CONVEGNO FICIESSE DI POMEZIA, SINTESI INTERVENTI TAVERNA E TISCI: SENZA PREVIDENZA COMPLEMENTARE E RIVISITAZIONE DEI TRATTAMENTI PENSIONISTICI, PENSIONI DA INDIGENTI PER FORZE DI POLIZIA E FORZE ARMATE

martedì 22 novembre 2011

Di seguito, la sintesi degli interventi di Eliseo Taverna e Daniele Tisci al convegno Ficiesse che si è tenuto a Pomezia (RM) il 4 novembre 2011.
 
 
 
CONVEGNO DELLE SEZIONI FICIESSE DI PRATICA DI MARE, ROMA CENTRO E ROMA ANAGNINA DEL 4 NOVEMBRE 2011 A POMEZIA DAL TITOLO: “FINANZIERI E POLIZIOTTI A MEZZA PENSIONE?”
 
SINTESI DEGLI INTERVENTI
DI ELISEO TAVERNA E DANIELE TISCI
 
 
“L’attuale crisi economica, che inevitabilmente impone misure strutturali, unita al rischio che nel giro di qualche decennio imploda il sistema previdenziale italiano, potrebbe indurre il legislatore ad armonizzare e rivisitare l’intero sistema pensionistico. Una scelta, però, che dovrà  necessariamente salvaguardare la specificità  del lavoro svolto dal personale del comparto sicurezza-difesa”.
 
La riforma Amato prima, (decreto legislativo n. 503 del 30.12.92) e quella Dini poi, (legge 335 del 08.08.1995) se da un lato hanno doverosamente posto un freno ad un sistema pensionistico da tutti definito "molto generoso" e forse unico al mondo, dall’altro hanno determinato un nuovo scenario previdenziale non certo idilliaco. I correttivi insiti nella legge Dini, infatti, con il ricorso a forme pensionistiche integrative - i cosiddetti Fondi Pensione Nazionali - sono stati varati, nel tempo, solo per alcuni settori e con medio successo. I primi nel settore privato, chimico (Fondo Fonchim), metalmeccanico (Fondo Cometa)  e successivamente nel settore pubblico della scuola (Fondo Espero), lasciando fuori, tra gli altri, un importante segmento dello Stato, il comparto difesa e sicurezza.
 
Questa scelta ha provocato, nel tempo, un forte allarme sociale tra i lavoratori appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate, poichà© all’atto del pensionamento si vedranno decurtate drasticamente le loro pensioni, fino al punto da ridurle a livelli inaccettabili e tali non consentire loro di mantenere lo stesso livello di vita di quando erano in servizio.
 
Gli elementi negativi insiti nei provvedimenti normativi citati, infatti, hanno provocato un decremento dell’importo delle prestazioni pensionistiche tanto più accentuato quanto minore à© l’anzianità  di servizio del personale interessato alla data convenzionale del 31.12.95. Con l’introduzione del sistema di calcolo su base contributiva, le maggiori penalizzazioni ricadranno sul personale assunto dal 1° gennaio 96. Secondo recenti stime, à© stato calcolato che la perdita "secca" - in termini nominali - gravante su tale personale all’atto del collocamento in quiescenza, con la massima anzianità , rispetto a coloro che si vedevano conteggiata la pensione con il vecchio sistema retributivo à© rilevante: i primi riceveranno non oltre il 50/55 % dell’ultima mensilità  contro l’80% della mensilità  media degli ultimi cinque anni riservata al secondo gruppo di pensionati.
 
I fondi pensione, secondo l’attuale normativa, vengono alimentati mediante il TFR che maturerà  il lavoratore, il versamento di contributi volontari a carico dello stesso ed il versamento di contributi da parte del datore di lavoro (di norma in pari misura a quelli versati dal dipendente, qualora previsto dal C.C.N.L. del settore). Aderendo per circa 25/30 anni ad un fondo pensione chiuso, di categoria (questo tipo generalmente fa degli investimenti più prudenziali), al quale versare circa il 10% della retribuzione lorda annua (tutto il Tfr annuo maturando, che à© pari a circa il 6,91% più il 3-4% di contribuzione volontaria ripartita pariteticamente tra il lavoratore ed il datore di lavoro) si stima che la possibilità  d’integrazione del trattamento pensionistico sia pari a circa il 20% dell’ultimo stipendio.
 
Tra luci ed ombre quindi, à© partita dal 1° gennaio 2007 anche la previdenza complementare per i dipendenti di altri settori pubblici, Sanità  ed Enti locali, (Fondo Perseo), mentre viene ancora rinviato alle calende greche l’avvio del secondo pilastro della previdenza per gli operatori della sicurezza e della difesa e per i dipendenti di altri settori strategici dello Stato e del parastato.
 
Tale inadempienza, che non può certo essere fatta risalire ai lavoratori appare, ad oggi, insanabile per il passato, poichà© non sarà  più possibile attivare i fondi della specie in modo retroattivo.
 
Le Sezioni Co.Ce.R. X mandato e le OO.SS. delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, consci della serietà  della problematica, alcuni anni fa chiesero al Governo di posticipare, per gli appartenenti alle FF.PP. ed alle FF.AA., il termine di avvio del sistema di calcolo contributivo di cui all’articolo 1, comma 12, lettera a) della legge 08.08.1995, n. 335, al 31 Dicembre dell’anno in cui avverrà  l’effettivo avvio della previdenza complementare. Un’iniziativa tecnicamente e giuridicamente possibile, attesa anche la condivisione di alcuni Ministri, ma che si rivelò di improbabile attuazione, non appena venne esaminata dal Ministero dell’Economia. La difficoltà  da parte della classe politica, nel sostenere una tale iniziativa legislativa, fu del tutto evidente, in quanto si sarebbe creata una nicchia di dipendenti privilegiati rispetto a tutti gli altri lavoratori. Il particolare “status d’impiego” che caratterizza il rapporto di lavoro del personale appartenente al comparto difesa e sicurezza però, avrebbe potuto giustificare questo differente trattamento. 
 
La sperequazione sociale ed il nocumento economico, pertanto, derivante dal mancato avvio del "secondo pilastro previdenziale”, ormai da più di sedici anni, sono enormi.
 
E’ del tutto evidente che la scelta di optare per un fondo pensione deriva esclusivamente dall’aspettativa di incassare rendimenti superiori a quelli garantiti dal TFR e guadagnarsi un tenore di vita migliore al termine del ciclo lavorativo.
 
Se questo vantaggio non si concretizzerà , si verificherà  una redistribuzione del reddito a scapito dei pensionati ed a favore dell’industria finanziaria che si troverà  a dover gestire il futuro di milioni di lavoratori. All’atto dell’erogazione della previdenza complementare à© stato imposto l’obbligo di non poter elargire più del 50% del Tfr, convertito in fondo pensione, mentre la differenza sarà  data sotto forma di rendita vitalizia. 
 
Fondi pensioni e lavoratori, dunque, nelle mani dell’industria finanziaria, il cui unico vincolo à© quello di fornire un rendimento minimo, mediamente del 2-3% (quanto l’inflazione attesa). Infatti, i fondi pensione investono sui mercati finanziari e, quindi, il loro rendimento non à© garantito (i fondi pensione sono considerati a contribuzione definita e non a prestazione definita; cioè, si ha la certezza di quello che si versa, ma non quella di ciò che si guadagnerà ). 
 
Peraltro, la difficoltà  di garantire un sistema concorrenziale e gli interessi dell’industria finanziaria (banche ed assicurazioni) sono in conflitto con le aspettative di un miglior tenore di vita per tutti i pensionati del futuro.
 
Alcune statistiche dimostrano, però, che i lavoratori italiani sono particolarmente dediti a ricorrere al credito al consumo (nel 2006 sono stati erogati prestiti per 13,5 miliardi di euro) facendo registrare un aumento del 24,8% rispetto al 2005. Ricorso al credito, quindi, anche per poter pagare le vacanze, comperare i libri scolastici per i propri figli o per ripianare posizioni debitorie accumulate nel corso degli anni.
 
Questo elemento, denota chiaramente la difficoltà  delle famiglie italiane, appartenenti al ceto medio e medio basso, a far fronte alle esigenze di tutti i giorni. Lipotesi, quindi, che i lavoratori di oggi utilizzino i loro risparmi (che tra l’altro si sono ridotti in maniera sensibile negli ultimi anni) per investire con contribuzioni volontarie nei fondi pensione al fine di cercare di mantenere un tenore di vita adeguato dall’atto del pensionamento, potrebbe apparire di difficile attuazione. La scelta, però, a detta degli esperti di previdenza sembra obbligata, se non si vuol correre il rischio di ritrovarsi, all’atto del pensionamento, a dover scivolare tra i ceti sociali meno abbienti.
 
L’attuale crisi economica, che inevitabilmente impone misure strutturali, unita al rischio che nel giro di qualche decennio imploda il sistema previdenziale italiano, potrebbe indurre il legislatore ad armonizzare e rivisitare l’intero sistema pensionistico.
 
L’apparato della previdenza pubblica, infatti, rischia di implodere a causa di un fenomeno demografico difficilmente contrastabile: il basso tasso di natalità , la disoccupazione diffusa e l’aumento della speranza di vita connesse alle regole di accesso per il diritto al trattamento pensionistico, ritenute tuttora generose rispetto agli altri paesi europei.
 
Accade, in pratica, che i più giovani pagano le pensioni ai più vecchi.
 
Fattore che mette a nudo il nocciolo del problema. Ovvero, chi finanzierà  le pensioni dei più "vecchi" se le fila dei lavoratori si assottigliano sempre di più?
Le potenziali modifiche che purtroppo, ormai da troppo tempo rimbombano da più parti, ipotizzano di rivedere i criteri di accesso al sistema pensionistico al fine di:
 
  • prevedere l’estensione del contributo pro-rata per tutti, anche per coloro che al 31.12.2005, data convenzionale individuata dalla riforma Dini, avevano più di diciotto anni di contributi. Questi lavoratori, a suo tempo, furono salvaguardati e, con i criteri attuali, andranno in pensione con il sistema retributivo, calcolato sugli ultimi stipendi percepiti, (di gran lunga più vantaggioso rispetto a quello contributivo), com’è noto calcolato in base alla totalità  dei versamenti dei contributi effettuati nell’arco di tutta l’attività  lavorativa;
 
  • superare il sistema delle quote ancorando il diritto a pensione ad un doppio requisito: raggiungimento dell’anzianità  contributiva (40 anni di contributi) e compimento del sessantesimo anno d’età , in modo tale da raggiungere la quota convenzionale pari a 100;
 
  • aumento progressivo dell’età  anagrafica utile per accedere al trattamento pensionistico in modo tale da abolire, nel giro di pochi anni, la possibilità  di accedere al trattamento pensionistico per “anzianità ”.
 
Appare inevitabile, pertanto, intraprendere con solerzia, tutte le iniziative per salvaguardare la specificità  del lavoro svolto dal personale del comparto sicurezza-difesa, così come il legislatore dovrà  tener conto delle condizioni di lavoro di tutti quei lavoratori che fin da giovani si sono inseriti nel mondo del lavoro, nonchà© di coloro che svolgono mansioni particolarmente usuranti e gravose. Categorie, che per il peculiare lavoro svolto, non potranno certamente sopportare un drastico stravolgimento delle regole pensionistiche attuali. Una particolare salvaguardia, tendenzialmente, è stata sempre attuata per il comparto sicurezza-difesa in occasione di tutte le riforme del sistema pensionistico italiano, attuate nel tempo. Anche se ad onor del vero, va precisato che questo principio è stato per la prima volta disconosciuto in occasione del varo della manovra finanziaria D.L. 78/2010 convertito con modificazioni dalla L. 122/2010 e delle successive manovre con la quali, tra le altre misure fortemente penalizzanti, sono state inserite le finestre mobili, l’incremento di un anno per il diritto a pensione, il differimento e la rateizzazione del TFS, nonchà© la rivisitazione del metodo di calcolo del Trattamento di Fine Servizio che, con un’abile alchimia, è stato equiparato a quello utilizzato per il Trattamento di Fine Rapporto. Ovviamente, molto meno vantaggioso.
 
La sfida titanica, che attualmente ci attende e dalla quale non possiamo permetterci di uscire perdenti, c’impone di contrastare con determinazione eventuali tentativi finalizzati all’armonizzazione dei trattamenti pensionistici.
In pratica, regole uguali per tutti a prescindere dal lavoro svolto.  
 
 
ELISEO TAVERNA
Delegato Co.Ce.R. G.di F.
Segretario Nazionale
Organizzazione Civica Ficiesse
 
DANIELE TISCI
Delegato Co.Ce.R. G.diF.
Componente del Direttivo Nazionale
Organizzazione Civica Ficiesse

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