DA ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE AL REALE CAMBIAMENTO: ALLA GDF SERVONO PARTECIPAZIONE, POLITICA DELLE PORTE APERTE E PATTO GENERAZIONALE TRA FINANZIERI PER IL MIGLIORAMENTO CONTINUO DEI SERVIZI AI CITTADINI E AL PAESE – di Gaetano Insinna

giovedì 26 maggio 2011

Pubblichiamo di seguito il bell’intervento inserito da Gaetano Insinna, Maresciallo Aiutante delegato del Cobar della Guardia di Finanza della Lombardia, nel forum “Discussioni generali”, topic “Gdf retrograda e assurda nel 2011 !!!”.

Il titolo è della redazione del sito.

GF

 

Condividendo il pensiero del Dr. Giuseppe Fortuna, alias Franco Simoni, nonchà© il primo rigo dello scritto di Harkhorus “Noi possiamo sicuramente migliorare la nostra Amministrazione.”, vorrei soffermarmi e riflettere sullo stato d’animo con il quale molti nostri Colleghi affrontano il quotidiano operare, sui dubbi e le incertezze che spesso condizionano le nostre scelte, sulle carenze organiche e strutturali che ci demotivano amplificati, infine, dai continui attacchi al Corpo dal politico di turno e dai mass media.

In una mia lettera aperta ai componenti della Seconda Sezione Operativa del 1° marzo 2003, nell’assumere l’incarico di comandante della 1ª Squadra Operativa Volante, colsi l’occasione per ringraziare la Superiore Gerarchia per la fiducia accordatami cercando di definire i profili ed i gravami scaturenti dal nuovo incarico.

C
ome molti di Voi non è mia consuetudine “mancare” gli obiettivi prefissati o, peggio, abbandonare l’incarico per le sopravvenute difficoltà . Posso accettare un pareggio dignitoso ma non riesco a tollerare la “fuga” di fronte alle traversie.

L’aspirazione a migliorare il Nostro “status” e la ferma volontà  di produrre sempre meglio e di più nell’interesse dell’Amministrazione e dello Stato, costituiscono e devono costituire le motivazioni principali, il credo e le radici profonde della Nostra appartenenza.

Vestire con dignità  e decoro l’uniforme del Corpo, rispettando i Superiori ed i Colleghi, nei limiti delle proprie attribuzioni, porta a relazionarsi con lealtà  ed onestà  d’intenti.

Comprendo quanto sia difficile costruire quella famosa via che partendo dal basso verso l’alto porta al continuo scambio di idee, soprattutto per quelli che dovranno percorrerla e non sempre sanno esternare o controllare le proprie reazioni.

Se Noi, un po’ per paura, un po’ per negligenza, un po’ per scetticismo, non riusciremo ad esprimere le Nostre idee in risposta a quelle comunicate dai Superiori, non riusciremo a stabilire una reciproca intesa per evitare incomprensioni o risentimenti.

Come allora, sono convinto, poichà© la nostra Amministrazione è fatta di uomini, che soltanto attraverso la loro comprensione e fusione è possibile perseguire gli scopi prefissati. La collaborazione scaturisce dalla partecipazione attiva degli uomini uniti in uno sforzo comune. L’uomo non ha soltanto doveri da adempiere ma anche diritti che deve conoscere e far rispettare per la sua dignità  di uomo.

Con l’ultima riforma si sono fatti programmi, si sono studiati nuovi piani di lavoro mettendo a fuoco soprattutto, credo, il miglioramento dei tempi e dei metodi, puntando sulla informatizzazione per snellire la burocrazia.

Mi auguro che non si sia pensato alla macchina ed alla messa a punto del motore, trascurando che qualunque mezzo deve essere guidato da un pilota.

Si riformano le macchine e si trascurano gli uomini, dimenticando che l’uomo il più importante artefice di qualunque “rivoluzione” economica o industriale, politica o sociale.

Guardando in faccia la realtà  posso sinceramente affermare che molti Colleghi hanno rinunciato da tempo a comunicare le proprie istanze ai livelli superiori poichà© essi non rispondono.

In altri miei interventi al Cobar Lombardia ho parlato della virtualità  che sovrasta la nostra epoca e della Nostra Amministrazione che si sta sgretolando a causa dei tanti piccoli burocrati che come tarli la logorano dall’interno.

Dietro l’inflazionato sbandieramento del “non ci sono soldi”, termine ormai logoro che viene utilizzato in tutti gli uffici della Nostra Amministrazione si manifesta prepotentemente un altro slogan: “bisogna stringere la cinghia”. Quale cinghia ci è rimasta?

In quasi tutte le caserme di Milano la forza effettiva è costantemente inferiore a quella organica, gli straordinari vengono regolarmente falcidiati, un panino ed una bibita sono venduti a peso d’oro ma gli obiettivi, in compenso, continuano ad aumentare come se gli automezzi, le risorse informatiche, le fotocopiatrici, le cartucce per stampanti e le infrastrutture avessero subito un incremento tale da metterci in condizione di competere con le moderne aziende ed i più evoluti uffici commerciali, finanziari e professionali che sono in grado di comunicare con il mondo intero. Dai Nostri uffici operativi non si riesce più nemmeno a fare una telefonata urbana in tempi ragionevoli!

Con quali soldi e con quali strumenti pensate che vengano stampati e redatti i verbali? Perchà© si continua a far finta di non sapere nulla? Perchà© leggendo “Il Finanziere” ci si sente come Alice nel Paese delle meraviglie?

Perchà© si continuano ad introdurre misure per il contenimento delle spese concernenti il vitto e le ore di lavoro straordinario? Perchà© esiste quel senso di disarmonia strisciante che non ci fa sentire orgogliosi di appartenere al glorioso Corpo della Guardia di Finanza?

E’ oggettivamente difficile, se non impossibile, contemperare le esigenze operative alla scarsità  delle risorse. Nonostante si lotti instancabilmente per accrescere il prestigio e l’onorabilità  del Corpo oggi, però, è la confusione degli obiettivi che caratterizza il quotidiano operare e ciò accade nell’indifferenza generale e nelle patetiche risposte: :“non ne abbiamo……le abbiamo richieste….. non le mandano…… non ci sono i fondi… eccetera”.

Bisogna, a tutti i livelli, essere giusti, equanimi ed imparziali. In tempi come questi è necessario che le risorse vengano distribuite con equilibrio, in modo che non ci siano mai uffici troppo avvantaggiati ed altri che manchino dell’essenziale.

Si deve prendere atto che la Nostra Amministrazione non funziona così. Nella stragrande maggioranza dei casi le risorse (sia personali che strumentali) vengono distribuite ignorando qualsiasi criterio di equità , meritocrazia e giustizia. Troppo spesso le ricompense morali sono elargite a militari impegnati in servizi non operativi e con motivazioni discutibili. Troppo spesso i trasferimenti aggirano le circolari che lo stesso Comando Generale ha emanato. Troppo spesso ci si sente lontani dall’Organo Centrale.

Se si vuole che i propri “manovali” lavorino al meglio gli si devono fornire i picconi ed i badili migliori. Nella Nostra Amministrazione invece viene sovvertita qualsiasi logica. Infatti, a quelli che devono scavare vengono dati i picconi con le punte smussate ed i badili senza manico. Oggi la Nostra Amministrazione, come una macchina, non crea. Tira avanti.

Fonti autorevoli dicono che nell’amministrazione pubblica non esiste ancora l’ambiente adatto per dare al cittadino ciò che egli si aspetta, sia di diritto che per necessità : mancano le relazioni umane, manca l’armonia tra gli amministratori, manca la fiducia nelle proprie forze, manca l’incentivo a produrre meglio e di più, non si tiene conto, aggiungo io, delle esperienze maturate da ciascuno di Noi.

Riformare, a mio modo di vedere, significa non soltanto migliorare le condizioni economiche ma formare ciascuno al fine di soddisfare il bisogno di appartenere ad un organismo utile e rispettato, dove venga apprezzato il servizio reso ai cittadini nell’interesse primario dello Stato.

Ben vengano gli uomini nuovi ed i mezzi moderni in grado di dare alla Nostra Amministrazione la propulsione necessaria per rispondere alle diversificate istanze di tutela espresse della società .

La sincerità  comporta il coraggio ed il coraggio, come sappiamo, rende possibile il progresso. Nà© può esservi progresso se non ci abituiamo alla sincerità , considerandola come premessa indispensabile per un vero colloquio democratico tra chi amministra e chi è amministrato, tra chi comanda e chi è comandato.

T
acere è controproducente come lo è, forse in maniera ancor più grave, battere la grancassa su ciò che facciamo.

Chi tace lo fa sempre per una ragione: forse per riservatezza; forse per un complesso di inferiorità ; forse perchà© non sa comunicare o crede di non saperlo fare; o forse perchà© gli hanno insegnato che la mano destra non deve sapere ciò che fa la sinistra; o perchà©, talvolta, dovrebbe mentire per non dire una verità  scottante. Spesso, infine, tace perchà© bluffa: vuole cioè, per sua comodità  e vantaggio, far credere agli altri ciò che non è o vuole occuparsi del proprio orticello per raggiungere il tanto agognato “posto al sole”.

Informarsi ed informare, sapere e far sapere significa far conoscere ciò che facciamo, soprattutto per ottenere dagli altri quelle reazioni che ci sono indispensabili se vogliamo valutare il Nostro operato ed adattarlo alle altrui esigenze, senza imporlo per ottenere il consenso a tutti i costi.

Dicono alcuni che la propaganda “può essere la verità ”, la pubblicità  “dovrebbe rappresentare la verità ” ma ciò che affermiamo con sincerità , senza propaganda o pubblicità , “deve necessariamente essere la verità ”.

La sfida che Vi propongo è quella di pensare alla Nostra Amministrazione con ad una famiglia. Si lo so! Qualcuno di Voi sta già  ridendo. Qualcun altro sta pensando che io sia un sognatore o chissà  chi. Sapete qual è la verità ? Io credo in quello che dico e faccio ciò che dico.

Si dice spesso che in Italia i dipendenti sono scontenti del trattamento economico perchà© il costo della vita è in continuo aumento e le paghe sono sproporzionate al valore degli acquisti. Non potendo aumentare le paghe, dicono molti capi, noi non possiamo eliminare il malcontento dei nostri dipendenti ricorrendo soltanto a buone relazioni umane.

Beh! Io non sono d’accordo. Quanti di Noi sono stati messi in condizione di capire l’importanza del proprio lavoro e l’utilità  della propria prestazione?

Quanti di Noi sono oggi messi in condizione di conoscere la parte che hanno nell’Amministrazione ed hanno consapevolezza dei compiti, dei poteri e dei limiti attribuibili al grado ricoperto?

Quanti di Noi hanno seriamente pensato di conferire con i propri comandanti per dare suggerimenti o avvertimenti utili, attuando una sincera e concreta “critica costruttiva”?

Si! Lo so che la tendenza dei “capi” è quella di impartire ordini con la certezza che essi verranno, comunque, eseguiti dai dipendenti. Ma se vi fosse un “capo” disposto all’ascolto per controllare se le sue disposizioni o i suoi ordini sono stati capiti e non frantesi, bene accolti e non tollerati, Voi cosa fareste?

Se vi fosse un “capo” intenzionato ad adottare la politica della “porta aperta” per ricevere coloro che hanno bisogno di un consiglio o di un conforto, anche attraverso la classica pacca sulla schiena, non si lavorerebbe con più entusiasmo?

So quanto è umiliante sostare fuori dalle porte dei “capi”, bussare delicatamente con la mano ed attendere che lui si decida a dire “avanti”! Spesso quella parola non viene mai pronunciata perchà© il “capo” è impegnato in altre faccende ed il dipendente è costretto a ritornare nel suo ufficio ritentando più volte durante la giornata.

Non bisogna aver paura dei cambiamenti perchà© essi fanno parte dell’evoluzione. Occorre una revisione organizzativa, un esame della Nostra “politica” e della possibilità  di migliorare in Nostro servizio: “massimo risultato con il minimo sforzo”.

La sola conoscenza tra colleghi porta spesso alla creazione di circoli non comunicanti tra loro, per cui si assiste all’organizzarsi di tanti gruppi in basso e di tanti gruppi in alto della scala gerarchica, a seconda del numero delle persone unite da particolari interessi comuni.

Da ciò deriva la necessità  di evitare i compartimenti stagni e di mettere invece in comunicazione tra di loro i vari gruppi, perchà© soltanto attraverso lo scambio continuo di informazioni, di idee, di conoscenze, sarà  possibile creare quel clima di affiatamento che permetterà  di migliorare la convivenza.

I problemi del Comandante, infatti, sono e debbono essere anche i problemi del dipendente, così come i problemi di questo ultimo debbono necessariamente essere conosciuti e risolti da chi è sopra di lui.

L’uomo deve conoscere per capire, deve intendere per sapere, deve sapere per scegliere, per dare o negare la propria adesione, la propria partecipazione attiva al progresso.

Si devono combattere le battaglie giuste, vere, indispensabili e necessarie per ridare al Corpo nuovo impulso e nuova credibilità . Si devono riparare le falle prima dell’abisso adottando tutti, a cominciare da quelli che hanno incarichi di comando, una mentalità  positiva ed imparziale che faccia apprezzare le qualità , i meriti e le capacità  di coloro che ci circondano. In tutti gli ambienti, al di là  delle rivalità , la gente sa chi è più bravo e chi è meno bravo, chi si spende e chi è sfaticato, di chi ci si può fidare e di chi è meglio stare lontani.

E’ l’ora delle scelte serie, concrete e responsabili. Bisogna decidere di affrontare gli impegni, anche quelli superiori alle nostre debolezze. Si deve, tutti, guardare lontano verso obiettivi specifici, realistici e misurabili. Il segreto del successo è la perseveranza verso lo scopo prefissato.

Solo chi è mosso da una visione, da un sogno, una vocazione o una missione può fare ciò che gli altri non riescono nemmeno a pensare, nemmeno a immaginare e che spesso, con quel risolino idiota, giudicano una follia o una sciocchezza.

Signori, ho detto ciò che profondamente e sinceramente sentivo senza ipocrisia e Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato..       

Milano, 24 maggio 2011 

Il delegato Cobar Lombardia

M.A. Insinna Gaetano
Tua email:   Invia a: