INTERFERENZE E CONDIZIONAMENTI DI POLITICA E AFFARI NELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA: ECCO I TEMI DA PORTARE ALL'ATTENZIONE DEL PAESE PER AUMENTARE AFFIDABILITA' E TRASPARENZA NELL'INTERESSE DEI CITTADINI - di Gianluca Taccalozzi

venerdì 01 luglio 2011

Di seguito, una libera manifestazione di pensiero di Gianluca Taccalozzi. Il titolo è della redazione del sito.

 

La Guardia di Finanza e la stragrande maggioranza dei suoi appartenenti non devono dimostrare niente a nessuno, perchà© sono i fatti, le indagini svolte ed i risultati conseguiti (dai maxi sequestri nei confronti della criminalità  organizzata, alle maxi inchieste finanziarie sino alla costante azione di contrasto all’evasione) a testimoniare il quotidiano, fruttuoso ed efficace contrasto alla criminalità  economico-finanziaria delle Fiamme Gialle.

 

Nessuno (istituzioni, magistratura, pubblica amministrazione, media) può oggi permettersi di mettere minimamente in discussione il ruolo della Guardia di Finanza nel settore della polizia economica-finanziaria e bene hanno fatto il Comandante Generale ed il Consiglio Centrale di Rappresentanza a ribadirlo con forza ed orgoglio. La professionalità , la competenza, il know-how del Corpo e la molteplice veste di poliziotto ed al tempo stesso di verificatore fiscale, esperto di bilanci, contabilità  e transazioni finanziarie che caratterizza il finanziere, sono oggi imprescindibili per l’azione di contrasto ai crimini economici, finanziari e tributari.

 

Ciò premesso, gli ultimi noti fatti di cronaca che stanno gettando ombre sull’affidabilità  del l’Istituzione e più, in generale, su tutte le Forze dell’ordine, seppur con la dovuta e necessaria premessa di presunzione di innocenza dei soggetti coinvolti, non può non essere oggetto di un’approfondita, seria ed ormai, improcrastinabile, riflessione in tema di indipendenza, terzietà , trasparenza ed impermeabilità  alle eventuali ingerenze politiche ed affaristiche delle amministrazioni deputate alla sicurezza interna. Con particolare riguardo alla Guardia di Finanza, in quanto il proprio principale settore di competenza, la polizia economica-finanziaria, la pone in una posizione più sensibile a rischi di questo tipo rispetto alle altre forze di polizia. 

 

La problematica non può e non deve essere sottovalutata o semplicisticamente ricondotta ad episodi sporadici e fisiologici, figli di singole ed episodiche condotte, ma deve essere affrontata partendo dalle eventuali debolezze del sistema sicurezza che sono alla base degli ormai, purtroppo, periodici e frequenti casi di rapporti illeciti, anomali o quantomeno inopportuni, tra appartenenti alle forze dell’ordine (spesso figure di vertice) ed ambienti politico-affaristici. Già , perchà© a nostro avviso, il problema non risiede tanto o solo nella patologica umana debolezza del singolo, quanto nella inadeguatezza strutturale del sistema e dell’organizzazione delle Forze di polizia italiane che presenta numerosi e rilevanti punti di criticità .

 

Occorre prima di tutto individuare questi punti di debolezza che pongono le forze dell’ordine nella condizione di essere avvicinate o peggio condizionate dalla politica e dagli affari e quindi introdurre nel sistema, validi ed efficaci anticorpi.

 

Tra gli aspetti più critici dell’attuale sistema di organizzazione delle forze di polizia, ed in particolare di quelle ad ordinamento militare, ci permettiamo di segnalare i seguenti:

 

1.     l’estrema gerarchizzazione dell’organizzazione, che di fatto genera la concentrazione di un enorme quantità  di informazioni sensibili e, contemporaneamente, di ampi e sopratutto discrezionali e senza contraddittorio, poteri di controllo e pressione sul personale (carriera, disciplina, trasferimenti, ecc.), in poche figure apicali;

 

2.     gli attuali meccanismi di promozione ed attribuzione degli incarichi del personale (in particolare di quello direttivo e dirigente) che premia la fedeltà  piuttosto che l’effettiva produttività  o la maggiore economicità  o qualità ;

 

3.     la possibilità , ormai quasi divenuta prassi, riconosciuta agli alti dirigenti delle forze dell’ordine di assumere, post congedo,remunerativi ed importanti incarichi in enti pubblici o a partecipazione pubblica, che di fatto aumenta la possibilità  di condizionamenti di carattere politico specialmente nella fase terminale delle carriere;

 

4.     l’estremo isolamento e la proverbiale impermeabilità  delle amministrazioni del comparto sicurezza e difesa, che rende la loro gestione poco trasparente e controllabile da parte del cittadino e delle istituzioni in particolare in termini di risultati concreti e misurabili conseguiti sui singoli territori a vantaggio di comunità  esattamente individuate di cittadini;

 

5.     l’assenza di adeguati strumenti di tutela del personale dipendente, che li pone in una posizione di soggezione rispetto al proprio superiore talmente rilevante ed incisiva tale da superare, talvolta, anche i limiti imposti  dalla legge;

 

6.     le rilevanti limitazioni alla libertà  di espressione (interna ed esterna) imposte al personale delle forze dell’ordine, che contribuisce in maniera decisiva all’isolamento delle stesse dal resto della società  civile, impedendo la fuoruscita degli elementi di criticità  ben conosciuti dal personale e, di conseguenza, l’innesco un serio ed ampio dibattito sull’organizzazione delle sistema sicurezza. Di fatto, le decisioni in questa materia sono circoscritta a pochi, pochissimi protagonisti della politica (spesso ex generali in pensione), dei vertici e, seppure in misura molto inferiore, dei sindacati e dei Co.Ce.R..

 

Sono queste alcune criticità  che rendono condizionabili ed allo stesso tempo appetibili rispetto alla politica ed alle c.d. “cricche” il personale, soprattutto di vertice, delle forze dell’ordine.

 

A nostro avviso se si vuole davvero efficacemente contrastare il pericolo potenziale di inopportune quanto pericolose interazioni tra politica, mondo degli affari e forze dell’ordine bisogna agire su queste criticità  e non limitarsi a belli quanto inefficaci codici deontologici. Come? Aumentando il grado di indipendenza, di trasparenza e di democraticità  delle forze dell’ordine, con misure quali:

 

à˜  la rimodulazione dei meccanismi di valutazione e promozione del personale, rendendoli più ancorati all’effettiva produttività  e meno a logiche di fedeltà  e servilismo, al fine di evitare che si compiano (o si omettano) atti contrari ai doveri d’ufficio solo per compiacere il proprio superiore;

 

à˜  il divieto di nomina (post congedo) ad incarichi pubblici di alti ufficiali o funzionari delle forze dell’ordine, al fine di impedire le possibilità  di pressione e condizionamenti da parte della politica;

 

à˜  la trasformazione da facoltativa ad obbligatoria della sospensione dal servizio o quanto meno della collocazione ad incarichi non operativi o di minore responsabilità  e delicatezza, per il personale sottoposto ad indagini per reati di corruzione, concussione, divulgazione di notizie coperte da segreto istruttorio, ecc.;

 

à˜  l’appostamento di risorse finanziarie ed umane, la previsione di obiettivi e la conseguente misurazione dei risultati ottenuti, su base territoriale e sulla base di dati oggettivi e divisibili (es. nr. di reati, consistenza dell’evasione, del lavoro nero, ecc.) ed il conseguente diretto agganciamento agli stessi risultati delle progressioni di carriera e dell’attribuzioni di incarichi dirigenziali;

 

à˜  la previsione di strumenti di maggior tutela e libertà  per personale dipendente.

 

Riforme che porterebbero alla concreta applicazione di quell’articolo 52 della nostra Costituzione che non a caso i Padri costituenti inserirono nella Carta fondamentale del nostro Paese, che sono state adottate in tutte le democrazie avanzate e che, in definitiva, hanno sostanziato la transazione della funzione delle forze di sicurezza interna da “polizia del sovrano” a “polizia del cittadino”.

 

Mentre in Italia negli ultimi quindici anni questo processo che era iniziato alla fine degli anni ’70, non solo non è mai stato portato a compimento, ma ha fatto registrare a partire dai primi anni 2000 una pericolosa inversione ad “U”, con l’adozione di politiche che hanno aumentato il grado di isolamento del comparto sicurezza e difesa dal resto della società  civile ed aumentato a dismisura le figure ed i poteri delle figure di vertice e, conseguentemente, aumentato il rischio di ingerenze da parte di politica e malaffare.

 

Per il bene della democrazia, è ora che si affronti il problema sicurezza seriamente ed a 360 gradi non solo limitandosi a provvedimenti “spot” o, in maniera parziale e limitata, alle questioni legate all’immigrazione, alla crisi della famiglia o alla giustizia, includendo nel dibattito anche l’organizzazione e la gestione delle forze dell’ordine, c’è da eliminare, una volta per tutte, il rischio che si passi da una polizia al servizio del cittadino ad una polizia al servizio delle “cricche”.

 

 

GIANLUCA TACCALOZZI

Presidente Direttivo Nazionale Ficiesse

gianlucataccalozzi@alice.it


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