FIAMME INGIALLITE. ALTI UFFICIALI CHIAMATI IN CAUSA NELL'INCHIESTA SU BISIGNANI. POLEMICHE SUL PESO DELLA POLITICA. E' BUFERA SULLA GUARDIA DI FINANZA (L'Espresso)

venerdì 01 luglio 2011


L’Espresso – 1 luglio 2011

P4 / La fuga di notizie

FIAMME INGIALLITE

Alti ufficiali chiamati in causa nell’inchiesta su Bisignani. Polemiche sul peso della politica. E’ bufera sulla Guardia di finanza


di Gianluca Di Feo

Le parole d'ordine del comandante in capo sono sempre state "trasversalità , unità , flessibilità ". Nino Di Paolo l'ha ripetuto nei rari interventi che hanno segnato il suo anno alla guida della Guardia di Finanza: è la sua strategia globale di assalto ai crimini economici, per garantire risultati concreti nella lotta all'evasione, ossia la priorità  nazionale in questi mesi di tagli. Solo pochi giorni fa, davanti ai reparti schierati per la festa del Corpo, ha evocato «il valore educativo della nostra azione per il rafforzamento della cultura della legalità ». Ma le intercettazioni sulla ragnatela di Gigi Bisignani di colpo hanno mostrato ben altra trasversalità : una rete di contatti discutibili e presunti illeciti che sembra coinvolgere gli ufficiali in posizione chiave. E all'improvviso la questione decisiva è diventata la difesa dell'unità  delle Fiamme Gialle. Perchà© l'indagine del pm Henry Woodcock ha reso esplicite nuove crepe e vecchie ferite finora rimaste chiuse nelle mura del quartier generale di via XXI aprile, la caserma dove Totò e Peppino si andavano a costituire nel finale della "Banda degli onesti". E i documenti finiti sulle prime pagine hanno spiazzato i 63 mila uomini dell'istituzione, amplificando una domanda che da anni circola tra il personale: quanto pesa la politica nelle scelte del vertice?
I finanzieri sono militari molto atipici, legati ai valori tradizionali dei corpi armati ma abituati a muoversi nella modernità  delle società  finanziarie più avanzate e spesso più spregiudicate. Gli ufficiali hanno almeno un paio di lauree e frequentano una scuola interna migliore di un master alla Bocconi. Ma a tutti i livelli la professionalità  è molto più alta degli stipendi: ci sono marescialli che arbitrano multe con sette zeri e tutti sanno che congedandosi troverebbero impieghi con paghe di rilievo. Eppure in questi ultimi anni la Guardia di Finanza ha moltiplicato i risultati operativi, diventando un'industria che in teoria fattura decine di miliardi e sorveglia la vita economica del Paese. Un'organizzazione potente e temuta, protagonista di scontri clamorosi: il più grave è quello tra il governo Prodi e il comandante Roberto Speciale, accusato nel 2007 di averne fatto «un corpo separato».
Da allora il peggio pareva alle spalle e un anno fa la grande riforma che aveva portato per la prima volta alla nomina al vertice di Di Paolo, un ufficiale interno e non un "garante" venuto dall'Esercito, sembrava avere sancito il ritorno alla tranquillità . Ma il nuovo meccanismo di designazione del capo supremo allo stesso tempo aveva acceso i dubbi sull'influenza crescente dei circoli di potere romani. Dubbi che adesso lo scandalo P4 potrebbe rendere esplosivi. Perchà© l'accusa più grave emersa finora dal calderone delle intercettazioni partenopee è quella che riguarda proprio la fuga di notizie sull'indagine. La ricostruzione dell'accusa è semplice: Bisignani sarebbe stato avvisato dell'istruttoria ordinata dalla procura di Napoli da un passaparola partito da Vito Bardi, numero uno della Finanza nell'Italia meridionale, passato poi dal capo di Stato maggiore Michele Adinolfi e quindi trasmesso dall'editore dell'AdnKronos Pippo Marra. E - elemento che rende ancora più inquietante la vicenda - a consolidare questa ricostruzione davanti ai magistrati è stato Marco Milanese, ex colonnello e parlamentare Pdl, negli ultimi anni considerato il proconsole di Giulio Tremonti nella vita del Corpo. Milanese, coinvolto in altre due procedimenti condotti dai suoi ex commilitoni, ha riempito pagine e pagine di verbali top secret. Una decisione che ha stupito molti: il grande accusatore nei suoi 25 anni di servizio è stato apprezzato per le sue capacità  organizzative, le stesse che hanno cementato il suo rapporto con il ministro. E’ considerato intimo di Emilio Spaziante, generale a tre stelle, in passato vicinissimo a Tremonti, altro uomo forte nel vertice della Finanza. Ma nelle carte dell'inchiesta è finito pure, senza nessuna contestazione, Paolo Poletti, ufficiale di peso e attualmente numero due del servizio segreto civile.
Spaziante, Poletti, Adinolfi: i tre capi di Stato maggiore, ossia i tre "amministratori delegati" che hanno guidato le Fiamme Gialle nell'ultimo decennio. Ufficiali molto diversi tra loro. Poletti è un innovatore, con modi da professore universitario e una visione dinamica: amico di Massimo D'Alema con cui condivide la passione per la vela, è capace di gestire relazioni istituzionali a 360 gradi che vanno da Vincenzo Visco a Tremonti, da : Gianni Letta a Walter Veltroni. Adinolfi è ritenuto un mediatore, che frequenta i salotti che contano nella capitale ma che con pazienza ha riportato la pace interna dopo la bufera del caso Speciale. Perchà© quella tempesta aveva anche fatto finire i sui giornali l'influenza che manteneva nel Corpo un altro grande ex: Nicolò Pollari, protagonista della direzione del Sismi più discussa della storia recente, con il ruolo nel sequestro Abu Omar e gli spregiudicati dossieraggi di Pio Pompa. Un grand commis ancora rispettato e temuto, che ha creato un sistema di potere personale tatto di informazioni e favori: un modello negativo che ancora proietta un'ombra nera sulla vita del Corpo. Spaziante, oggi responsabile per l'Italia centrale, ma a lungo dirigente operativo a Milano, ha macinato le posizioni di maggiore prestigio negli anni d'oro di Pollari. Gli viene attribuito un filo diretto con l'entourage berlusconiano: anzianità  di servizio e titoli ne farebbero lo sfidante più accreditato di Adinolfi quando tra un anno si dovrà  decidere il nuovo comandante supremo.
Adesso Adinolfi è sotto inchiesta. In un durissimo confronto ha respinto le accuse di Milanese, sostenendo di poterle smentire con i documenti. Anche il generale Bardi si è dichiarato estraneo alle contestazioni, ribadendo la correttezza di ogni sua iniziativa. Come è prassi per le indagini non segretate, aveva informato i suoi superiori dell'istruttoria napoletana: sia Di Paolo che Adinolfi. Quanto all'altro protagonista della connection partenopea - il magistrato e parlamentare Alfonso Papa che si offriva di vendere notizie e pilotare procedimenti - fu proprio Bardi a firmare la revoca della scorta di finanzieri che gli era stata assegnata nella capitale.
Il numero uno Di Paolo con una lettera a Eugenio Scalfari ha difeso «l'onestà  e la correttezza istituzionali di un Corpo e dei suoi appartenenti che ogni giorno compiono il loro dovere». Un messaggio letto come testimonianza di fiducia verso Adinolfi e Bardi. E come la volontà  di ribadire l'unità  delle Fiamme gialle di fronte alle voci. Ma è anche il tentativo di dare un segnale a tutti quei militari che rischiano la vita o si sacrificano per arrivare a fine mese e poi leggono di cene da mille euro offerte ai loro capi dagli imprenditori su cui loro devono indagare. «Quella che emerge dalle intercettazioni non è la Guardia di Finanza, sono i soliti sei, sette personaggi che non si riesce a contenere», si sfoga un ufficiale di lungo corso.
Il barometro però segna ancora tempesta. E nessuno riesce a prevedere quali siano le prossime ondate in arrivo. Si vocifera di altri due alti generali coinvolti. Mentre le dichiarazioni di Marco Milanese, che si è dimesso dall'incarico di consigliere di Tremonti, continuano a suscitare interrogativi: sono frutto di una scelta personale o il preludio a una stagione di grandi manovre?
 

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