VENTI ANNI DA CAPACI OGGI E PER UN EFFICACE CONTRASTO ALLE MAFIE OCCORRE RILANCIARE LA DIA. SULLA QUESTIONE, RIPROPONIAMO LA LETTERA ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA DEL SEGRETARIO ANFP MARCO LETIZIA
lunedì 23 aprile 2012
Oggi, 23 maggio 2012, ricorre il ventennale della strage di Capaci, questa triste data sarà  senz’altro celebrata da tanti, vertici istituzionali compresi. La strage colpì cinque servitori dello Stato, una vendetta di mafia nei confronti del giudice Giovanni FALCONE, morto nell’esplosione. Da quel momento, la consapevolezza dell'intero Paese nei confronti del problema mafia non è stata più la stessa, i risultati conseguiti dalle forze istituzionali sono stati eclatanti, il coinvolgimento della società  civile è stato sempre più presente.
In questi ultimi mesi, però, appaiono preoccupanti alcune notizie riguardanti il destino della Direzione Investigativa Antimafia. Sì, proprio la struttura interforze di polizia ideata da quel valoroso magistrato antimafia.
A distanza di venti anni, infatti, si apprende che la DIA ancora aspetta di essere fondata per intero, ancora aspetta di assumere nel concreto quel ruolo centrale di lotta alla criminalità  organizzata che le aveva assegnato il Parlamento.
Ecco una lettera che il Dott. Enzo Marco LETIZIA, Segretario dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, ha indirizzato al Signor Presidente della Commissione Antimafia, Sen. Giuseppe PISANU, il 26 marzo u. s.
LETTERA DEL SEGRETAZIO DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FUNZIONARI DI POLIZIA AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA
<<Alla DIA, unico organismo investigativo interforze, la legge istitutiva 410/91 attribuisce una competenza monofunzionale di contrasto alle organizzazioni mafiose, nelle loro diverse declinazioni, che si specifica nell’assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività  di investigazione preventiva, attinenti alla criminalità  organizzata, nonchà © di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili all’associazione medesima.
Nonostante la sua collocazione nell’ambito del Dipartimento, la legge istitutiva pone la D.I.A. al di fuori delle articolazioni gerarchiche e strutturali del Dipartimento, trattandosi di un Ufficio centrale che opera senza vincoli territoriali, coprendo per la specifica materia, sull’intero territorio nazionale: tale configurazione non consente di parificarla alle altre Strutture territoriali delle Forze di Polizia, come chiarito da una giurisprudenza amministrativa consolidata.
Nonostante il sistema delineato dal legislatore del 1991 abbia allineato l’azione di contrasto alle organizzazioni criminale a modelli organizzativi già  efficacemente collaudati in altri Paesi, la piena operatività  della DIA è stata fortemente penalizzata da una serie di inadempienze normative e da azioni che rischiano di minarne fortemente l’autonomia e l’incisività  che possono così riassumersi:
· la copertura della pianta organica viene attualmente assicurata attraverso la sola chiamata diretta del personale, impoverendo così il livello professionale degli operatori, come alcuni casi, anche recenti, hanno dimostrato, nonostante la legge istitutiva della DIA preveda un concorso unico nazionale riservato ad operatori con specifiche competenze in materia di contrasto alla criminalità  organizzata, e solo per il 5% la copertura attraverso la chiamata diretta. E’ stata così snaturata la previsione normativa che mirava con questo meccanismo a garantire l’accesso alla D.I.A. a personalità  altamente qualificate;
· esistono carenze di organico, come evidenziato in recenti audizioni presso Codesta Commissione, nel corso delle quali si è fatto presente che la complessità  dei compiti affidati alla DIA richiederebbe un organico di almeno 2500 persone. Attualmente presso la struttura antimafia prestano servizio poco più di 1300 persone, a livello nazionale; a ciò si aggiunga che il perseguimento degli obiettivi istituzionali è reso ancora più problematico in quanto non è stata data concretezza all’idea di coordinamento prevista dall’art. 3, comma 4 L. 410/91, che letteralmente dispone “Tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione al personale investigativo della D.I.A (…..) devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A., incaricato di effettuare indagini collegate, di tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso e sono tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti e le attività  investigative eventualmente richiesti”;
· in tema di difficoltà  del coordinamento la condizione operativa è assolutamente speculare, mutatis mutandis, alla fase iniziale dell’istituzione della Dia, descritta dal primo Direttore della Dia Giuseppe Tavormina e da Luciano Violante rispettivamente nelle audizioni del 16 marzo 2011 e del 29 marzo 2011 delle quali si riporta stralcio (*) e (**). [in allegato]
· a fronte della crescente complessità  delle attività  di contrasto delle organizzazioni mafiose, si è assistito ad una costante riduzione dei fondi, passati dai 28 milioni di euro nel 2001 ai 9 milioni di euro nel 2012.
· si aggiunga che la legge 183/2011 ha comportato recentemente una drastica riduzione del trattamento economico accessorio percepito da tutto il personale dipendente della DIA fin dalla sua nascita, che, per l’anno 2012 sarà  tagliato del 64% e, a decorrere dal 2013, del 57%;
· recenti tentativi di disarticolazione della struttura hanno condotto all’istituzione di organismi che duplicano l’attività  della D.I.A., quali, per esempio, il G.I.C.EX, G.I.C.ER, G.I.TAV, gruppi che si occupano di appalti, da sempre materia di competenza della Struttura antimafia, collocandoli presso la Direzione Centrale di Polizia Criminale, dotati di poteri di indagine, peraltro, meno incisivi. à ˆ ovvio che se proprio si volevano costituire dei gruppi di lavoro specializzati, per la Tav, per l’Expo e per la ricostruzione dell’Aquila, la logica avrebbe voluto che questi fossero incardinati all’interno della Direzione Investigativa Antimafia, poichà © essi avrebbero potuto utilizzare al meglio i poteri investigativi conferiti dalla legge al Direttore della Dia, che come è noto valgono su tutto il territorio nazionale e non risentono di alcun limite provinciale, o di ricerca di informazioni che ogni ente pubblico o titolare di un’autorizzazione pubblica deve assecondare. La costituzione di quei gruppi esterni alla Direzione Investigativa Antimafia è percepita come l’ennesimo “provvedimento manifesto”.
In conclusione, anche alla luce delle recenti inchieste che hanno fatto emergere l’intreccio tra criminalità  organizzata e corruzione, proprio un organo interforze può certamente assumere un ruolo determinante nel costituendo sistema anti-corruzione. Infatti non vi è settore della pubblica amministrazione nel quale le indagini non abbiano registrato e dimostrato il dispiegarsi dell’illecita influenza dei gruppi criminali, direttamente, ovvero per il tramite di figure imprenditoriali o politiche espressione degli stessi interessi criminali. Così come non vi è indagine su organizzazioni di stampo mafioso che non rilevi preoccupanti fenomeni di penetrazione corruttivo-collusiva nelle istituzioni.
Infine benchà © siano rassicuranti le dichiarazioni del vertice della struttura, ma non potrebbe essere altrimenti, va affermato senza alcun tentennamento che le ultime manovre finanziarie hanno inciso negativamente sia sull’aspetto organizzativo che operativo della Dia: basta chiederlo a campione ai vari agenti operativi che per verificare o sviluppare ipotesi investigative spesso devono rinunciare all’azione investigativa perchà © mancano i fondi per le missioni.
Pertanto si chiede, se è reale la volontà  di tutta la classe politica di combattere seriamente l’infiltrazione nel tessuto economico sociale delle organizzazioni criminali, che venga data attuazione ai principi fondanti la L.410/91, ripresa in toto dal Codice Antimafia, e si ridiano ad un settore così delicato i fondi tagliati in modo scellerato dalle ultime manovre finanziarie. Nonchà © si ponga fine a modalità  di intervento per il contrasto a fenomeni mafiosi, attraverso provvedimenti estemporanei che vanno nella direzione opposta alle imprescindibili esigenze di un coordinamento efficiente.
Vorremmo tanto una politica saggia come quella dell’imprenditore di Milano che nel 1992 per consentire l’apertura della sede nel capoluogo lombardo mise a disposizione due mini-appartamento in comodato d’uso a titolo gratuito. Il quale motivò il gesto così: “Se voi rischiate la pelle per noi, non capisco per quale motivo io, che sono tra coloro che beneficiano di tutto questo, non vi devo mettere nelle condizioni di poter svolgere un’attività  operativa di un certo tipo anche a Milano”.>>
Cosa si chiede, allora? Si chiede il rilancio, la centralità  , la piena attuazione della legge istitutiva della Direzione investigativa antimafia.
Questo, sì, sarebbe un segno di memoria per quella strage del 1992 e di riconoscenza per quel coraggioso magistrato che, più delle parole, preferiva il silenzio dei fatti e la concreta ricerca delle prove.