IL PARADOSSO DI UN'EUROPA PIU' ATTENTA A FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTA' PERSONALE DEI CITTADINI MILITARI (SECONDA PARTE) - di Cleto Iafrate

venerdì 05 agosto 2011

SECONDA PARTE

 (La prima parte disponibile alla pagina http://www.ficiesse.it/home-page/5518/il-paradosso-di-un’europa-piu-attenta-a-forme-e-dimensioni-dei-cetrioli-che-non-al-diritto-di-liberta-personale-dei-cittadini-militari-_prima-parte_---di-cleto-iafrate)

4.      Le origini della regola dell’onore posta alla base del principio di supremazia speciale

 

Sembrerebbe che esistano due ordinamenti: uno statuale, ispirato ai principi costituzionali ed uno speciale, annidato in seno al primo, che deroga ad essi. Il secondo si fonda sui canoni tradizionali propri di uno Stato assoluto, in virtù di una pretesa supremazia speciale, che gli consente di smarcarsi dal principio di legalità  e di riserva assoluta di legge in materia di diritti soggettivi.

 

A tal proposito, è giusto il caso di ricordare che:

 

1)                 i giudizi annuali caratteristici, da cui dipende la carriera del militare, pur incidendo anch’essi su diritti soggettivi, derogano ampiamente alla riserva di legge ed al principio di legalità ;

 

2)                 gli elogi ed encomi, inoltre, che rappresentano una potente spinta propulsiva per la carriera, vengono concessi con la massima discrezionalità ;

 

3)                 i trasferimenti di reparto ed i cambi d’incarico all’interno dello stesso reparto si tenta di farli rientrare nella species degli ordini; significa che i trasferimenti possono avvenire anche per non meglio specificate esigenze di servizio (in barba alla legge sulla trasparenza amministrativa);

 

4)                 per di più, si consideri che - ai militari, compresi gli appartenenti alle forze di polizia militare, sono stati negati i diritti sindacali - in virtù della tutela della coesione interna, dell’efficienza e dell’apoliticità  delle FF.AA.. (La rappresentanza militare ha solo un potere propositivo e, per giunta,  in merito a limitati argomenti, che sono, in questo caso, rigorosamente tipizzati. Essa è interna all’Amministrazione e gerarchizzata. Usando una metafora, può essere definita come “una porta dipinta su di una parete in cemento armato”).

 

Ebbene, l’ordinamento speciale è riuscito fino ad oggi a rimanere impermeabile al principio di legalità  in virtù della “Regola dell’onore militare”, la quale ha consentito e giustificato le derogano ai principi su cui si basa l’ordinamento generale.

 

L’onore militare  può definirsi una qualità  etico-psicologica, espressione di tutte quelle virtù caratteriali - quali onestà , lealtà , rettitudine, fedeltà , giustizia, imparzialità  - che procurano la stima altrui e che sono dal militare gelosamente detenute e custodite, nell’intimo convincimento della necessità  di mantenerle integre.

 

Il possesso di tali virtù, storicamente, ha rappresentato una prerogativa assoluta propria dello status militis. La conseguenza di questa convinzione, imposta legalmente dalla consuetudine, legittimava il Capo militare a gestire autonomamente, all’interno del comparto militare, i tre poteri: giudiziario, legislativo ed esecutivo. Le sue decisioni erano inappellabili, emanava i regolamenti, infliggeva le punizioni, anche di tipo corporale.

 

Le origini della regola dell’onore si perdono nella notte dei tempi e sono riconducibili al particolare significato che, anticamente, veniva dato al giuramento militare. Ai tempi dell’impero romano il giuramento militare si chiamava  sacramentum militiae, in quanto era il mezzo mediante il quale veniva creato, con il favore degli dei, un nuovo stato personale: lo status militis, appunto. Il giuramento aveva una funzione propriamente sacramentale. I milites romani, infatti, erano chiamati anche sacrati”. Essi, a seguito del rito sacro, ricevevano dagli dei un supplemento di forza, di coraggio e, soprattutto, di purezza. Da questa atmosfera, ammantata di sacralità  e di rinnovata purezza, trovò facile accoglienza la regola dell’onore militare, su cui si fonda il principio di supremazia speciale, che ancora oggi, anacronisticamente, sopravvive in tutte quelle norme che derogano ai principi dell’ordinamento generale.

 

In altre parole, il principio di supremazia speciale si fonda su un ragionamento molto semplice: “Poichà© io sono dotato di senso dell’onore la mia volontà  costituisce principio di legalità  (all’interno del comparto militare); quindi posso decidere, di volta in volta, quali sono le infrazioni che danno luogo alle punizioni; posso decidere chi trasferire, chi punire e chi ricompensare con encomi ed elogi. Tu legislatore - all’interno di questa “insula felix” in cui il principio di legalità  non ha mai trovato approdo - non puoi e non devi porre argini alla mia discrezionalità ”.

 

E’ proprio dalla regola dell’onore che deriva la consuetudine, nei rapporti epistolari tra ufficiali di grado elevato, di anteporre al grado ed al nome il titolo di “N.H. il” (in cui N.H. non è il gruppo sanguigno ma l’abbreviazione di Nobil Homo). E’ una qualità  effettivamente meritata dalla maggior parte degli appartenenti alla categoria degli ufficiali, ma non può essere la prerogativa di tutti gli appartenenti a quella categoria. Sul punto ci tornerò nelle conclusione.

 

 

5. Considerazioni dell’autore e conclusioni

 

La circostanza secondo cui la regola dell’onore, all’interno dell’ordinamento speciale, occupi il posto che nell’ordinamento generale è occupato dal principio di legalità , incide sul concetto di obbedienza militare, modificandone i connotati. L’obbedienza - definita nel precedente regolamento “assoluta” ed in quello vigente “leale e consapevole”– nella sostanza si rivela “ASSOLUTA(mente) conveniente ed opportuna. Cioè, nella sostanza subisce una mutazione genetica a causa del peso che esercita la disciplina militare sulla volontà  di chi è preposto ad eseguire gli ordini.

 

Mi spiego. Se, per ipotesi, un militare decidesse (oggi) di non eseguire un ordine costituente reato - che il superiore gli ha impartito in un momento di smarrimento del senso dell’onore - che garanzie avrebbe il militare (domani) che quel superiore non lo sorprenda in flagranza di reato di “collo peloso” oppure di “branda in disordine”? Non lo valuti negativamente in occasione della redazione dei giudizi annuali caratteristici, compromettendo, così, la sua carriera? Non lo avvicendi nell’incarico, oppure non lo trasferisca, con una formula di stile?  

 

Sinceramente, l’ipotesi di un senso dell’onore ad intermittenza (rispetto al momento in cui si impartisce l’ordine ed a quello in cui si gestisce il personale) è poco plausibile.

 

Non è appagante, nemmeno, il rimedio offerto dall’ordinamento speciale al militare che si trovasse nelle circostanze sopra descritte: “Il militare al quale è impartito un ordine … la cui esecuzione costituisce manifestatamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine ed informare al più presto i superiori” (art. 729, comma 2, D.P.R. 90/2010); piuttosto che rivolgersi ad un sindacato esterno ed imparziale. (E’ come imporre a Cappuccetto Rosso di rivolgersi ad un altro lupo più saggio e più canuto, piuttosto che al cacciatore. - Il personaggio della favola avrebbe continuato a vivere felice e contento?). Il rimedio offerto dall’ordinamento speciale può essere efficace o meno, in ragione dalla posizione che occupa l’anello della catena gerarchica che “smarrisce il senso dell’onore”. Se, per ipotesi, un finanziere, prima che scoppiasse lo scandalo dei petroli, si fosse recato presso i massimi vertici della G. di F. per informarli circa alcuni suoi sospetti, quel finanziere, probabilmente, da quel momento, avrebbe corso il rischio di iniziare a vivere “infelice e scontento” all’interno del Corpo.

 

Un’obbedienza, resa assoluta da una discrezionalità  sconfinata e da una disciplina svincolata dal principio di legalità , certamente, non rappresenta un problema per il poliziotto-militare. Quest’ultimo, infatti, quando riceverà  un qualsiasi ordine, sarà  indotto (dalle norme dell’Ordinamento speciale) a fare sempre la cosa giusta per tutelare se stesso, il suo posto di lavoro, la sua carriera e la sua serenità ; ponendo su di un piano teorico le regole dell’ordinamento statuale e su di un piano pratico le richieste provenienti dall’ordinamento speciale e derogatorio.

 

Giunti a questo punto, ci si chiede: Una polizia militare, separata dallo Stato e posta al di fuori della sua logica, può garantire il libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato?

 

La democrazia è esente da rischi e minacce? La risposta è semplice ed, allo stesso tempo, complessa. Poichà© l’ordinamento dei Corpi militari si basa sulla presunzione della sussistenza del senso dell’onore all’interno della gerarchia, si ritiene che lo Stato democratico sia esente da rischi e minacce fino a quando sarà  verificata quella presunzione, cioè fino a prova contraria.  Nel momento in cui dovesse venire a mancare il senso dell’onore, non si possono escludere rischi e minacce, che saranno tanto più gravi quanto più di vertice è la posizione di chi tradisce.

Il tradimento, a causa dell’enorme discrezionalità  detenuta dalla gerarchia, provoca un pericoloso effetto domino verso il basso, una specie di “corto circuito”.

 

Si consideri che i 180 mila poliziotti militari, oltre a detenere il monopolio della forza armata, detengono enormi poteri investigativi, possono accedere a dati sensibili, hanno poteri di indirizzo delle indagini e strumenti sofisticati per condurle. Nel corso di tali indagini, che, ultimamente, sempre più spesso riguardano anche esponenti del mondo della politica e dell’imprenditoria, i poliziotti militari hanno il compito di individuare e seguire le piste che portano alla verità  dei fatti, allo scopo di ridurre al minimo lo scarto tra verità  storiche e verità  processuali.

 

Il fatto che le forze di polizia militari siano totalmente in grado di intendere e limitatamente in grado di volere, a causa della sconfinata discrezionalità  esercitata su di esse dall’autorità  amministrativa (governativa), ha una qualche incidenza sullo scarto tra le verità  storiche e quelle processuali?

 

Si considerino i casi in cui l’obbedienza militare entri in conflitto con le norme statuali, per esempio con la tutela del segreto istruttorio. In questo caso, quale ordinamento prevale, quello statuale informato ai principi costituzionali oppure quello speciale che deroga ad essi e pretende di imporsi sul primo in virtù di una pretesa supremazia speciale? Bel dilemma!

 

Il mito dell’apoliticità  delle forze di polizia - come è stato tradizionalmente impostato - appare una semplice illusione e nasconde delle chiare scelte politiche che si sostanziano nella necessità  di subordinare la polizia militare, non tanto alla difesa dei valori costituzionali, quanto piuttosto alle esigenze perseguite, attraverso l’apparato esecutivo, dai gruppi più forti presenti nella realtà  civile e sociale del Paese. 

 

La tutela della coesione della compagine militare deve avvenire all’interno dei principi di garanzia stabiliti dalla Costituzione e non al di fuori di questi. Altrimenti la disciplina, da semplice strumento di salvaguardia degli interessi dello Stato, diventa essa stessa un valore da difendere, cioè diventa il fine, rischiando, così, di compromettere proprio quegli interessi dello Stato che bisogna difendere. A tal proposito, si consideri che nel regolamento di disciplina militare entrato in vigore l’1 gennaio 1860 (approvato con R.D. 30 ottobre 1859), per la prima volta nella storia dei regolamenti militari, viene inserita una premessa introduttiva. In essa si afferma che l’esercito viene istituito prima per “per sorreggere il trono” che per “tutelare le leggi e le istituzioni nazionali” (una copia dell’edizione originale è reperibile presso la biblioteca dell’istituto geografico militare di Firenze).

 

Probabilmente, molti dei tentativi di limitare, in tempo di pace, i diritti costituzionali dei militari, in nome della tutela della compagine interna, dell’efficienza e dell’apoliticità  delle Forze Armate e di polizia, sono poco sinceri ed, a volte, ispirati a secondi fini.

 

E’ innegabile che la vita militare ed il particolare addestramento, in cui viene esaltato il coraggio e l’omor di Patria, sviluppino effettivamente tutte quelle virtù (onestà , lealtà , rettitudine, fedeltà , giustizia, imparzialità ), altrimenti definite “senso dell’onore”; tali virtù, però, vanno custodite con delle leggi ad hoc che rafforzino la volontà  di chi le detiene, altrimenti rischiano di frantumarsi sotto l’incidenza di un potere politico sempre più intrusivo, che seduce e si lascia sedurre.

 

I militari sono anche uomini con tutte le loro debolezze umane. Con il giuramento certamente si impegnano; ma dal giuramento non ricevono alcun supplemento di purezza. Si impone, pertanto, un esame di coscienza ed un ripensamento dell’intero Ordinamento militare. E’ necessario distinguere il tempo di guerra, in cui si fronteggiano due eserciti appartenenti a due distinte Nazioni, dal tempo di pace in cui a fronteggiarsi, spesso, sono diverse correnti politiche, che appartengono alla stessa Nazione.



CLETO IAFRATE

Direttivo nazionale Ficiesse

c.iafrate@ficiesse.it


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