BASTA CON LE SOLITE INACCETTABILI AFFERMAZIONI DEI FAUTORI DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE INTERNA: IN DEMOCRAZIA I LAVORATORI MILITARI DEVONO POTERSI CONFRONTARE LIBERAMENTE CON LA SOCIETA' CIVILE - di Antonella Manotti
mercoledì 28 marzo 2012
Di seguito, un intervento di Antonella MANOTTI, direttore de Il Nuovo Giornale dei Militari. Il titolo è della redazione del sito.
Titolo originale: RAPPRESENTANZA O SINDACATO? NESSUN INGANNO IDEOLOGICO
La situazione in cui versa la rappresentanza militare è un problema che ha assunto livelli di criticità tali da richiedere, da parte di tutti i soggetti in campo, uno sforzo e la disponibilità ad un confronto senza pregiudizi e soprattutto senza inganni ideologici.
Innanzitutto non assecondando teorie su presunte pericolose “derive” sindacali su cui si rischia di scivolare (?) e non spacciando la specificità come norma ancora in grado di proteggere la categoria militare da misure economiche restrittive o una condizione professionale che si traduce automaticamente in una negazione di diritti costituzionalmente riconosciuti.
Eppure, a ridosso di ogni manovra finanziaria o provvedimento che tocca istituti normativi o previdenziali del personale delle FF.AA. e FF.PP., le sacrosante proteste su temi rilevanti per il personale, diventano occasioni per recensire valutazioni lquanto discutibili come questa:
<<Se il governo (o i governi), intendono omologare il Comparto Difesa e Sicurezza
al resto del Pubblico impiego non riconoscendo la specificità degli operatori, allora è giunto il momento di rivendicare l’estensione delle stesse tutele degli altri lavoratori anche ai militari: ad esempio, il diritto di sciopero, il diritto di
associazione, la libertà di espressione>>.
E’ davvero sorprendente liquidare un tema – quello dell’esercizio di diritti
costituzionali – in questo modo.
Perchà ©, se non fosse sufficiente la nostra Costituzione, è appena il caso di ricordare che Libertà di associazione e di espressione, sono principi incontestabili che trovano conferma e sono garantiti in Convenzioni e Atti internazionali ratificati anche dal nostro Paese, di cui però ci si ostina ad ignorare l’esistenza.
Forse a taluni può apparire superfluo spostare l’attenzione del personale su una questione di principio, in un momento in cui le “rasoiate” alle retribuzioni e l’incertezza sul proprio futuro professionale, impongono di far tornare i conti
quotidiani…
Però il problema esiste e la categoria militare deve essere consapevole che soltanto una riaffermazione della propria dignità di cittadini, del bisogno di partecipazione e la richiesta forte di tutela individuale e collettiva, potrà sostituire l’asfissia e l’isolamento in cui la si vuole ricacciare.
Non si può quindi relegare l’ambito di tutela del personale militare, in una fessura dove i diritti svaniscono d’incanto in nome di una specificità che si profila sempre più svuotata di contenuti economici e normativi…
E’ invece più che mai opportuna una riflessione collettiva per rilanciare con forza questo tema perchà ©, se la prima fase della “partita” si è chiusa con la concessione delle due proroghe e mezza, la seconda non può rinviare sine die l’elaborazione di un progetto convincente su come colmare il vuoto di rappresentanza della categoria.
Perchà © di questo si tratta.
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Si sente spesso ripetere dai sostenitori della “rappresentanza militare interna”, che i sindacati sono inutili ed hanno fallito nella loro azione di tutela perchà © la mannaia delle manovre ha colpito indistintamente lavoratori protetti da tutele sindacali e non…
Visione assai riduttiva e ingenerosa.
Forse il sindacato è in crisi, in una fase storica in cui la globalizzazione e nuovi
scenari di crisi ne riducono la sfera di intervento. E’ anche vero che il sistema non è perfetto: ci sono distorsioni e tentazioni corporative anche all’interno di tali strutture, ma è pur vero che il sistema sindacale è stata finora la sola organizzazione sociale in grado di esprimere i bisogni e gli interessi di molti milioni di lavoratori, giovani e vecchi, uomini e donne.
Una rappresentanza trasversale e nazionale che è stata, in questo oltre mezzo secolo di storia repubblicana, uno dei tratti distintivi della nostra democrazia ed un argine al corporativismo dilagante. Non immune da errori, certo, anche di tattica e di strategia, ma depositaria anche di valori importanti di solidarietà e di difesa dei ceti produttivi che altrimenti non avrebbero avuto voce e rappresentanza alcuna; oltre all’alto senso di responsabilità e barriera contro il terrorismo negli anni '70, baluardo contro ogni tipo di secessionismo, fino al sostegno della scelta europea…
Ebbene, sulla base dell’esperienza trentennale della rappresentanza militare, come si può negare che le restrizioni operate dai regolamenti attuativi interni non ne abbiano depotenziato la funzione di rappresentanza democratica, libera e volontaria?
C’è differenza, eccome, tra una normale organizzazione sindacale e la rappresentanza militare ed è riduttivo ritenere che il sindacato abbia fallito il suo obiettivo perchà © non è riuscito a contrastare le politiche governative in tema di redditi e previdenza…
Un sindacato consente la tutela collettiva ed individuale degli interessi dei lavoratori, non solo negli accordi nazionali ma in ogni fase del rapporto di lavoro, mentre il ruolo concertativo dei Cocer viene esercitato con rigide esclusioni sulle materie di intervento e delegando la contrattazione decentrata in modo quasi esclusivo ai comandanti.
E’ il rapporto con l’Amministrazione che il personale soffre di più, dove ci si sente spesso impotenti perchà © non c’è nessuna separazione netta tra sfera di intervento della RM e linea di comando, che in qualunque momento può intervenire gerarchicamente per far cessare dal mandato un delegato scomodo…
Stupisce, quindi, che si continui a ritenere la scelta sindacale come foriera di presunti fallimenti o di chissà quali danni per la coesione e l’imparzialità dell’Istituzione militare.
Per dirla tutta: non si comprime un diritto in nome di una “presunzione”. Essere collocate all’interno dell’ordinamento militare, avere una organizzazione decisa in forza di legge, essere sostenute economicamente dal proprio Datore di Lavoro che è lo Stato, priva di fatto le RM di pluralismo e di autonomia, minandone la libertà di azione e la capacità di espressione rappresentativa.
Senza contare che, con le proroghe concesse dalla politica, si è introdotto un ulteriore elemento di delegittimazione dell’istituto perchà © si è sottratto a lungo all’elettore il diritto di giudicare l’operato del delegato rispetto alle richieste formulate dalla base.
Come ci si può accontentare della promessa di un tavolo di concertazione con il governo prima e non dopo il varo dei provvedimenti?
E’- questa - una garanzia sufficiente ad aggirare gli ostacoli che finora si sono
frapposti alla realizzazione di un modello rappresentativo veramente rispondente alle aspettative dei cittadini militari a tutti i livelli di rappresentanza (centrale e di base)?
Davanti alle sfide che la categoria si troverà di fronte, alle riforme mancate in tema di precariato dei giovani militari, al crescente demansionamento, ai tagli di bilancio che stano peggiorando le condizioni di vita e di lavoro nelle caserme, alle incertezze professionali legate alle riduzioni organiche e a quelle previdenziali e retributive, non è forse giunto il momento per arrivare al traguardo di una democrazia compiuta che riconosca al personale forme di tutela più adeguate?
L’attuale modello rappresentativo risente ormai di una scarsa adesione della categoria a tutti i livelli, gli strumenti disponibili e le strategie contrattuali sono svuotate di reale potere ed autonomia.
In altre parole, allo stato in cui siamo non aiutano le contrapposizioni
ideologiche ma occorre fare i conti con la realtà ; un po’ come sta avvenendo
nel mondo sindacale, oggi alle prese con uno scenario nuovo che pone le parti sociali di fronte a nuove fragilità lavorative e a nuove sfide.
C’è da valutare se anche nel Settore militare sia opportuno cambiare strategia, non accontentandosi più di qualche concessione economica peraltro elargita alla fine di estenuanti trattative, ma rivendicando una seria ed equa riforma della professione militare che non è solo fonte di esuberi o uno “stipendificio”.
Davanti a programmi governativi dove il “lavoratore militare” è ridotto a mera voce di bilancio, la specificità diventa un problema assai marginale.
Perchà © in tempi di crisi e poche risorse, come quelli che stiamo vivendo, il lavoro sembra non avere più dignità propria e chi lavora – anche nel settore militare - può diventare rapidamente solo un costo sgradito, una zavorra di cui liberarsi…
Fino a quando questi problemi resteranno chiusi nelle caserme, con strumenti di rappresentanza subalterni alla linea di comando e privi di un collegamento con la società , il personale non prenderà coscienza dei propri diritti ….la politica continuerà a disinteressarsi di questo “mondo” e sarà molto difficile ottenere un vero cambiamento di rotta.
Forse qualche ordine del giorno parlamentare…Nulla di più.
Mentre ciò che occorre è il sostegno dell’opinione pubblica alle rivendicazioni dei cittadini militari; condizione essenziale per far entrare i loro problemi in
un circuito sociale più ampio facendo capire, ad esempio, che le riforme si fanno anche per rendere un servizio più efficace, più efficiente e più economico ai cittadini.
Il dato di realtà che oggi si presenta nel nostro Paese, e quindi anche nelle istituzioni che lo articolano, è che esse non sono in grado di auto-riformarsi in profondità , se non vengono sollecitate da corpi sociali esterni che si mobilitano sul terreno della democrazia mettendo al centro del proprio progetto, il recupero di una condizione di cittadinanza attiva.
Non sarebbe auspicabile che anche i militari avessero a disposizione un collettivo di idee, programmi e strategie di confronto con il mondo sindacale ed associativo e con la società civile?
ANTONELLA MANOTTI
Direttore de Il Nuovo Giornale dei Militari