MILANESE, I PM CERCANO LE MELE MARCE NELLA FINANZA. LA PROCURA PRONTA A ISCRIVERE ALCUNI UFFICIALI NEL REGISTRO INDAGATI. CHIESTO AL COMANDO GENERALE L'ELENCO DI TUTTI GLI INCARICHI RICOPERTI NEL CORPO (Il Messaggero)

lunedì 11 luglio 2011

Il Messaggero – 11 luglio 2011

La procura pronta a iscrivere alcuni ufficiali nel registro indagati. «Hanno fornito notizie riservate dal 2004 al 2010»

MILANESE, I PM CERCANO LE MELE MARCE NELLA FINANZA


Il parlamentare seppe in tempo reale quando iniziarono le intercettazioni. Chiesto al Comando generale l'elenco di tutti gli incarichi ricoperti nel Corpo

di Massimo Martinelli
ROMA - C'è una data precisa e un orario che potrebbero catapultare gli investigatori del caso Milanese verso i palazzi dell'istituzione dalla quale proviene l'ex consulente del Tesoro. Cioè la Guardia di Finanza; con l'obiettivo di mettere nell'angolo le poche mele marce che gli consentivano di essere informato in tempo reale su tutte le attività  investigative che potevano interessare lui oppure i suoi amici. Il giorno è il 15 febbraio 2010. L'orario è serale: le diciassette e cinquantaquattro minuti.
II calendario a Cervinara. E' da questo oggetto che partono le indagini sui complici di Marco Milanese in seno alla Gdf. Perchà© su quel calendario da tavolo sequestrato nello studio dell'imprenditore Paolo Viscione, gli investigatori trovano al 15 febbraio 2010 l'appunto che indica l'inizio delle operazioni di intercettazione nei suoi confronti da parte della Guardia di Finanza. Per riscontrare la fondatezza di quello scarabocchio chiedono informazioni. Che, come si legge negli atti, sono illuminanti: «Alla data del 15 febbraio 2011, quando il Viscione riceve la notizia, le attività  intercettive prendono effettivo avvio; in particolare alle ore 17.54, come risulta dalla certificazione di segreteria con allegata documentazione della Guardia di Finanza relativa alle operazioni tecniche». I magistrati si informano su chi potesse essere a conoscenza di quell'attività  investigativa. E ricevono la risposta che è contenuta negli atti: «Tale notizia era assolutamente riservata e nota quindi solo agli operatori di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza delegati alle operazioni e loro riferimenti gerarchici».

Sette anni di soffiate. In gran segreto, mentre l'opinione pubblica era attratta dal clamore sull'attività  della presunta P4, gli investigatori hanno ripercorso a ritroso la vita professionale e i contatti di Marco Milanese. Hanno rimesso in fila i suoi ultimi incarichi nel corpo della Fiamme Gialle e hanno incrociato i nomi dei suoi ufficiali più fedeli con le indagini delle quali lui sapeva tutto. E già  adesso, prima ancora dell'iscrizione nel registro indagati per alcuni di loro, i magistrati partenopei sono in grado di indicare l'arco temporale nel quale si sarebbe consumata la sistematica fuga di notizie: «E' emerso - si legge nella carte processuali - che le rivelazioni del Milanese, che non aveva esitato a sfruttare le sue conoscenze anche per far rallentare od omettere le investigazioni condotte dalla Guardia di Finanza su un gruppo di società  facenti capo al Viscione, proprio per estorcergli considerevoli somme di denaro o altri costosissimi regali, non erano state occasionali o sporadiche; ma al contrario si erano concretamente e necessariamente dispiegate in un lasso di tempo piuttosto lungo, iniziando nel 2004 ed arrivando fmo al 2010».

Il debito dal gioielliere. In questa inchiesta, in cui i comportamenti rilevanti per il codice penale si mescolano a quelli riprovevoli solo dal punto di vista morale, succede anche che le informazioni riservate servano a dribblare un pagamento. Accade per esempio a Stefano Laurenti, titolare della rinomata gioielleria di piazza Monte di Pietà , a Roma. E' quella utilizzata da Paolo Viscione per acquistare gli orologi destinati a Marco Milanese, dove il parlamentare pdl andava persino a sceglierli. Ma anche ad acquistare gioielli per conto proprio, talvolta lasciando qualche sospeso. Accadde nel 2010, quando improvvisamente interruppe i rapporti con Stefano Laurenti, che pure credeva di essere suo amico. Seppe poi, il gioielliere, che Milanese era stato informato di un'indagine della Guardia di Finanza sul suo negozio, dalla quale emerse, per inciso, che chiedeva quasi sempre pagamenti in contanti e che gli assegni li faceva intestare alla madre, per eludere i controlli fiscali. In quel caso Milanese tacque per tutelarsi. Sapeva che i segugi della Gdf intercettavano i telefoni di Laurenti e che, probabilmente, c'era anche un servizio di appostamento in strada per verificare chi fossero i clienti abituali. Per farla breve, quel debito lo pagò Viscione. Milanese gli chiese di occuparsene lui, perchà© non poteva farlo di persona. E l'imprenditore, che aveva fatto un accordo da seicentomila euro con il parlamentare per essere protetto dalla indagini della Gdf, capì al volo. Andò da Laurenti e pagò il debito di Milanese, per cinquemila euro.

La rete di Milanese. E' il capitolo più delicato dell'inchiesta del pm Piscitelli. Perchà©, come spiegano gli investigatori campani, il ruolo rivestito da Milanese in seno alla presunta associazione a delinquere che viene ipotizzata appare di gran lunga più imponente di quello degli indagati nell'indagine che a Napoli corre quasi parallela, sulla presunta P4. Sette mesi fa il pm Piscitelli ha chiesto al Comando Generale della Gdf l'elenco di tutti gli incarichi ricoperti dal parlamentare nelle Fiamme Gialle, per capire quando potrebbe aver cementato rapporti di amicizia tali da consentirgli di attingere informazioni sensibili in ogni momento. E non è escluso che anche le sue deposizioni raccolte nell'inchiesta P4 sui presunti legami tra il capo di stato maggiore della Finanza, generale Michele Adinolfi e l'ex giornalista Luigi Bisignani (legami peraltro smentiti documentalmente nei giorni successivi) possano essere rilette sotto un'altra luce. Ad esempio considerando che i primi investigatori che misero a fuoco le presunte attività  illegali di Milanese furono proprio alcuni investigatori della Gdf. Che evidentemente erano estranei alla logica delle «cordate» che pure è stato ipotizzata nei verbali di questa indagine.
massimo.martinelli@ilmessaggero.it
 

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