II PARTE -- DAL SEGRETO DEL CONFESSIONALE A QUELLO INVESTIGATIVO, UNA ORDALIA NEI SECOLI FEDELE E LA SOLUZIONE DELLA DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA SUGGERITA DAL GIUDICE FALCONE - di Cleto Iafrate

lunedì 21 maggio 2012

II PARTE -- DAL SEGRETO DEL CONFESSIONALE A QUELLO INVESTIGATIVO, UNA ORDALIA NEI SECOLI FEDELE E LA SOLUZIONE DELLA DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA SUGGERITA DAL GIUDICE FALCONE – di Cleto Iafrate

(la prima parte alla pagina 

3. La Direzione Investigativa Antimafia

 

Nel 1991, in un contesto di grave emergenza mafiosa, con L. n. 410/1991 è stata istituita la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), la Direzione nazionale antimafia (DNA) e la figura del Procuratore nazionale antimafia. La DIA è l’unico organismo investigativo interforze con competenza monofunzionale di contrasto alle organizzazioni mafiose.

 

La DIA, infatti, senza alcun vincolo territoriale, svolge attività  d’investigazione preventiva; per di più, coprendo l'intero territorio nazionale e internazionale, esegue indagini di polizia giudiziaria relative a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili a tali attività . 

 

La legge istitutiva fu ideata proprio da Giovanni Falcone. Il magistrato ne avvertì la necessità  mentre cercava di fare luce sulle infiltrazioni mafiose all’interno delle istituzioni. Falcone, presumibilmente, ritenne che lo strumento investigativo di cui disponeva, nonostante fosse molto efficiente contro la manovalanza mafiosa, andasse rafforzato per combattere la mafia oltre un certo livello.

 

Il magistrato perciò intervenne sulla linea gerarchica e sulla dipendenza funzionale.

Intrecciò e confuse nella struttura interforze uomini appartenenti a tre differenti linee gerarchiche (Interno, Difesa, Finanze), che fino ad allora erano state separate e alle dipendenze dei rispettivi Ministeri. Sicchà© nella DIA, poliziotti, carabinieri e finanzieri sono inseriti, secondo il loro grado, in un’unica gerarchia che è posta alle dipendenze di una struttura centrale. Il magistrato, attraverso l’intreccio delle tre linee gerarchiche, preservò la “polizia giudiziaria interforze” da eventuali conseguenze sull’obbedienza militare dovute alla mancata attuazione dell’art. 52 Cost. (per un approfondimento, cfr. “Il 13 dicembre ricorre l’anniversario del gran rifiuto della Corte costituzionale ai diritti dei militari” di Cleto IAFRATE). Inoltre, per meglio custodire l’autonomia del nuovo strumento investigativo, lo pose al di fuori delle articolazioni gerarchiche e strutturali del Dipartimento, probabilmente, al fine di non indurre in tentazione la parte malata della politica o, semplicemente, perchà© non credeva fino in fondo all’ordalia del giuramento militare.

 

Il geniale magistrato, con la L. 410/1991, “squadrò una procedura ad hoc, … un ordigno così efferato da richiedere sommessi interventi correttivi nella prassi.



 

La prima fase di operatività  della DIA fu, però, segnata da una serie di notevoli difficoltà  di carattere organizzativo, che rischiarono di minarne fortemente la sua autonomia e incisività .

 

Tra le difficoltà  ci furono quelle relative al reperimento delle risorse umane perchà© nessuno degli organi di polizia che allora svolgevano attività  specifica era disponibile a cedere il personale, soprattutto se questo era qualificato.

 

Le difficoltà  sono state costantemente evidenziate sin dall’istituzione della DIA. Si riporta uno stralcio degli interventi di Giuseppe Tavormina, primo Direttore della Dia, e di Luciano Violante, rispettivamente nelle audizioni in Commissione antimafia del 16 marzo 2011 e del 29 marzo 2011.  

 

TAVORMINA: “Signor Presidente, innanzi tutto ringrazio lei e i signori parlamentari che oggi hanno la pazienza e la bontà  di ascoltarmi. … La prima fase di operatività  della DIA, della quale parlai in occasione di una precedente audizione, avvenuta qui verso la fine del 1992 quando era presidente l’onorevole Violante, fu segnata da una serie notevole di difficoltà  di carattere organizzativo. Ho di fronte a me il senatore Lauro, che è stato un testimone di ciò, perchà© a quell’epoca, naturalmente, queste difficoltà  erano note a chi era presso il Ministero dell’interno ricoprendovi incarichi di un certo riguardo. Trovandoci noi sempre in cattive acque in ordine alla disponibilità  di personale, mezzi, risorse e quant’altro, dopo l’eccidio di via d’Amelio chiedemmo di poter avere un numero di personale adeguato per portare avanti il compito di carattere operativo per cui esistevamo. Si arrivò così ad un’intesa, come al solito un po’ particolare, in virtù della quale Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza ci diedero a testa 80 persone, tra funzionari e collaboratori, per rinforzare il nostro organismo; inoltre, ricevemmo 240 unità  che, aggiunte alle altre, arrivarono a quelle 800 totali a cui mi riferivo in fase di impostazione iniziale. E’ chiaro che gli organi dirigenti di quell’epoca conoscevano perfettamente le difficoltà  in cui noi ci trovavamo.

Non mancava occasione, di volta in volta, per rappresentare che le nostre esigenze erano tali per cui avremmo avuto bisogno di ben altro.

Dirò di più. Mi piace sottolineare un aspetto: ricevemmo tanti di quei consensi da essere qualcosa di inaudito. Ad esempio, ritenevamo che a Milano andasse istituito un centro perchà© quella città  era una piazza finanziaria di grandissimo rilievo, tanto è vero che poi fu attribuita a un colonnello della Guardia di finanza. Non avevamo, però, nà© mezzi, nà© risorse, nà© possibilità  di avere una sede. Un imprenditore di Milano ci mise a disposizione due miniappartamenti in comodato d’uso a titolo gratuito (a piazza Diaz, dove c’è il monumento ai Carabinieri fatto da Dalla Chiesa).

L’affermazione che fece fu la seguente: <<se voi rischiate la pelle per noi, non capisco per quale motivo io, che sono tra coloro che beneficiano di tutto questo, non vi devo mettere nelle condizioni di poter svolgere un’attività  operativa di un certo tipo anche a Milano>>…”. (Senato della Repubblica – 4 – Camera dei deputati - Commissione antimafia 71º Resoconto Stenografico - 16 marzo 2011).

 

VIOLANTE: “… Devo dire che la DIA fu un'importante innovazione, che non fu ben tollerata dagli altri Corpi di polizia. Il coordinamento non lo può fare uno solo: ci vuole chi coordina e chi è coordinato. Se chi deve essere coordinato non si vuole far coordinare, c'è poco da fare. Ci sono moltissime ragioni per sfuggire al coordinamento e c'era una certa resistenza, da parte di tutti, nel farsi coordinare. Quindi l'idea di fondo, assolutamente centrale e importante (tale si è rivelata per molto tempo), è un'idea giusta che però non sempre è stata recepita dagli altri Corpi. ……. Esse però (DIA e DNA) sono state due grandi intuizioni, molto importanti per la lotta contro la mafia. àˆ stato persino più facile realizzare un raccordo tra la Direzione nazionale antimafia e le autorità  giudiziarie di quanto non sia stato realizzarlo tra la DIA e le autorità  di Polizia” (Senato della Repubblica – 4 – Camera dei deputati Commissione antimafia 71º Resoconto Stenografico - 29 marzo 2011).

 

Oggi, a distanza di venti anni dalla strage di Capaci, quelle difficoltà  si sono cronicizzate ed aggravate. A tal proposito, riporto uno stralcio della lettera scritta il 26 marzo 2012 da Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, al Sen. Giuseppe PISANU, Presidente della Commissione Antimafia.

 

LETIZIA: “… Nonostante il sistema delineato dal legislatore del 1991 abbia allineato l’azione di contrasto alle organizzazioni criminale a modelli organizzativi già  efficacemente collaudati in altri Paesi, la piena operatività  della DIA è stata fortemente penalizzata da una serie di inadempienze normative e da azioni che rischiano di minarne fortemente l’autonomia e l’incisività  che possono così riassumersi:

·                    la copertura della pianta organica viene attualmente assicurata attraverso la sola chiamata diretta del personale, impoverendo così il livello professionale degli operatori, come alcuni casi, anche recenti, hanno dimostrato, nonostante la legge istitutiva della DIA preveda un concorso unico nazionale riservato ad operatori con specifiche competenze in materia di contrasto alla criminalità  organizzata, e solo per il 5% la copertura attraverso la chiamata diretta.  E’ stata così snaturata la previsione normativa che mirava con questo meccanismo a garantire l’accesso alla D.I.A. a personalità  altamente qualificate;

·                    esistono carenze di organico, come evidenziato in recenti audizioni presso Codesta Commissione, nel corso delle quali si è fatto presente che la complessità  dei compiti affidati alla DIA richiederebbe un organico di almeno 2500 persone. Attualmente presso la struttura antimafia prestano servizio poco più di 1300 persone, a livello nazionale; a ciò si aggiunga che il perseguimento degli obiettivi istituzionali è reso ancora più problematico in quanto non è stata data concretezza all’idea di coordinamento  prevista dall’art. 3, comma 4 L. 410/91, che letteralmente dispone <<Tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione al personale investigativo della D.I.A (…..) devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A., incaricato di effettuare indagini collegate, di tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso e sono tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti e le attività  investigative eventualmente richiesti>>.

·                    …… a fronte della crescente complessità  delle attività  di contrasto delle organizzazioni mafiose, si è assistito ad una costante riduzione dei fondi, passati dai 28 milioni di euro nel 2001 ai 9 milioni di euro nel 2012.

·                    …… recenti tentativi di disarticolazione della struttura hanno condotto all’istituzione di organismi che duplicano l’attività  della D.I.A., quali, per esempio, il G.I.C.EX, G.I.C.ER, G.I.TAV, gruppi che si occupano di appalti, da sempre materia di competenza della Struttura antimafia, collocandoli presso la Direzione Centrale di Polizia Criminale, dotati di poteri di indagine, peraltro, meno incisivi. àˆ ovvio che se proprio si volevano costituire dei gruppi di lavoro specializzati, per la Tav, per l’Expo e per la ricostruzione dell’Aquila, la logica avrebbe voluto che questi fossero incardinati all’interno della Direzione Investigativa Antimafia, poichà© essi avrebbero potuto utilizzare al meglio i poteri investigativi conferiti dalla legge al Direttore della Dia, che come è noto valgono su tutto il territorio nazionale e non risentono di alcun limite provinciale, o di ricerca di informazioni che ogni ente pubblico o titolare di un’autorizzazione pubblica deve assecondare. La costituzione di quei gruppi esterni alla Direzione Investigativa Antimafia è percepita come l’ennesimo “provvedimento manifesto”.

In conclusione, anche alla luce delle recenti inchieste che hanno fatto emergere l’intreccio tra criminalità  organizzata e corruzione, proprio un organo interforze  può certamente assumere un ruolo determinante nel costituendo sistema anti-corruzione. Infatti non vi è settore della pubblica amministrazione nel quale le indagini non abbiano registrato e dimostrato il dispiegarsi dell’illecita influenza dei gruppi criminali, direttamente, ovvero per il tramite di figure imprenditoriali o politiche espressione degli stessi interessi criminali. Così come non vi è indagine su organizzazioni di stampo mafioso che non rilevi preoccupanti fenomeni di penetrazione corruttivo-collusiva nelle istituzioni.

Infine benchà© siano rassicuranti le dichiarazioni del vertice della struttura, ma non potrebbe essere altrimenti, va affermato senza alcun tentennamento che le ultime manovre finanziarie hanno inciso negativamente sia sull’aspetto organizzativo che operativo della Dia: basta chiederlo a campione ai vari  agenti  operativi che per verificare o sviluppare ipotesi investigative spesso devono rinunciare all’azione investigativa perchà© mancano i fondi per le missioni.

Pertanto si chiede, se è reale la volontà  di tutta la classe politica di combattere seriamente l’infiltrazione nel tessuto economico sociale delle organizzazioni criminali, che venga data attuazione ai principi fondanti la L.410/91, ripresa in toto dal Codice Antimafia, e si ridiano ad un settore così delicato i fondi tagliati in modo scellerato dalle ultime manovre finanziarie.   Nonchà©  si ponga fine a modalità  di intervento per il contrasto a fenomeni mafiosi, attraverso provvedimenti estemporanei che vanno nella direzione  opposta alle imprescindibili esigenze di un coordinamento efficiente. 

Vorremmo tanto una politica saggia come quella dell’imprenditore di Milano che nel 1992 per consentire l’apertura della sede nel capoluogo lombardo mise a disposizione due mini-appartamento in comodato d’uso a titolo gratuito. …”.

 

Questi i sommessi interventi correttivi intervenuti nella prassi!

 

E’ veramente paradossale che nonostante manchino i fondi per potenziare la DIA, vengano istituite nuove strutture di intelligence e poste alle dipendenze funzionali di autorità  politiche (cfr. Interrogazione a risposta in Commissione 5 – 03357 presentata da Rosa Maria Villecco CALIPARI martedì 3 agosto 2010, seduta n. 364).

 

Esposizione lunga, ma ne è valsa la pena, perchà© a questo punto si possono tirare le somme.

 

Depotenziare la DIA, disarticolarla, minarne l’autonomia o, più in generale, ostacolarla rievoca gli antichi riti ordalici; oltre a denotare una scarsa ambizione da parte della politica, la quale si accontenta di sconfiggere solo il braccio esecutivo della mafia e non anche la mafia dai colletti bianchi.

 

E’ fin troppo chiaro dove punti una larga corrente di opinione o meglio d’interessi: si tenta di stabilire un controllo o comunque un condizionamento sull’azione penale.

 

Mi rincresce molto che la società  civile non si sia mai interessata ai regolamenti militari, ritenendoli una prerogativa dell’ente, dovrebbe iniziare a farlo, giacchà© essi incidono, non solo sui diritti dei militari, ma anche sulla giustizia, sull’ordine e la sicurezza pubblica, sulla distribuzione del reddito e sulla spesa pubblica.

 

 

CLETO IAFRATE

Componente Direttivo nazionale Ficiesse

c.iafrate@ficiesse.it



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