TEMPI CERTI PER I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI IN GDF, FINALMENTE EMANATO IL DECRETO ATTUATIVO. RESPONSABILI DISCIPLINARMENTE I DIRIGENTI INADEMPIENTI. LE CONSEGUENZE E LE SOLUZIONI PER I TEMPI BIBLICI DELLE CAUSE DI SERVIZIO (di Giovanni Surano)
venerdì 05 agosto 2011
Pubblichiamo un interessante contriburo di Giovanni Surano della Sezione di Lecce; il titolo è della redazione.
TERMINI CERTI PER I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI DELLA GUARDIA DI FINANZA IN SEGUITO ALL’EMANAZIONE DEL DPCM 5 MAGGIO 2011, N. 109, CHE DA PIENA ATTUAZIONE ALLA RIFORMA DELL’ART. 2 DELLA LEGGE 241/90.
Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 maggio 2011, n. 109, pubblicato sulla G.U. n. 163 del 15 luglio 2011, è stato emanato il Regolamento in materia di termini superiori a 90 giorni di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e delle sue articolazioni, compreso il Corpo della Guardia di finanza.
E’ giunto così a termine il travagliato percorso di attuazione dell’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n.69 che riforma l’art. 2 della legge 241/90, e che dal 16 luglio u.s., data di entrata in vigore del DPCM, stabilisce termini certi per la conclusione dei procedimenti, superiori a 90 giorni, di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e della Guardia di finanza in particolare. Un provvedimento atteso dal 2009 che restituisce certezza all’attività  amministrativa su ogni tipo di procedimento, e tra questi meritano certamente una particolare attenzione quei procedimenti sino ad oggi caratterizzati da lungaggini procedurali che interessano la gran parte degli appartenenti al Corpo e che in alcuni casi si concludevano dopo 10 anni: riconoscimento di causa di servizio e pensione privilegiata. Ebbene, tali procedimenti non potranno più superare i 180 giorni per la loro conclusione.
Ma prima di analizzare altri aspetti del provvedimento è utile ripercorrere l’intero iter normativo che ha introdotto questa importante novità  .
Come si è detto, in origine era l’art.2 della legge 241/90 che in seguito alla riforma introdotta dall’art. 7 della legge 69/2009 prevedeva:
che i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali dovevano concludersi entro 30 giorni (anzichà © in 90 giorni come previsto prima della riforma);
che con più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione, venivano individuati i termini di conclusione di quei procedimenti che per la loro complessità  richiedevano comunque tempi superiori ai 30 ed ai 90 giorni ma che in ogni caso non potevano assolutamente superare i 180 giorni.
Quei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativi della riforma dell’art. 2 della legge 241/90 e che dovevano rideterminare i termini dei procedimenti, secondo quanto stabilito dall’art.7 della legge 69/2009 dovevano essere adottati entro un anno dalla entrata in vigore della stessa norma e cioè entro il 4 luglio 2010. In assenza di tali provvedimenti e per tutto il periodo di “vuoto normativo”, a decorrere dalla stessa data, le disposizioni regolamentari in vigore che prevedevano termini procedimentali superiori a 90 giorni cessavano di avere effetto, con la conseguenza che ai relativi procedimenti, fino a nuova determinazione, si doveva applicare il termine di 30 giorni – combinato disposto art. 2, comma 2, legge 241/90 e art. 7, comma 1, lett. b), 4 legge 69/2009. Dovevano invece continuare ad applicarsi quelle disposizioni regolamentari vigenti che prevedevano termini non superiori a 90 giorni. In tale vuoto normativo si veniva pertanto a profilare l’assurdo paradosso: nelle more dell’adozione dei provvedimenti del DPCM quei procedimenti i cui termini oltrepassavano i 90 giorni cessavano i loro effetti (es: cause di servizio e termini previsti dal DPR 461/2001) e dovevano concludersi entro 30 giorni, mentre quelli di durata entro i 90 giorni continuavano a rispettare le disposizioni regolamentari vigenti.
Occorre anche aggiungere che la scadenza del termine del 4 luglio 2010 comunque non privava l’Amministrazione del potere regolamentare di cui all’art. 2, commi 3,4, e 5, della legge n. 241/90 come modificato dalla legge 69/2009. Pertanto le amministrazioni che non provvedevano alla predisposizione degli schemi da inserire nei provvedimenti governativi potevano provvedervi anche successivamente alla data del 4 luglio 2010. Nel caso del Ministero dell’economia e delle finanze il provvedimento è stato emanato ad un anno esatto dalla scadenza del termine che, come si è detto, non aveva natura perentoria.
Un altro aspetto della riforma attiene alla responsabilità  amministrativa derivante dalla norma in commento, che rileva sotto un duplice profilo:
la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno da ritardo, ove il danno è provato attraverso il nesso causale;
la sanzione disciplinare del dirigente responsabile del procedimento che non si è attenuto alla tempistica normativa.
Il ritardo viene pertanto sanzionato con l’obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato al cittadino in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento: è una norma immediatamente precettiva, che tende a porre rimedio ai casi di violazione dell’obbligo di provvedere nei termini previsti. Mentre nei confronti dei dirigenti, la mancata emanazione del provvedimento nei termini previsti costituisce elemento di valutazione sia ai fini della corresponsione delle retribuzione di risultato sia ai fini della responsabilità  dirigenziale, arrivando, nel caso di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da minimo di tre giorni ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità  del risarcimento (art. 69 del d. lgs. attuativo della legge n. 15/2009).
Lo strumento di cui il cittadino dispone per poter fare rilevare il ritardo è il ricorso giurisdizionale al Tar competente. Cosicchà © una volta decorsi inutilmente i termini di conclusione del procedimento, viene esperito il ricorso al Tar per l’accertamento del silenzio-rifiuto ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), da proporre entro un anno dalla data in cui il procedimento doveva essere concluso. E sarà  il giudice amministrativo a pronunciarsi sull’accoglimento del ricorso disponendo la conclusione (di solito entro 30 giorni) del procedimento e sulla quantificazione dell’eventuale danno da ritardo lamentato dal ricorrente. In caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione il giudice può anche nominare un commissario ad acta che sostituendosi ad essa concluderà  il procedimento.
Per la parte che interessa alla nostra Amministrazione, i termini conclusivi dei procedimenti superiori a 90 giorni sono determinati nelle allegate tabelle H e I che costituiscono parte integrante del provvedimento odierno.
Solo a titolo esemplificativo si riportano di seguito alcuni procedimenti con indicazione dell’ufficio responsabile alla trattazione e dei termini di conclusione introdotti dalla norma in commento.
Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 maggio 2011, n. 109, pubblicato sulla G.U. n. 163 del 15 luglio 2011, è stato emanato il Regolamento in materia di termini superiori a 90 giorni di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e delle sue articolazioni, compreso il Corpo della Guardia di finanza.
E’ giunto così a termine il travagliato percorso di attuazione dell’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n.69 che riforma l’art. 2 della legge 241/90, e che dal 16 luglio u.s., data di entrata in vigore del DPCM, stabilisce termini certi per la conclusione dei procedimenti, superiori a 90 giorni, di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e della Guardia di finanza in particolare. Un provvedimento atteso dal 2009 che restituisce certezza all’attività  amministrativa su ogni tipo di procedimento, e tra questi meritano certamente una particolare attenzione quei procedimenti sino ad oggi caratterizzati da lungaggini procedurali che interessano la gran parte degli appartenenti al Corpo e che in alcuni casi si concludevano dopo 10 anni: riconoscimento di causa di servizio e pensione privilegiata. Ebbene, tali procedimenti non potranno più superare i 180 giorni per la loro conclusione.
Ma prima di analizzare altri aspetti del provvedimento è utile ripercorrere l’intero iter normativo che ha introdotto questa importante novità  .
Come si è detto, in origine era l’art.2 della legge 241/90 che in seguito alla riforma introdotta dall’art. 7 della legge 69/2009 prevedeva:
che i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali dovevano concludersi entro 30 giorni (anzichà © in 90 giorni come previsto prima della riforma);
che con più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione, venivano individuati i termini di conclusione di quei procedimenti che per la loro complessità  richiedevano comunque tempi superiori ai 30 ed ai 90 giorni ma che in ogni caso non potevano assolutamente superare i 180 giorni.
Quei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativi della riforma dell’art. 2 della legge 241/90 e che dovevano rideterminare i termini dei procedimenti, secondo quanto stabilito dall’art.7 della legge 69/2009 dovevano essere adottati entro un anno dalla entrata in vigore della stessa norma e cioè entro il 4 luglio 2010. In assenza di tali provvedimenti e per tutto il periodo di “vuoto normativo”, a decorrere dalla stessa data, le disposizioni regolamentari in vigore che prevedevano termini procedimentali superiori a 90 giorni cessavano di avere effetto, con la conseguenza che ai relativi procedimenti, fino a nuova determinazione, si doveva applicare il termine di 30 giorni – combinato disposto art. 2, comma 2, legge 241/90 e art. 7, comma 1, lett. b), 4 legge 69/2009. Dovevano invece continuare ad applicarsi quelle disposizioni regolamentari vigenti che prevedevano termini non superiori a 90 giorni. In tale vuoto normativo si veniva pertanto a profilare l’assurdo paradosso: nelle more dell’adozione dei provvedimenti del DPCM quei procedimenti i cui termini oltrepassavano i 90 giorni cessavano i loro effetti (es: cause di servizio e termini previsti dal DPR 461/2001) e dovevano concludersi entro 30 giorni, mentre quelli di durata entro i 90 giorni continuavano a rispettare le disposizioni regolamentari vigenti.
Occorre anche aggiungere che la scadenza del termine del 4 luglio 2010 comunque non privava l’Amministrazione del potere regolamentare di cui all’art. 2, commi 3,4, e 5, della legge n. 241/90 come modificato dalla legge 69/2009. Pertanto le amministrazioni che non provvedevano alla predisposizione degli schemi da inserire nei provvedimenti governativi potevano provvedervi anche successivamente alla data del 4 luglio 2010. Nel caso del Ministero dell’economia e delle finanze il provvedimento è stato emanato ad un anno esatto dalla scadenza del termine che, come si è detto, non aveva natura perentoria.
Un altro aspetto della riforma attiene alla responsabilità  amministrativa derivante dalla norma in commento, che rileva sotto un duplice profilo:
la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno da ritardo, ove il danno è provato attraverso il nesso causale;
la sanzione disciplinare del dirigente responsabile del procedimento che non si è attenuto alla tempistica normativa.
Il ritardo viene pertanto sanzionato con l’obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato al cittadino in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento: è una norma immediatamente precettiva, che tende a porre rimedio ai casi di violazione dell’obbligo di provvedere nei termini previsti. Mentre nei confronti dei dirigenti, la mancata emanazione del provvedimento nei termini previsti costituisce elemento di valutazione sia ai fini della corresponsione delle retribuzione di risultato sia ai fini della responsabilità  dirigenziale, arrivando, nel caso di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da minimo di tre giorni ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità  del risarcimento (art. 69 del d. lgs. attuativo della legge n. 15/2009).
Lo strumento di cui il cittadino dispone per poter fare rilevare il ritardo è il ricorso giurisdizionale al Tar competente. Cosicchà © una volta decorsi inutilmente i termini di conclusione del procedimento, viene esperito il ricorso al Tar per l’accertamento del silenzio-rifiuto ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), da proporre entro un anno dalla data in cui il procedimento doveva essere concluso. E sarà  il giudice amministrativo a pronunciarsi sull’accoglimento del ricorso disponendo la conclusione (di solito entro 30 giorni) del procedimento e sulla quantificazione dell’eventuale danno da ritardo lamentato dal ricorrente. In caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione il giudice può anche nominare un commissario ad acta che sostituendosi ad essa concluderà  il procedimento.
Per la parte che interessa alla nostra Amministrazione, i termini conclusivi dei procedimenti superiori a 90 giorni sono determinati nelle allegate tabelle H e I che costituiscono parte integrante del provvedimento odierno.
Solo a titolo esemplificativo si riportano di seguito alcuni procedimenti con indicazione dell’ufficio responsabile alla trattazione e dei termini di conclusione introdotti dalla norma in commento.
(vgs allegato in pdf)
Una volta stabiliti termini, sanzioni e procedura giurisdizionale per l’accertamento del silenzio-rifiuto, occorre porsi alcune domande e valutare talune criticità  che emergono dopo l’emanazione della recente normativa. Una prima considerazione che viene in mente è che la gran parte dei procedimenti elencati nelle tabelle H e I del DPCM erano già  soggetti a quei termini e per essi nulla viene modificato. Non si può dire altrettanto per altri procedimenti che non avevano termini certi di conclusione oppure che tali termini erano frazionati nelle varie fasi procedimentali senza indicazione del termine di conclusione (es: termini stabiliti dal DPR 461/2001 per le cause di servizio). Vale allora la pena di fare una breve analisi su tali procedimenti.
Criticità  su taluni procedimenti dopo l’entrata in vigore della nuova normativa: cause di servizio e pensioni privilegiate
I nuovi termini stabiliti dal DPCM di attuazione della riforma dell’art.2 della legge 241/90 in alcuni casi potranno far sorgere alcune criticità  in seno alle amministrazioni ed in particolare alla Guardia di finanza. Il riferimento va a quei procedimenti vincolati a pareri endoprocedimentali, quali ad esempio il riconoscimento di causa di servizio delle infermità  o le pensioni privilegiate che come sappiamo prevedono nei loro iter accertamenti e pareri di competenza di altri organi che, gravati dalla mole di arretrato, costituiscono dei veri ostacoli alla conclusione dei procedimenti medesimi in tempi ragionevoli.
Per evitare in futuro il massiccio ricorso ai Tar e quindi il dispendio di risorse pubbliche per risarcire i danni o pagare le spese processuali, occorre, a parere di chi scrive, ripensare la procedura sino ad oggi adottata anche mediante l’apporto propositivo che l’organo di rappresentanza dovrebbe in questo caso fare proprio.
In altri termini bisognerebbe evitare l’imbuto delle CC.MM.OO. dove spesso viene vanificato il pregevole lavoro svolto dai Re.T.L.A. in termini di celerità  del procedimento.
Nelle pieghe del DPR 461/2001 vi sono soluzioni alternative rispetto all’iter attuale, che consentono di by-passare le Commissioni Medico Ospedaliere (dove i procedimenti ristagnano per anni) sostituendole, nella fase di accertamento della patologia, con le Commissioni istituite presso le ASL competenti per territorio, integrate da un medico in servizio al Corpo.
La norma che prevede tale possibilità  è l’art. 9 del D.P.R. 461/2001 dal titolo “Ricorso alternativo ad altro organismo di accertamento medico”, che così recita: “In alternativa all’invio alla Commissione di cui all’art.6 (C.M.O. militare), l’Amministrazione, in relazione e compatibilmente con i carichi di lavoro della Commissione stessa, nonchà © con l’organizzazione anche territoriale della sanità  militare, può trasmettere la domanda e la documentazione prodotta dall’interessato all’Azienda sanitaria locale territorialmente competente (…) Per le visite relative a militari o appartenenti a corpi di polizia, anche ad ordinamento civile, disposte ai sensi del presente articolo, la Commissione medica è di volta in volta integrata con un ufficiale medico o funzionario medico della forza armata, del corpo o amministrazione di appartenenza.”
Tenuto conto che in seno ad ogni ASL (una per ogni capoluogo di provincia) opera una commissione per l’accertamento delle patologie, i tempi verrebbero sensibilmente ridotti ad un mese circa dalla data di avvio del procedimento rispetto ai due o tre anni che oggi bisogna attendere per la convocazione da parte della C.M.O. militare. Escludendo quindi il potenziamento delle CC.MM.OO. anche alla luce dei recenti tagli che hanno ridimensionato la sanità  militare, occorre puntare proprio sulla sanità  locale con la quale il Corpo, peraltro, intrattiene ottimi rapporti di carattere istituzionale con riferimento al settore operativo della spesa pubblica.
Diversamente opinando, appare davvero arduo immaginare che con l’attuale iter quei procedimenti possano concludersi nei termini di 180 giorni dal loro avvio, come la normativa in commento impone.
Giovanni Surano
Sezione Ficiesse Lecce
giovanni.surano@libero.it