CARABINIERI E FINANZIERI AL BIVIO: SE LA SPECIFICITA' LI INTRAPPOLA IN UN ORDINAMENTO MILITARE PENSATO PER I SOLI COMPITI DI DIFESA, VANNO SUBITO SMILITARIZZATI O REGOLATI DA REGIMI SPECIALI COME IN SPAGNA E FRANCIA - di Gianluca Taccalozzi

domenica 01 maggio 2011

Riportare l’ordinamento militare agli anni settanta, è questo il vero obiettivo dei vertici militari e dell’attuale maggioranza nascosto dietro la norma “spot della “specificità ”.
 

Già , la famigerata “specificità ” un’espressione che racchiude in sà© tutta una visione tradizionale e conservatrice dello strumento militare, fondata sulla certezza dell’esecuzione degli ordini, sull’assoluta e cieca obbedienza dei militari e sull’esclusione delle Forze Armate da ogni di tipo di controllo democratico da parte del cittadino, che si basa su tre fondamentali e necessari presupposti:

 

1.   i compiti di difesa o sicurezza esterna, da cui nasce la necessità  di “coesione interna e massima operatività ” delle amministrazioni militari;

 

2.   la compressione dei diritti fondamentali dei lavoratori militari, necessaria per garantire la certezza dell’esecuzione degli ordini, la reattività  e l’impermeabilità  delle amministrazioni militari;

 

3.   i vantaggi economici e previdenziali riconosciuti al personale militare a compensazione delle limitazioni in termini di diritti fondamentali (libertà  di espressione, di riunione, di associazione e finanche di ricorso alla giustizia amministrativa) necessarie per garantire le caratteristiche di “coesione interna e massima operatività ” e la certezza dell’esecuzione degli ordini.

 

Un tipo di ordinamento militare attuato nella maggior parte delle Forze Armate degli altri Paesi occidentali e che, eccezion fatta per il punto 3, era già  in essere nell’ordinamento italiano prima del 1981, e non solo nel settore difesa, ma anche in quello della sicurezza posto che tutte anche le forze polizie erano assoggettate ad un ordinamento di questo tipo.

 

Proprio tale situazione fu al centro di un vivace dibattito politico e sociale che portò alla riforma dell’ordinamento militare con la legge 382/1978 ed alla smilitarizzazione della Polizia di Stato con la legge 121/1981, sotto la spinta dei movimenti e di gran parte del mondo intellettuale che sottolineavano l’inadeguatezza e la pericolosità  di un tale rigido ordinamento militare per le amministrazioni deputate alla sicurezza interna (presupposto fondamentale indicato nel precedente punto 1) e per il personale militare che, a sua volta, rivendicava maggiori vantaggi economici (presupposto fondamentale indicato nel precedente punto 3).

 

Il processo di democratizzazione del settore militare è poi continuato negli anni ’80 e ’90, (anche e soprattutto a seguito di numerose sentenze della giustizia amministrativa) con la smilitarizzazione della Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato e con l’estensione di molti di quei diritti ottenuti dai poliziotti civili attraverso la contrattazione (orario di servizio, congedi straordinari, ecc.) anche ai poliziotti militari e, quindi, anche alle Forze Armate vere e proprie. Un processo costante ed inesorabile che sembrava potesse preludere alla completa separazione dei comparti sicurezza e difesa, attraverso la smilitarizzazione di Guardia di Finanza ed Arma dei Carabinieri.  Un finale scongiurato solo dalle resistenze dei vertici militari (es. vicenda riguardante il referendum sulla smilitarizzazione della GdiF) e, soprattutto, da due importanti pronunce della Corte Costituzionale:

à˜       la nr. 277 del 1991, che ha imposto l’omogeneizzazione delle carriere e dei trattamenti economici tra poliziotti civili e militari (poi effettivamente realizzata nel 1995), placando il malcontento dei militari rispetto ai colleghi civili e la conseguente richiesta di sindacalizzazione;

 

à˜       e la nr. 449 del 1999 che, di fatto, ha negato i diritti sindacali ai militari, ed in particolare a carabinieri e finanzieri, proprio in dipendenza di quella “coesione interna e massima operatività ” necessaria per adempiere ai compiti di difesa.

 

Risultato, un ordinamento militare frammentato e polverizzato in mille fonti, tanto indefinito quanto generalista da risultare troppo democratico e “civilizzato” per i compiti di difesa (alla luce della professionalizzazione delle Forze Armate e delle sempre più frequenti missioni internazionali in teatri di guerra) ed ancora troppo chiuso e “militarizzato” per i compiti di sicurezza interna affidati a Carabinieri e, soprattutto, alla Guardia di Finanza.

 

Tuttavia, un’applicazione che potremo definire “elastica” dello stesso ordinamento, molto rigida nelle Forze Armate, rigida nell’Arma dei Carabinieri e molto più sbiadita nella Guardia di Finanza, ha permesso, sin ad oggi, di mantenere in un unico e disomogeneo comparto poliziotti e soldati, non senza rilevanti difficoltà  testimoniate dall’enorme contenzioso in essere presso la giustizia amministrativa tra personale e le amministrazioni militari.

 

Oggi, il generale disinteresse del mondo accademico ed intellettuale, l’approdo a forza di governo del settore militare da parte di alcune forze politiche di convinta e storica matrice conservatrice, una generale tendenza alla limitazione dei diritti di tutti lavoratori, la professionalizzazione delle Forze Armate ed il loro sempre più frequente impiego in missioni internazionali, hanno comportato la repentina inversione di questo processo di democratizzazione dello strumento militare.

 

Dietro lo “specchietto per le allodole” della “specificità ” e delle sottese promesse di vantaggi economici e previdenziali (in realtà  mai attuati e tutt’altro che probabili, vista la disastrata situazione dei conti pubblici), si sta riportando il settore militare alla situazione degli anni ’70 con i lavoratori militari ridotti alla condizione di fedeli e ciechi esecutori di ordini e le amministrazioni militari avulse dai principi democratici previsti dalla Costituzione.

 

Ora la domanda è: questo tipo di strategia può effettivamente portare beneficio alla difesa ed alla sicurezza del Paese?

 

Per quanto attiene al settore difesa e quindi alle tre Forze Armate (EI, AM e MM) cui è demandato esclusivamente tale compito, l’assoggettamento ad un ordinamento militare tradizionale potrebbe effettivamente portare giovamento, in termini di reattività  ed efficacia, a patto che venga effettivamente realizzato il presupposto indicato nel precedente punto 3, ovvero che vengano effettivamente riconosciuti al personale militare vantaggi economici e previdenziali adeguati a compensare le pesanti limitazioni imposte in termini di diritti (non certo paragonabili ai “quattro euro” sino ad ora previsti per finanziarie la “specificità ”).

 

Per quanto attiene al settore sicurezza ed alle amministrazioni militari (Carabinieri e Guardia di Finanza) cui è demandato in via principale tale compito, l’assoggettamento ad un ordinamento militare rigido, avrebbe un IMPATTO DEVASTANTE, con ricadute negative sulla funzionalità  e sull’efficienza delle stesse amministrazioni, in termini di:

 

à˜       trasparenza: posto che l’ordinamento militare tradizionale imporrebbe un’estrema impermeabilità  verso democratici strumenti di controllo da parte del cittadino, non giustificata dai compiti di sicurezza interna ad sessa demandati;

 

à˜       inadeguatezza del personale: visto che il profilo professionale ideale per i compiti di sicurezza interna, non è il reattivo e fedele “soldato-marine” ma il moderno poliziotto, soprattutto nel settore economico-finanziario, laddove oltre ai compiti di polizia giudiziaria pura si rende necessario saper leggere carte e documenti contabili e, nel contempo, avere la capacità  del “verifi­catore fiscale” capace di cogliere nella contabilità : l’evasione, l’elusione, le truffe, il riciclaggio e tutti i crimini economico-finanziari;

 

à˜       aumento dei rischi di corruzione, deviazioni ed abusi: posto che amministrazioni che detengono il monopolio della forza e di informazioni particolarmente sensibili, sarebbero di fatto sotto il controllo di pochissime figure dirigenziali di nomina politica e, di fatto, prive di qualsiasi controllo o adeguati presidio democratici, sia interni (rappresentanze) che esterni (leva obbligatoria).

 

Pertanto, la reintroduzione di un unico modello militare di tipo tradizionale, pensato esclusivamente per le Forze Armate e per i compiti di difesa, per tutte le amministrazioni del comparto sicurezza e difesa, metterebbe a serio rischio la capacità  operativa, la funzionalità  e la trasparenza delle forze di polizia militari ed, in particolar modo, della Guardia di Finanza.

 

In quest’ottica, ci pare assolutamente necessario che qualora vertici e maggioranza intendessero portare a compimento questo progetto di riforma dello strumento militare, si esca dalla propaganda della “specificità ” e si affronti seriamente il problema delle forze di polizia ad ordinamento militare.

 

Al contrario, la sensazione che si ricava leggendo i resoconti parlamentari e, più in generale, gli interventi della politica e del mondo intellettuale sull’argomento, è che questa problematica non venga adeguatamente considerata. Sembra quasi che, quando si parla di militari, ci si riferisca solo e soltanto le Forze Armate e le missioni internazionali, senza considerare che militari sono anche carabinieri e finanzieri che così rischiano di essere indirettamente e inopportunamente coinvolti in provvedimenti concepiti esclusivamente per compiti di difesa.

 

Se queste sono le premesse, oggi è quanto mai necessario dividere il comparto sicurezza da quello difesa o, quanto meno, creare per l’Arma dei Carabinieri e, soprattutto, per la Guardia di Finanza un ordinamento (militare o meno) “ad hoc”, compreso tra quello tradizionalmente militare e quello civile-speciale delle Forze di polizia civili, come peraltro già  è stato fatto in Spagna per la Guardia Civil ed in Francia per la Gendarmerie. 

Senza questa distinzione, c’è il serio rischio che la Guardia di Finanza, intrappolata in un ordinamento militare rigido ed inadeguato alla propria attività  istituzionale, si consumi in un’inevitabile conflittualità  interna, perda progressivamente di efficienza operativa ed intraprenda un lento cammino verso uno scioglimento senza gloria.

 

GIANLUCA TACCALOZZI

Presidente Direttivo Nazionale Ficiesse

gianlucataccalozzi@alice.it


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