IL MILITARE E LA POLITICA: SCELTA D'AMORE O MATRIMONIO COMBINATO? (PARTE SECONDA) - di Cleto Iafrate

giovedì 01 marzo 2012

IL MILITARE E LA POLITICA: SCELTA D’AMORE O MATRIMONIO COMBINATO? (PARTE SECONDA) – di Cleto Iafrate

(segue dalla pagina
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5. Il carattere educativo della disciplina militare

 

La gestione amministrativa dello strumento militare (il cosiddetto impiego e gestione del personale) prima che fossero istituiti gli Stati Maggiori era accentrata nelle strutture ministeriali ed era una prerogativa dell’autorità  politica; la quale realizzava efficacemente i suoi scopi attraverso lo strumento della disciplina militare.

La disciplina militare può essere definita il codice di comportamento del militare. In caso di violazione delle norme della disciplina, il militare incorre nelle sanzioni disciplinari.

Storicamente le sanzioni disciplinari, oltre ad avere la finalità  (retributiva) di repressione degli illeciti, avevano uno scopo, per così dire, educativo. All’interno di una concezione paternalistica della disciplina militare, il superiore utilizzava lo strumento disciplinare per correggere ed educare il sottoposto. Il primo regolamento di disciplina dell’Arma dei Carabinieri sembrerebbe sia stato scritto da un padre gesuita (probabilmente il fratello di Silvio Pellico) ed è stato definito una sorta di "catechismo dei buoni sentimenti”. A tal proposito, si consideri che il regolamento di disciplina del 1964 (abrogato nel 1978) comprendeva delle norme che imponevano al militare “di non contrarre debiti” e  “di avere cura nella scelta della propria sposa”. Ricordo una vignetta pubblicata tanti anni fa da un giornale specializzato: due s’incontrano, uno dice all’altro: “come mai i militari detengono il primato dei matrimoni falliti?” L’altro risponde: “semplice, loro la moglie mica la scelgono, la propongono”. Scherzi a parte, quel primato, effettivamente detenuto, è riconducibile, a mio avviso, ad una normativa sulla mobilità  dei militari (in particolare degli ufficiali) dai profili di dubbia costituzionalità , che provoca tanta sofferenza all’interno delle famiglie.

La disciplina militare ha subito nel corso della storia profonde innovazioni, l’ultima nel 1978 con il varo della Legge di Principio sulla disciplina militare (L. 382/78). Tale legge - fortemente voluta da Sandro Pertini, eletto Presidente poco prima della sua entrata in vigore - innovò profondamente il concetto di obbedienza militare, stabilendo, per la prima volta, che l’obbedienza del militare dovesse essere non  più “assoluta” ma “leale e consapevole”. La legge di principio, però, rimandava a un Regolamento, da emanare entro i successivi sei mesi, che avrebbe dovuto recepire quei principi e disciplinarne solamente gli aspetti di dettaglio.

Il Regolamento attuativo giunse ben 8 anni più tardi (DPR 545/86), cioè giunse l’anno successivo alla scadenza del mandato del Presidente-partigiano. Il Regolamento, a parere dello scrivente, scardinò i principi consacrati nella legge 382/78 in tema di obbedienza del militare.

Lo fece, però, in maniera indiretta attraverso la regolamentazione degli aspetti attuativi delle sanzioni di Corpo e dell’istituto della rappresentanza militare. La rappresentanza militare ne uscì sterilizzata a causa della gerarchizzazione degli organismi di rappresentanza e della limitazione dei loro poteri (per un approfondimento sulla rappresentanza militare, si veda “Diritti dei militari: sillogismi entimematici ed inaccettabili separatezze”).

D'altronde, quando si vuole eliminare un pesce dall’acquario, lo si può fare in due modi: o togliendogli l’acqua, oppure inquinandogliela; poichà© l’acqua non si poteva eliminare perchà© voluta dal Parlamento, allora è stata inquinata. Per dirla con una frase ad effetto: “Un concetto è proclamare un diritto, altro è goderne. Problema urgente non è il fondamento, ma sono le garanzie” (De Tilla Maurizio).

Vediamo in che modo è stata inquinata “l’acqua” dell’obbedienza leale e consapevole.

Le sanzioni militari si distinguono in sanzioni di Stato e sanzioni di Corpo.

Le sanzioni di Stato non si differenziano, sostanzialmente, dalle corrispondenti sanzioni previste nel campo del pubblico impiego.

Le sanzioni di Corpo, invece, sono tipicamente militari e la podestà  punitiva è attribuita, esclusivamente, ai superiori gerarchici. Esse consistono nel richiamo, nel rimprovero, nella consegna semplice e nella consegna di rigore.

La sanzione della consegna semplice consiste nel privare il militare della libera uscita fino ad un periodo massimo di sette giorni consecutivi (art. 1358, comma 4, D. Lgs. 66/2010).

E’ evidente che la violazione del precetto ha conseguenze che intaccano i diritti soggettivi di tutti i militari che fruiscono della libera uscita (identificati dall’art. 741 del DPR 90/2010).  Per essi la sanzione si ritiene penalmente rilevante, poichà© l’afflittività  della stessa (pena) è tale da ricomprendere il precetto violato tra le infrazioni aventi connotazioni penali. Ciò in quanto non è certo facile dimostrare che l’atteggiamento psicologico e lo stato d’animo del militare consegnato (privato della libera uscita) siano molto diversi da quelli di qualsiasi altro detenuto comune posto agli arresti domiciliari per essersi reso colpevole di reati ben più gravi.

La legge, nel prevedere la sanzione di Corpo della consegna semplice, però, non tipizza gli specifici comportamenti a causa dei quali la sanzione può essere inflitta.

Il legislatore, cioè, ha tipizzato i tipi di sanzione, ma ha omesso di tipizzare le violazioni che le stesse censurano.

Il tenore dell’art. 1352 del D.Lgs. 66/2010 appare estremamente generico, potendosi riferire a tutte le mancanze previste dal codice di disciplina: la norma, infatti, afferma che “costituisce illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all'emanazione di un ordine. La violazione  dei doveri indicati nel comma 1 comporta sanzioni disciplinari di stato o sanzioni disciplinari di corpo”.

Non c’è dubbio che la scelta della locuzione linguistica “violazione dei doveri” si presta, a causa della sua indeterminatezza, alle più disparate elusioni dei fondamentali diritti del militare.

Per avere un’idea circa la genericità  della norma, si consideri che tra i doveri del militare v’è anche quello di avere cura particolare dell'uniforme e indossarla con decoro” (Art. 720 comma 4 del DPR 15 marzo 2010, n. 90 - Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare); di curare il suo aspetto esteriore, che “deve essere decoroso come richiede la dignità  della sua condizione” (art. 721 del DPR citato); di “tenere in ogni circostanza condotta esemplare”; di “improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza”; di “astenersi dal compiere  azioni  e  dal  pronunciare  imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità  e al decoro” (art. 732). Le norme di tratto prevedono che “la correttezza nel tratto costituisce preciso dovere del militare” (Art. 733). Le norme denominate “senso dell'ordine” impongono al militare di “compiere ogni operazione con le prescritte modalità , assegnare un posto per ogni  oggetto,  tenere  ogni  cosa  nel  luogo stabilito” (Art. 734).

E’ a tutti evidente che chiunque può violare una norma di tratto o del senso dell’ordine, se il superiore lo decide.

La consegna di rigore, con cui è stato punito il protagonista del fatto, invece, si realizza con l’obbligare il militare a restare, per un determinato periodo non superiore a quindici giorni, in un apposito spazio della caserma.

Il legislatore regolamentare ha provato a tipizzare ben 55 precetti la cui violazione è punita con la sanzione della consegna di rigore (art. 751 DPR 90/2010 - già  allegato C al RDM). Alcune delle prescrizioni, però, eludono l’esigenza di specificità  e tassatività  richiesta dalla legge, descrivendo condotte del tutto generiche, mediante l’uso di forme elastiche ed onnicomprensive. Si consideri che viene contemplata tra le ipotesi di reato punibile con la consegna degli arresti di rigore un non meglio specificato “comportamento gravemente lesivo del prestigio o della reputazione del corpo di appartenenza” (punto 17). Ci si chiede, quali sono tali comportamenti? Tutto è lasciato alla “valutazione” delle autorità  militari.

Ma qual è la linea di demarcazione tra autorità  militari ed autorità  politiche?

Sono ipotizzabili reciproche interferenze?

Stante la connotazione penale della consegna semplice e di rigore, ritengo che esse, oltre a violare il principio di legalità  e di tassatività  degli illeciti, contrastino con l’art. 13 (libertà  personale) e con l’art. 16 (libertà  di circolazione) della nostra Carta costituzionale. Tali vulnus costituzionali si ripercuotono negativamente sul principio d’imparzialità  e buon andamento di così delicati e vitali apparati della pubblica amministrazione.

Sembrerebbe che le norme che prevedono le infrazioni punibili con le sanzioni degli arresti semplici e di rigore si atteggino come un contenitore all’interno del quale ci può rientrare di tutto; ma proprio tutto.

Stando così le cose, il militare non è posto in grado di conoscere preventivamente i comportamenti punibili con la sanzione della consegna. All'Amministrazione, invece, è attribuita la più ampia discrezionalità  nello stabilire in relazione a quali illeciti infliggere le sanzioni.

A ciò si aggiunga che la finalità  “retributiva” sia delle sanzioni che delle speculari concessioni premiali (elogi, encomi e giudizi annuali caratteristici) è solo tendenziale (un’idea guida per l’autorità  titolare della potestà ); nel senso che non v’è un obbligo assoluto di “retribuire” ogni mancanza disciplinare con la stessa sanzione. L’autorità  esercita un potere discrezionale che può portare a valutazioni che non conducono, necessariamente, alla stessa decisione (sanzione) se ritenuta inopportuna o sconveniente per quella circostanza o per quel manchevole. Mi spiego. Se due militari compiono entrambi una medesima azione, censurabile o lodevole, l’uno può venir, legittimamente, sanzionato o premiato e l’altro no. Ciò è ammissibile in quanto alla base dell’ordinamento militare v’è la regola dell’onore (di cui parlerò in seguito).

Si comprende quanto sia illusorio il mito dell’obbedienza consapevole, giacchà© l’ordinamento militare è munito di potenti anticorpi per immunizzare ogni infedeltà  alla volontà  del Capo. Cioè l’ordinamento è concepito per piegare l’inferiore alla volontà  del superiore, più che al disposto normativo, e per ricompensare chi è “servizievole”. Attraverso tali vulnus costituzionali ben si potrebbero insinuare dei pericolosi comportamenti discriminatori nei confronti dei sottoposti per motivi ideologici e/o politici.

Al fine di rendere l’idea circa la sconfinata discrezionalità  di cui dispone l’Amministrazione, riporto due casi veramente accaduti. Da fonte ANSA ed APCOM, datate 17 novembre 2010, si è appreso che un militare italiano, impegnato in Afghanistan, è stato sanzionato con sette giorni di consegna “per aver lasciato il suo posto branda in disordine”.

In data 06 giugno 2011, si è appreso (da fonte Grnet.it) che un sottufficiale è stato sanzionato disciplinarmente con la consegna “per aver intrattenuto un rapporto sessuale con la propria fidanzata”. Qualche giorno prima si era sottoposto a visita medica e l’ufficiale medico gli aveva prescritto una cura, nonchà© la raccomandazione di astenersi da “attività  traumatiche di qualsiasi genere”. Alla visita di controllo successiva, il militare avrebbe ammesso di aver avuto, durante la degenza, un rapporto sessuale con la fidanzata, perciò è stato punito.

Pare proprio che la sconfinata discrezionalità  dell’Amministrazione militare non si limiti solo ad accertare come sono ripiegate le lenzuola, ma, addirittura, pretenda di controllare anche cosa vi accade sotto!

La sanzione della consegna non ha una esclusiva rilevanza interna, come alcuni sostengono, è giusto il caso di ricordare che essa viene annotata nella documentazione personale; pertanto ha devastanti effetti sulla carriera del militare ed incide negativamente sull’assegnazione degli incarichi, sui trasferimenti, sull’esito dei concorsi interni, sulla concessione delle ricompense, sull’autorizzazione al NOS. La sanzione coinvolge anche la sfera personale del militare: ha effetti sulla sua autostima e sui suoi rapporti con gli altri militari.  Si tenga a mente, inoltre, che ai sensi dell’art. 751 punto 33) del DPR 90/2010 “l’inosservanza ripetuta delle norme attinenti all'aspetto esteriore o al corretto uso dell'uniforme” (articoli 720 e 721) sono valutate per la comminazione della consegna di rigore. Inoltre, tra le cause di cessazione dal servizio permanente, si annoverano “le gravi e reiterati mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di rigore (art. 12, 2° comma, lettera c L. 1168/1961)”. Pertanto,   nel caso si venga ripetutamente colti in flagranza di uniforme in disordine oppure di collo peloso (magari a causa di un livello di testosterone troppo alto), si rischia la risoluzione del rapporto di lavoro oltre che pesanti conseguenze sulla carriera.

Si ritiene, visto che in gioco vi sono dei diritti soggettivi, che debbano essere meglio tipizzate le infrazioni punibili con la sanzione della consegna.

A tal proposito, sono scarsamente condivisibili e destituite di ogni fondamento le osservazioni di chi, soprattutto in ambienti interni all’Amministrazione militare, ritiene che sia impossibile tipizzare tutto.

Basti solo considerare che esistono, perfino, delle leggi specifiche (ad hoc) che disciplinano la tipologia dei vini d.o.c., a presidio della loro qualità .

E’ vigente un regolamento europeo che tipizza, addirittura, le dimensioni dei cetrioli e vieta la commercializzazione in area euro di quelli troppo sviluppati (cfr. Regolamento dei cetrioli). Non si comprende per quale motivo in Italia si dovrebbero lasciare vaganti “cetrioli” di simili dimensioni? (Si ribadisce che la consegna, oltre ad incidere in modo devastante sulla carriera del militare, può determinare la sua cessazione dal servizio).

E’ a tutti evidente l’incommensurabilità  dei due interessi tutelati: cioè la protezione di beni alimentari e commerciali (cetrioli e vino) e la tutela di beni personali ed intrasmissibili (libertà  personale e tutela del posto di lavoro e della giusta retribuzione). I secondi esigono il rispetto della riserva assoluta di legge, del principio di legalità  e di tassatività  dell’illecito.


6. L’obbedienza militare


E’ evidente che una disciplina svincolata dal principio di legalità  provochi una mutazione genetica del concetto di obbedienza militare, che il legislatore ordinario vuole che sia  leale e consapevole”.  Il poliziotto-militare, infatti, qualora dovesse ricevere un ordine irregolare, sarà  indotto (dalle norme dell’Ordinamento speciale) a fare sempre la cosa giusta per tutelare se stesso, il suo posto di lavoro, la sua carriera e la sua serenità . Non rassicura e non convince il rimedio, basato sull’onore militare, che l’ordinamento (speciale) offre al sottoposto si trovi in tali circostanze. Il militare, nel caso riceva “un ordine … la cui esecuzione costituisce manifestatamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine ed informare al più presto i superiori” (art. 729, comma 2, D.P.R. 90/2010); piuttosto che rivolgersi ad un sindacato esterno ed imparziale. (E’ come dire a cappuccetto rosso di rivolgersi a un altro lupo più saggio e più canuto, piuttosto che al cacciatore. – Come potrebbe continuare a vivere felice e contenta?).

Mi spiego. Se, per ipotesi, un militare decidesse (oggi) di non eseguire un ordine costituente reato, che garanzie avrebbe il militare (domani) che quel superiore non lo sorprenda in flagranza di reato di “collo peloso” oppure di “branda in disordine”? Non lo valuti negativamente in occasione della redazione dei giudizi annuali caratteristici, compromettendo, così, la sua carriera? Non lo avvicendi nell’incarico, oppure non lo trasferisca, con una formula di stile? Sinceramente, l’ipotesi di un senso dell’onore ad intermittenza (rispetto al momento in cui si impartisce l’ordine ed a quello in cui si gestisce il personale) è poco plausibile.

Giunti a questo punto, ci si chiede: Una polizia militare, separata dallo Stato democratico e posta al di fuori della sua logica, può garantire il libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato?

Stante l’enorme discrezionalità  detenuta dalla gerarchia, la democrazia è esente da rischi e minacce?

Si consideri che i 350 mila militari, tra cui i 180 mila poliziotti militarmente organizzati, oltre a detenere il monopolio della forza armata, ddispongono di enormi poteri investigativi, possono accedere a dati sensibili e gestiscono strumenti d’indagine sofisticati. Hanno il potere di imprimere direzione e verso alle indagini che consentono di individuare le piste che portano alla verità  dei fatti, allo scopo di ridurre al minimo lo scarto tra verità  storiche e verità  processuali.

La sconfinata discrezionalità  esercitata dai quadri sulla polizia militarmente organizzata potrebbe avere una qualche incidenza su quello scarto?

Si pensi ai casi in cui l’obbedienza militare entra in conflitto con le norme statuali. In questo caso, quale ordinamento prevale, quello statuale informato ai principi costituzionali oppure quello speciale che deroga ad essi e pretende di imporsi sul primo in virtù di una pretesa supremazia speciale basata sulla regola dell’onore? Bel dilemma!

 

7. La regola dell’onore militare

 

L’ordinamento militare è riuscito fino ad oggi a rimanere impermeabile al principio di legalità  in virtù della regola dell’onore posta alla base di alcune essenziali norme regolamentari. E’ proprio la regola dell’onore a giustificare le deroghe ai principi costituzionali su cui è basato l’ordinamento statuale.

L’onore militare può definirsi una qualità  etico-psicologica, espressione di tutte quelle virtù caratteriali - quali onestà , lealtà , rettitudine, fedeltà , giustizia, imparzialità  - che procurano la stima altrui e che sono dal militare gelosamente detenute e custodite, nell’intimo convincimento della necessità  di mantenerle integre.

Le origini della regola dell’onore si perdono nella notte dei tempi e sono riconducibili al particolare significato che anticamente era attribuito al giuramento militare.

Il primo giuramento militare di cui si ha memoria, è raccontato da Tito Livio in un suo scritto, si tratta di un antico giuramento sannita, che risale al 293 avanti Cristo (per un approfondimento cfr. “Alle origini del giuramento militare”).

Ai tempi dell’impero romano il giuramento militare si chiamava sacramentum militiae, poichà© era il mezzo mediante il quale veniva creato, con il favore degli dei, un nuovo stato personale: lo status militis. Il giuramento aveva una funzione propriamente sacramentale. I milites romani, infatti, erano chiamati anche sacrati”. Essi, a seguito del rito sacro, ricevevano dagli dei un supplemento di forza, di coraggio e, soprattutto, di purezza.

Da quest’ atmosfera, ammantata di sacralità  e di rinnovata purezza ricevuta con il favore degli dei, trovò facile accoglienza la regola dell’onore militare, su cui si fonda il principio di supremazia speciale, che ancora oggi, anacronisticamente, sopravvive nelle norme regolamentari che derogano ai principi costituzionali, quali, per esempio, le sanzioni di corpo e la disciplina della rappresentanza militare.

In altre parole, il principio di supremazia speciale si fonda su un ragionamento molto semplice: “Poichà© io sono depositario di senso dell’onore, la mia volontà  costituisce principio di legalità  (all’interno del comparto militare); quindi posso decidere, di volta in volta, quali sono le infrazioni che danno luogo alle punizioni; posso decidere chi trasferire, chi punire e chi ricompensare. All’interno di questa “insula felix” il principio di legalità  non può e non deve approdare”.

Dalla regola dell’onore, per esempio, deriva anche la consuetudine secondo la quale nei rapporti epistolari tra ufficiali di grado elevato si antepone al nome il titolo di “N.H. il” (in cui N.H. non è il gruppo sanguigno ma l’abbreviazione di Nobil Homo). Non voglio essere frainteso, si tratta di una qualità  effettivamente meritata dalla maggior parte degli appartenenti alla categoria, ma non può essere la prerogativa di tutti gli appartenenti a quella categoria.

 

8. Considerazioni conclusive

 

Ritengo che i fatti descritti nel primo paragrafo costituiscano effettivamente una lesione del principio di estraneità  delle Forze armate dalle competizioni politiche. L’irrogazione della sanzione disciplinare ha fatto passare il messaggio secondo cui, per esercitare liberamente i propri diritti politici occorre appartenere ad una determinata formazione politica, poichà© altrimenti s’incorre in sanzioni disciplinari gravissime. In questo modo si ottiene il risultato di orientare le coscienze politiche dei propri sottoposti, costringendoli, con l’utilizzo dello strumento disciplinare, ad astenersi dall’aderire ad alcune formazioni politiche ovvero ad aderire ad una formazione piuttosto che ad un'altra.

Stando così le cose, il mito della necessità  di difendere l’apoliticità  e la coesione interna delle Forze armate e di polizia militarmente organizzate - com’è stato tradizionalmente impostato - appare una semplice illusione e nasconde delle chiare scelte politiche che si sostanziano nella necessità  di subordinare la polizia militare, non tanto alla difesa dei valori costituzionali, quanto piuttosto alle esigenze perseguite, attraverso l’apparato esecutivo, dai gruppi più forti presenti nella realtà  civile e sociale del Paese.

La tutela della coesione della compagine militare e della sua apoliticità  deve avvenire all’interno dei principi di garanzia stabiliti dalla Costituzione e non al di fuori di questi. Altrimenti la disciplina, da semplice strumento di salvaguardia degli interessi dello Stato, diventa essa stessa un valore da difendere, cioè diventa il fine, rischiando, così, di compromettere proprio quegli interessi dello Stato che bisogna difendere.

Probabilmente, molti dei tentativi di limitare, in tempo di pace, i diritti costituzionali dei militari, in nome della tutela della compagine interna, dell’efficienza e dell’apoliticità  delle Forze Armate e di polizia, sono poco sinceri e, a volte, ispirati a secondi fini.

E’ innegabile che la vita militare e il particolare addestramento che esalta il coraggio e l’amor di Patria sviluppino effettivamente tutte quelle virtù (onestà , lealtà , rettitudine, fedeltà , giustizia, imparzialità ), altrimenti definite “senso dell’onore; tali virtù, però, vanno custodite con delle leggi ad hoc che rafforzino la volontà  di chi le detiene, altrimenti rischiano di frantumarsi sotto l’incidenza di un potere politico sempre più intrusivo, che seduce e si lascia sedurre.

I militari sono anche uomini con tutte le loro debolezze umane. Con il giuramento certamente s’impegnano, ma dal giuramento non ricevono dagli dei alcun supplemento di purezza.

S’impone, pertanto, un esame di coscienza e un ripensamento dell’intero Ordinamento militare. E’ necessario distinguere il tempo di guerra, in cui si fronteggiano due eserciti appartenenti a due distinte Nazioni, dal tempo di pace in cui a fronteggiarsi, spesso, sono diverse coalizioni politiche, che appartengono alla stessa Nazione.

E’ necessario che l’ordinamento militare sia informato al principio di legalità  e alla riserva di legge, come prevede l’art. 52 della Costituzione, e, soprattutto, che il cittadino militare sia messo nella condizione di dire “signornò” in difesa dei valori costituzionali e per il bene del Paese.

Termino con un riferimento al Vangelo che ritengo attuale in ogni tempo e fonte di verità  ancora tutte da scoprire. La vicenda offre, a mio avviso, un’utile chiave di lettura dei fatti descritti. Essa vede protagonisti da una parte i militari posti a guardia del Sepolcro e dall’altra i capi giudei, preoccupati per la stabilità  del loro potere.

 

Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa venisse all'orecchio del Governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione” (Mt 28, 13 – 14).

 

CLETO IAFRATE

Componente Direttivo nazionale Ficiesse
c.iafrate@ficiesse.it


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