutto incongrua, oltre chà © contraria alla legge, una nota che sarebbe stata indirizzata al consiglio intermedio di rappresentanza dell'Arma dei carabinieri dal comandante interregionale carabinieri «Vittorio Veneto», concernente «la limitazione al diritto di iscrizione ai partiti politici applicabile ai militari di carriera in servizio attivo»;
in tale nota si affermerebbe che «l'iscrizione ai partiti politici, ancorchà © in sà © - non vietata, è da intendersi assorbita dal divieto di esercizio di attività  politica» e che «la sola presenza di un certo numero di militari tesserati di un partito potrebbe consentire di argomentare in ordine all'espressione di preferenza politica nella compagine militare»;
a giudizio degli interroganti, le affermazioni contenute nella nota sopracitata oltre al tentativo di interpretare in senso oltremodo restrittivo le norme con note e/o circolari interne, fatto che andrebbe verificato in ciascuna delle organizzazioni militari esistenti, sono imprecise e tendono a sostenere surrettiziamente la tesi del divieto di iscrizione al fine di generare tra il personale militare un giudizio negativo nei confronti di chi invece intendesse avvalersi di questo diritto costituzionalmente protetto -:
quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire al personale militare il diritto ad essere informato correttamente su questioni così delicate, verificando la corrispondenza tra le circolari e le decisioni interne delle forze di polizia a ordinamento militare e delle Forze armate, e le previsioni normative in vigore, al fine di tutelare i diritti del cittadino militare di fronte alle possibili interpretazioni fuorvianti delle facoltà  che la legge stabilisce.
(5-04535)
Il sottosegretario Guido CROSETTO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato.
TESTO DELLA RISPOSTA
Desidero, in premessa, elencare i riferimenti del quadro normativo in materia, da cui emerge che:
l'articolo 98 della Costituzione dà  facoltà  al legislatore di stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici, tra gli altri, per militari di carriera in servizio attivo e per i funzionari e agenti di polizia;
la legge n. 121 del 1981 ha dato corpo a tale opzione applicando alle Forze di Polizia (articolo 16) il divieto in parola per un anno dalla sua entrata in vigore, con successive proroghe sino al 1990;
l'Arma dei Carabinieri, pur ricompresa nel novero delle Forze di Polizia ai sensi dell'articolo 16 citato, ha collocazione autonoma nell'ambito del Dicastero, con rango di Forza armata e, pertanto, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 449 del 1999, gode di un regime giuridico del tutto peculiare, che la distingue nettamente dalla Polizia di Stato, con riferimento alla quale non si può quindi invocare la comparazione, per ontologica diversità  delle situazioni messe a confronto.
Ciò posto, la norma di legge applicativa della facoltà  prevista dall'articolo 98 della Costituzione va ricercata nelle norme di principio sulla disciplina militare (articolo 6 della legge n. 382 del 1978, riassettato dall'articolo 1483 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), le quali nel regolare l'esercizio dei diritti politici da parte dei militari, pur non declinando espressamente il divieto in tema, tuttavia:
premettono il principio generale secondo cui le Forze armate debbono, in ogni circostanza, mantenersi al di fuori delle competizioni politiche;
vietano la partecipazione a riunioni/manifestazioni di partito, nonchà © l'attività  di propaganda in favore anche di singoli candidati alle elezioni, politiche ed amministrative, nelle condizioni di cui all'articolo 5 della legge 382 del 1978 (ora riassettato dall'articolo 1350 del decreto legislativo 66 del 2010), ossia con modalità  tali da non consentire che la qualità  di militare sia percepita all'esterno.
Premesso tale breve quadro di riferimento normativo, giova ora osservare come l'iscrizione ai partiti politici si caratterizzi per l'instaurazione di un rapporto con il partito che:
esclude la possibilità  di mantenere riservata la qualità  di militare dell'aderente al partito e, dunque, di rispettare le condizioni richieste del richiamato articolo 1350 del decreto legislativo 66 del 2010;
risulta stabile;
comporta un impegno alla cura degli interessi del sodalizio, in caso di assunzioni di cariche, che si traduce nell'esercizio di attività  politica in concreto;
implica la soggezione alle norme statutarie del partito.
In ragione di tali considerazioni è possibile sostenere che l'adesione ad un partito:
potrebbe determinare la lesione del principio di terzietà  delle Forze armate, sancito dal combinato disposto del citato articolo 1483 del decreto legislativo n. 66 del 2010 e dell'articolo 713 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, che ha riassettato l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986, che potrebbe risultare - in forza della disciplina di partito - condizionante la condotta della persona fisica militare, nonchà © del richiamato articolo 1350, comma 3 del Codice dell'Ordinamento militare;
va considerato comportamento suscettibile di assumere rilievo anche sotto il profilo disciplinare, ai sensi dell'articolo 751, lettera a), n. 9) del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010.
Fatti questi doverosi chiarimenti, e per affrontare nel merito i quesiti posti con l'atto in argomento, desidero sottolineare che i contenuti della lettera del Comandante Interregionale «Vittorio Veneto», non contengono «interpretazioni fuorvianti delle concessioni che la legge stabilisce», ma sono invece da considerarsi, per quanto sopra argomentato, pienamente legittimi, in quanto aderenti alla vigente normativa in materia ed ai principi espressi dalla giurisprudenza.
Antonio RUGGHIA (PD) replicando, si dichiara insoddisfatto della risposta, che fornisce un'interpretazione assolutamente non condivisibile dei riferimenti normativi. Occorre invece ribadire il principio secondo cui limitazioni all'esercizio dei diritti politici fondamentali del personale delle Forze armate sono sicuramente giustificabili solo quando vi siano superiori interessi e nelle forme strettamente necessarie. In questo ambito, si può comprendere il divieto di svolgere attività  in seno a partiti politici solo nella parte in cui ciò risulta inconciliabile con le attività  di servizio. Non è invece consentito interpretare in modo estensivo alcun divieto che non sia espresso testualmente nelle disposizioni di legge, proprio per la natura dei diritti individuali che risulterebbero indebitamente compressi.
l'articolo 98 della Costituzione dà  facoltà  al legislatore di stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici, tra gli altri, per militari di carriera in servizio attivo e per i funzionari e agenti di polizia;
la legge n. 121 del 1981 ha dato corpo a tale opzione applicando alle Forze di Polizia (articolo 16) il divieto in parola per un anno dalla sua entrata in vigore, con successive proroghe sino al 1990;
l'Arma dei Carabinieri, pur ricompresa nel novero delle Forze di Polizia ai sensi dell'articolo 16 citato, ha collocazione autonoma nell'ambito del Dicastero, con rango di Forza armata e, pertanto, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 449 del 1999, gode di un regime giuridico del tutto peculiare, che la distingue nettamente dalla Polizia di Stato, con riferimento alla quale non si può quindi invocare la comparazione, per ontologica diversità  delle situazioni messe a confronto.
Ciò posto, la norma di legge applicativa della facoltà  prevista dall'articolo 98 della Costituzione va ricercata nelle norme di principio sulla disciplina militare (articolo 6 della legge n. 382 del 1978, riassettato dall'articolo 1483 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), le quali nel regolare l'esercizio dei diritti politici da parte dei militari, pur non declinando espressamente il divieto in tema, tuttavia:
premettono il principio generale secondo cui le Forze armate debbono, in ogni circostanza, mantenersi al di fuori delle competizioni politiche;
vietano la partecipazione a riunioni/manifestazioni di partito, nonchà © l'attività  di propaganda in favore anche di singoli candidati alle elezioni, politiche ed amministrative, nelle condizioni di cui all'articolo 5 della legge 382 del 1978 (ora riassettato dall'articolo 1350 del decreto legislativo 66 del 2010), ossia con modalità  tali da non consentire che la qualità  di militare sia percepita all'esterno.
Premesso tale breve quadro di riferimento normativo, giova ora osservare come l'iscrizione ai partiti politici si caratterizzi per l'instaurazione di un rapporto con il partito che:
esclude la possibilità  di mantenere riservata la qualità  di militare dell'aderente al partito e, dunque, di rispettare le condizioni richieste del richiamato articolo 1350 del decreto legislativo 66 del 2010;
risulta stabile;
comporta un impegno alla cura degli interessi del sodalizio, in caso di assunzioni di cariche, che si traduce nell'esercizio di attività  politica in concreto;
implica la soggezione alle norme statutarie del partito.
In ragione di tali considerazioni è possibile sostenere che l'adesione ad un partito:
potrebbe determinare la lesione del principio di terzietà  delle Forze armate, sancito dal combinato disposto del citato articolo 1483 del decreto legislativo n. 66 del 2010 e dell'articolo 713 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, che ha riassettato l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986, che potrebbe risultare - in forza della disciplina di partito - condizionante la condotta della persona fisica militare, nonchà © del richiamato articolo 1350, comma 3 del Codice dell'Ordinamento militare;
va considerato comportamento suscettibile di assumere rilievo anche sotto il profilo disciplinare, ai sensi dell'articolo 751, lettera a), n. 9) del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010.
Fatti questi doverosi chiarimenti, e per affrontare nel merito i quesiti posti con l'atto in argomento, desidero sottolineare che i contenuti della lettera del Comandante Interregionale «Vittorio Veneto», non contengono «interpretazioni fuorvianti delle concessioni che la legge stabilisce», ma sono invece da considerarsi, per quanto sopra argomentato, pienamente legittimi, in quanto aderenti alla vigente normativa in materia ed ai principi espressi dalla giurisprudenza.
Antonio RUGGHIA (PD) replicando, si dichiara insoddisfatto della risposta, che fornisce un'interpretazione assolutamente non condivisibile dei riferimenti normativi. Occorre invece ribadire il principio secondo cui limitazioni all'esercizio dei diritti politici fondamentali del personale delle Forze armate sono sicuramente giustificabili solo quando vi siano superiori interessi e nelle forme strettamente necessarie. In questo ambito, si può comprendere il divieto di svolgere attività  in seno a partiti politici solo nella parte in cui ciò risulta inconciliabile con le attività  di servizio. Non è invece consentito interpretare in modo estensivo alcun divieto che non sia espresso testualmente nelle disposizioni di legge, proprio per la natura dei diritti individuali che risulterebbero indebitamente compressi.