IL TRASFERIMENTO DEL MILITARE E LE NORME A TUTELA DEI FIGLI MINORI: UN CHIARO ESEMPIO DI COME LO STATO CONTRADDICE SE STESSO - di Eliseo Taverna

lunedì 09 luglio 2012

IL TRASFERIMENTO DEL MILITARE E LE NORME A TUTELA DEI FIGLI MINORI: UN CHIARO ESEMPIO DI COME LO STATO CONTRADDICE SE STESSO - di Eliseo Taverna


Sono centinaia gli appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate che nel corso di questi anni si sono trovati nella necessità  di dover accudire i propri figli minori o assistere congiunti con gravi forme di disabilità .

Solo pochi, però, sono riusciti ad ottenere il trasferimento di sede senza difficoltà , in virtù di specifiche norme che tutelano le persone diversamente abili ed il diritto alla maternità  e paternità , mentre la maggior parte di loro hanno dovuto far valere le proprie ragioni nelle aule di giustizia, con anni di attesa ed inevitabile esborso di denaro.

Ad onor del vero, non si può sottacere che la maggior parte del personale proviene dalle regioni del centro sud e questo non aiuta di certo ad ottimizzare le esigenze d’impiego ed i processi che regolano la vita lavorativa di questi peculiari settori dello Stato.

Il conformismo diffuso all’idea prevalente, però, che spesso prende piede - anche inconsapevolmente - nelle Amministrazioni del comparto difesa e sicurezza e la mancanza, a volte, di elasticità  da parte di chi è chiamato ad amministrare il personale non aiutano a rendere i processi sociali più giusti.

Ed allora, come non comprendere la rabbia che si mescola all’indignazione di tutti coloro che vivono sulla propria pelle queste gravi forme d’ingiustizia?

D’altro canto, queste norme di primaria importanza sono state varate dal legislatore proprio per tutelare il diritto alla maternità  e paternità  e le persone diversamente abili. Alla naturale applicazione di esse, pertanto, non può essere d’ostacolo il tipo di lavoro svolto da coloro che ne devono beneficiare, nà© tantomeno la peculiarità  del datore di lavoro che deve attuarle.

Le profonde motivazioni che spingono la maggior parte delle persone a servire lo Stato, nondimeno - anche se con stipendi inadeguati ma comunque dignitosi – se da un lato costituiscono pur sempre un profondo motivo d’orgoglio, dall’altro non possono costituire l’elemento che ne snatura l’essenza, fino al punto da trasformare l’operatore di Polizia o il militare in un specie di “servo”, privato dei fondamentali diritti e dal quale pretendere solo doveri.

Secondo alcuni esperti, infatti, in queste Amministrazioni si tende a difendere, a spada tratta, la cosiddetta “disciplina dell’istituzione” che, non di rado però, risulta irrazionalmente perseguita e che, tuttavia, finisce per violare inevitabilmente i dettami Costituzionali.

Proprio in questi giorni sono rimbalzate agli onori della cronaca, come un macigno, le parole del Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri che rivolgendosi al personale in formazione ha affermato, tra l’altro, “Chi si è dato la morte lo ha fatto senza motivo, senza dare o lasciare spiegazioni. Come si può affidare a queste persone "psicolabili" la sicurezza delle nostre comunità  nazionali?». Lo ha chiesto a commento dei sette carabinieri suicidatisi negli ultimi due mesi, tra cui un ufficiale di Brescia, che aveva condiviso la formazione con i Capitani presenti. “Poi sventola le copie dei ricorsi degli ufficiali presenti appena estratte dalla borsa e in tono irridente dice: «L’Arma, ai miei tempi, era granitica! C’è in atto un processo inesorabile di sgretolamento». Il riferimento è agli ufficiali del Ruolo Speciale (che non provengono dall’accademia) che, svolgendo le stesse funzioni, rivendicano un trattamento eguale ai colleghi del Ruolo Normale. «Leggete, leggete! Si vuole nominare un vostro Ufficiale rappresentante Co.Ce.R. E poi che fate? Prendete a schiaffi il Comandante Generale? Avete scelto di fare l’ufficiale del Ruolo Speciale, accettando le regole del gioco, ora le si vuole cambiare. Ve lo ha ordinato il dottore di fare l’ufficiale? Guardate questi ragazzi dell’applicativo (Ruolo Speciale, ndr), prima ci scassano con le telefonate per farsi raccomandare per il concorso, poi, una volta entrati, ti piazzano la domanda di avvicinamento alla moglie che fa la cassiera al supermercato! Nessuno dei ragazzi dell’Accademia si sogna di farlo”.

Così come ha fatto scalpore il caso di una soldatessa con seri problemi di salute del figlio minore, che per poter essere trasferita nel luogo ove era residente il proprio nucleo familiare ha dovuto far arrivare il proprio caso nelle aule di giustizia.

Un episodio, che ha portato anche la stampa nazionale a ritenere che questi eventi “dimostrano come lo Stato contraddice se stesso: da un lato i giudici amministrativi che rivendicano il rispetto della norma sulla maternità  e paternità  che, di fatto, consente ai dipendenti pubblici di ricongiungersi nella città  ove presta servizio il proprio coniuge per accudire i figli minori di tre anni e dall’altro le Amministrazioni delle forze di Polizia e delle Forze Armate che negano tale diritto ritenendolo non estensibile a questi peculiari settori dello Stato”.

D’altro canto, anche la durezza della recente sentenza del TAR di … (omissis) … al quale un nostro collega, è stato costretto a rivolgersi ripetutamente per vedersi riconosciuto il diritto ad essere trasferito nella città  ove era residente il proprio nucleo familiare, peraltro, dopo essersi visto negare per più volte la possibilità  di articolare il proprio turno di lavoro su tre giorni settimanali, con una differente modulazione da quella prevista, per far fronte a rilevanti problematiche familiari legate a gravi patologie del coniuge, all’esistenza di una crisi coniugale ed alla presenza di un figlio di tre anni, con affido congiunto, dimostra l’approccio che, non di rado, viene riservato a certe problematiche.

Dopo diverse sentenze inapplicate,“il ricorrente proponeva ricorso per ottemperanza n……….., accolto da questo Tribunale con sentenza ………….., nominando quale commissario ad acta il Prefetto di …; nell’inerzia dell’Amministrazione e all’evidente fine di scongiurare l’intervento del predetto commissario ad acta, il Comando Generale della Guardia di Finanza ha adottato un nuovo preavviso di rigetto con nota del 3.8.2009.

Con ordinanza n. … di questo Tribunale veniva accolta l’istanza del ricorrente volta a provocare l’intervento del commissario ad acta cui veniva assegnato il termine di ulteriori giorni 20 dalla comunicazione.

Prima dello spirare di detto termine – e con una tempestività  degna certo di miglior causa – il Comando Generale della G.d.F., con il provvedimento oggetto del presente ricorso, ha nuovamente respinto l’istanza di trasferimento di che trattasi.

Ciò premesso, l’impugnato provvedimento è manifestamente illegittimo sotto i vari profili di censura dedotti, se non nullo per violazione del giudicato.

A fronte di tale argomentare, il Comando Generale della G.d.F., anzichà© adottare nuove determinazioni tenendo tuttavia conto delle vincolanti indicazioni conformative portate dalla sentenza del Giudice Amministrativo, divenuta cosa giudicata, si è limitato a reiterare le stereotipe motivazioni già  censurate da questo Tribunale.

E comunque, anche a prescindere da quanto sopra, la motivazione adottata risulta palesemente viziata per illogicità  e irragionevolezza, sintomatica di un eccesso di potere sotto vari profili, ivi compreso lo sviamento di potere, comprovato peraltro dalla reiterazione di comportamenti illegittimi e lesivi, da un particolare“accanimento” nei confronti del ricorrente, dall’incredibile e inusuale solerzia con cui è stato adottato l’impugnato provvedimento in tempi tali da evitare l’intervento del commissario ad acta.

(…) il Comando Generale della G.d.F. ha, in violazione del giudicato e dei principi di riferimento costituzionali ivi affermati, ribadito e confermato le determinazioni illegittime già  censurate dal G.A., quasi a tutela di un ordinamento interno intangibile su cui non possono incidere neanche le pronunce del Giudice Amministrativo e all’interno del quale non trovano asilo neanche i principi e le guarentigie fondamentali della Costituzione”.

La Costituzione italiana, infatti, prevede all’articolo 2 che "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo... e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà  politica, economica e sociale", mentre l’articolo 3 recita che "tutti i cittadini hanno pari dignità  sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. àˆ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà  e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana … ".

E’ con questi presupposti, quindi, che sono stati varati l’articolo 32 bis del testo unico sulla maternità  e paternità , che espressamente consente a tutti i dipendenti pubblici con figli al disotto dei tre anni di chiedere il trasferimento nella città  ove presta servizio il proprio coniuge, per poter accudire il minore fino al compimento dei tre anni e l’articolo 33 della legge 104/92 e succ. mod. che consente di chiedere il trasferimento di sede ai dipendenti che assistono un congiunto disabile.

Ed è proprio in forza a questi princìpi costituzionali che ognuno, a prescindere dal lavoro svolto, può far valere le proprie ragioni nelle aule di giustizia, qualora ritenga che stia subendo un torto nel proprio ambiente di lavoro.

Norme, però, che nel comparto difesa e sicurezza non sono mai state viste di buon occhio e sono state sempre pressochà© ostacolate, nonostante le ripetute sollecitazioni da parte di alcuni Co.Ce.R. e delle OO.SS. delle Forze di polizia ad ordinamento civile. A poco è servito, peraltro, l’intervento di alcuni parlamentari - ai quali i delegati si sono rivolti - che hanno portato, a più riprese, la problematica all’interno delle aule parlamentari, mediante precipui atti di sindacato ispettivo.

No sono state d’aiuto, nondimeno, le modifiche migliorative apportate dalla legge 183/2010 “Delega al Governo in materia di lavori usuranti” che, per alcuni versi, hanno reso queste norme più facilmente applicabili.

In questi peculiari settori dello Stato, nonostante ciò, si continua a far fatica ad accettare l’applicazione dei diritti che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini. Questo tipo d’impostazione culturale, quindi, finisce immancabilmente per snaturare concetti quali giustizia sociale ed equità , nonchà© per alimentare in modo esponenziale, il ricorso al contenzioso. Diritti, quindi, che necessitano di rivendicazioni sempre più incisive da parte di coloro che sono chiamati a tutelare il personale.

Amartya San, uno dei più grandi pensatori dei nostri tempi, ritiene che le basi concettuali di ogni azione, per cercare di accrescere i fondamentali princìpi di equità  e giustizia sociale, devono essere chiarite affinchà© l’azione goda di un’adesione consapevole e continua nel tempo.

Questi princìpi cardine, probabilmente, dovrebbero caratterizzare il funzionamento di ogni società  avanzata, ed essere applicati iniziando proprio da coloro che rappresentano lo Stato e sono chiamati anche a garantirne la democrazia.

E’ chiaro, infine, che a prescindere dall’impostazione che alberga in queste Amministrazioni, in merito ad alcune tematiche, le responsabilità  principali sono ancora una volta della classe politica, che continua ad essere totalmente silente ed indifferente.


ELISEO TAVERNA
Delegato Co.Ce.R. Guardia di Finanza
Segretario nazionale Organizzazione civica Ficiesse


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