IL DOCUMENTO DI LUCA BARTALONI (COBAR VAL D'AOSTA): ORA BISOGNA PUNTARE SUL DIRITTO DI ASSOCIAZIONE GARANTITO DALLA CARTA DEI DIRITTI ANNESSA AL TRATTATO DI LISBONA

venerdì 28 ottobre 2011


Quali prospettive per la Rappresentanza Militare

Nell’accingerci a riunirci nuovamente in sede plenaria per discutere di rappresentanza militare, crediamo sia opportuno porsi queste domande:
La rappresentanza militare è un efficace strumento di tutela del personale rappresentato?
Il modello sindacale o parasindacale (POLSTATO, PolPen, CFS) può essere uno strumento migliore?
Quali altre prospettive?
Le conclusioni della precedente assise de L’Aquila sono superate od ancora valide?
Quali sono gli strumenti concreti, una volta scelta la direzione da seguire, per realizzare concretamente gli obiettivi dati?
La prima domanda appare essere quella più facile alla quale rispondere: infatti è sotto l’occhio di chiunque voglia guardare, quanto tale strumento appaia oggi obsoleto e drasticamente inutile a rappresentare le istanze della base. Certo, qualche piccolo risultato intermedio è stato a volte ottenuto, ma si è sempre trattato di obiettivi di basso livello. Basti pensare alla grottesca vicenda del c.d. premio antievasione: se da un lato è stato un successo ottenerne l’erogazione anche al personale del Corpo, le modalità  di erogazione, i tempi lunghissimi e le difficoltà  giuridiche e procedurali riscontrate sono state sotto gli occhi di tutti e questo semplicemente perchà© … non si ha la contrattazione di secondo livello ed anzi è tabù anche il solo utilizzo della parola “contrattazione”.

L’altro esempio sperimentato in ambito “polizia” (inteso come nome comune) è senz’altro quello della Polstato, ovvero quello della polizia penitenziaria e cioè una sindacalizzazione limitata, in cui è soprattutto il diritto di sciopero a non essere garantito, a fronte di un’ampia libertà  di scelta di sigle e di rappresentanti. E’ certamente un modello più avanzato rispetto al precedente e dà  certamente una migliore tutela (nell’esempio di cui sopra, l’erogazione del premio antievasione avrebbe avuto iter certamente più semplice, consentendone anche l’erogazione in contanti). Tuttavia è indubbio che anche tale modello appaia in difficoltà  e sconti il fatto di essere un modello di tutela del dipendente che affonda le proprie radici nell’ ‘800 e nel modello delle “trade unions” inglesi: oggi il mondo è certamente più complesso, l’identificazione del “datore di lavoro” non è sempre così evidente ed inoltre gli interessi tra il “datore di lavoro” formale ed il dipendente, non sono sempre e necessariamente contrapposti, come nel vecchio modello ottocentesco di “padrone” (dei mezzi di produzione) e dipendente ed addirittura lo stesso concetto di dipendente è spesso molto più sfocato. Nel caso delle forze di polizia, in particolare, il difetto maggiore della sindacalizzazione è certamente quello di uno spezzettamento in sigle tra loro in competizione, che ha causato un sicuro indebolimento dello strumento di tutela. Ora si dirà : “è la democrazia, bellezza”, ma certamente, come la stessa scienza economica c’insegna, laddove più soggetti competono (invece di cooperare) vi è qualche altro soggetto esterno che ne trae giovamento e se nel caso delle imprese commerciali ne trae giovamento il cliente, provate ad indovinare chi possa essere il “terzo” a trarre vantaggio dalla competizione tra le varie sigle sindacali (il personale rappresentato o il c.d. “datore di lavoro”?).

Premesso tutto ciò, non resta che l’ovvia domanda su quale modello alternativo proporre. Ovviamente non ci sono risposte sicuramente “giuste” ed ogni proposta dovrebbe poi passare al vaglio del concreto esperimento sociale, ossia si dovrebbe poterla provare in pratica e verificare se e come funziona e quanto si avvicina la pratica al modello teorico. E’ del tutto evidente che non è possibile provare i diversi modelli e scegliere il migliore dalla pratica, in quanto il processo di legislazione non lo consentirebbe.
Certamente questo dovrebbe essere l’oggetto della discussione della plenaria prossima futura. Per quanto ci consta, oltre ai modelli suddetti (vecchia rappresentanza, modello Polstato e modello PolPen o CFS) recentemente è nata l’ulteriore proposta di una riforma della rappresentanza con maggiori poteri, tra i quali quello della contrattazione e certamente l’assoluta pari dignità  in sede di contrattazione periodica, tra le varie componenti del comparto sicurezza; il tutto unito o meno alla libertà  di associazione professionale per il singolo (peraltro previsto dalla Carta dei Diritti Fondamentali del Cittadino del’Unione Europea, annessa al trattato di Lisbona e dichiarata in molteplici occasioni assolutamente vincolante dalla Giurisprudenza di merito).
In questo quadro, le conclusioni dell’ Assise de L’Aquila appaiono certamente superate, nel senso che appare opportuno andare oltre (il Trattato di Lisbona, ad esempio, non era ancora in vigore) ed inoltre appare anche opportuno stabilire con chiarezza se sia ancora utile che le FF.PP. e le FF.AA. facciano parte del medesimo comparto (sicurezza/difesa) o se invece non sia meglio la loro drastica separazione, tenuto conto delle assolutamente diverse funzioni tra le FF.AA. ed i Corpi di polizia (in quasi tutte le società  moderne addirittura poste in antagonismo tra loro, a tutela della democrazia stessa). Infatti è nell’evidenza stessa delle cose, quanto le funzioni di polizia (conservative dello “status quo”) siano antitetiche a quelle proprie delle FF.AA. (distruttive dello “status quo” sul teatro delle operazioni) e come tutto ciò appaia ancora più evidente oggi, in quanto siamo passati dall’esercito di leva (con le sue ipocrisie sulla esclusiva “difesa del suolo della Patria”) ad un esercito professionale, proiettato all’esterno dei confini nazionali, con evidenti funzioni di tutela degli interessi nazionali, più che di difesa dell’integrità  territoriale della Nazione. Ma, quanto alla GDF in specifico, ci si dovrebbe pure chiedere se non sarebbe più opportuno “contrattualizzarla” all’interno del comparto Economia e Finanze, con l’occhio, quindi, rivolto alle agenzie fiscali, piuttosto che all’interno del comparto sicurezza, facente riferimento al Ministero dell’Interno o, peggio ancora, riferirci alle FF.AA. ed al relativo Ministero della Difesa. Riteniamo che affrontare anche questi ulteriori argomenti, rappresenterebbe un doveroso passo in avanti, rispetto al punto di partenza, importante ma con obbiettivi minimi, che ci siamo dati a l’Aquila all’inizio di questo mandato rappresentativo.
Passiamo, infine, all’aspetto più spinoso di tutti: quali concrete prospettive? E’ evidente che una riforma della rappresentanza nel senso che ci siamo prospettati in GdF (pur con i vari “distinguo”) avrebbe bisogno di un forte appoggio da parte della politica e della c.d. “società  civile” e purtroppo non sembrano esserci nà© l’uno, nà© l’altro. Che fare allora? Ovviamente una riconferma di compattezza anche in questa seconda plenaria rappresenterebbe una voce forte, ma anche ora (come del resto allora) siamo di fronte ad un governo debole, in scadenza e con altri e ben più gravi problemi ai quali pensare. In una simile situazione c’è da aspettarsi solo dei “colpi di coda” che difficilmente potranno rappresentare meditati e ponderati passi in avanti. Resterà , forse, l’opzione giudiziaria se qualche coraggioso adirà  al Giudice di merito per chiedere l’applicazione dell’ art. 12 della Carta dei Diritti annessa al trattato di Lisbona, che riconosce a tutti gli individui (ed i militari certamente sono anch’essi individui) il diritto “(…) alla libertà  di riunione pacifica e alla libertà  di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi (…)” [cifr. Art. 12 della carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea]; diritto che appare cozzare apertamente con il divieto previsto dall’ art. 1475 del Codice dell’Ordinamento Militare (dlgs. 66/2010). A fortiori si evidenzia come la cogenza della suddetta Carta dei Diritti sia stata in più occasioni affermata e ribadita dalla più recente Giurisprudenza (cit., tra le tante, sent. CdS, sez. IV, n° 1220/2010; ovvero sent. TAR Lazio n° 11984/2010). Quindi, per concludere, qualunque modello di rappresentanza del personale delle FF.PP. si voglia proporre, certamente il limite che riteniamo invalicabile è rappresentato dalla “(…)libertà  di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico (…)” che deve essere riconosciuta anche agli individui che lavorano alle dipendenze del Corpo della Guardia di Finanza.

M.A. Luca Bartaloni
CoBaR Valle d'Aosta

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