GDF: LA SMILITARIZZAZIONE PUà’ ESSERE LA SOLUZIONE? - di Giovanni Barrale

venerdì 16 novembre 2012

LA SMILITARIZZAZIONE PUà’ ESSERE LA SOLUZIONE? – di Giovanni Barrale

 

 

Amiche ed amici, ho riflettuto molto prima di scrivere questo articolo perchà© l’argomento si presta, più di altri, a strumentalizzazioni da parte di chi è in malafede o crede, sbagliando, che l’efficienza di una struttura complessa, come la Guardia di Finanza, possa dipendere soltanto da un’organizzazione gerarchico-piramidale, cioè da un’organizzazione militare.

 

Tuttavia, superando le mie iniziali remore credo che sia giunto il momento di provare a fare chiarezza sull’argomento e, spero, che questo mio breve scritto possa contribuire a ravvivare il dibattito sul tema.

 

Credo, altresì, che il punto di partenza della discussione debba essere, come ovvio, la norma: è possibile, in Italia, una Guardia di Finanza ad ordinamento civile senza minarne nelle fondamenta la capacità  e la professionalità  ma aumentando al contrario, ove possibile, il suo rendimento e la sua efficacia?

 

Lo stato Italiano è membro del Consiglio d’Europa ed ha sottoscritto,tra l’altro, la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà  Fondamentali di cui vi invito a leggere il prologo.

 

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considerata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;

 

considerato che questa Dichiarazione tende a garantire il riconoscimento e l’applica­zione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati;

 

considerato che il fine del consiglio dell’Europa è quello di realizzare una unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salva­guar­dia e lo sviluppo dei Diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali;

 

riaffermato il loro profondo attaccamento a queste libertà  fondamentali che costitui­scono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell’uomo a cui essi si appellano;

 

risoluti, in quanto Governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà  e di pre­minenza di diritto, a prendere le prime misure adatte ad assicurare la garanzia col­lettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale,

hanno convenuto quanto segue: …>>

 

Il prologo, quindi, spiega, più di tanti altri scritti o considerazioni, chi siamo e dove andiamo. Quelle poche righe sono l’essenza stessa del diritto europeo, dalle poleis greche ai nostri giorni, attraversando in maniera ideale il diritto romano, la magna charta, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1791, ecc..

 

E’ una Storia, la nostra, intrisa di sconfitte e vittorie ma che trasuda libertà . Da sempre, dagli albori stessi della nostra civiltà . Chi altri, e non solo Socrate, Alessandro,Spartaco, Carlo Magno, Federico II di Svevia e tutti gli altri, che per brevità  non cito, se non gli eroi di un modo nuovo di sentire la libertà  e lo Stato?  Il simbolo stesso di un’Europa che non ha mai voluto piegarsi e non si piegherà  mai alla prevaricazione ed alla sopraffazione?

 

Ma torniamo a noi, vi riporto di seguito l’articolo della Convenzione, a mio parere fondamentale, per rispondere alla nostra iniziale domanda:

 

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1. Ogni persona ha diritto alla libertà  di riunione pacifica e alla libertà  d’associa­zione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.

2. L’esercizio di questi diritti non può costituire oggetto di altre restrizioni oltre quelle che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie, in una società  demo­cratica, per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà  altrui. Il presente articolo non vieta che restrizioni legittime siano imposte all’eserci­zio di questi diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’ammi­nistrazione dello Stato.””

 

E l’Italia come si è adeguata alla Convenzione che ha sottoscritto e ratificato? All’italiana, ovviamente. Ha, infatti, semplicemente mantenuto, tout court, un divieto assoluto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale o di aderire ad associazioni sindacali già  esistenti. Ha cioè interpretato la facoltà  degli Stati membri di introdurre delle “restrizioni”, all’esercizio di taluni diritti da parte dei militari, con un divieto assoluto. Impedendo così, a mio avviso, il conseguimento di molte delle finalità  fondamentali per la quale è stata sottoscritta la carta convenzionale.

 

Non voglio occuparmi, in questa sede, di questioni di diritto, peraltro già  affrontate con successo da altri ed a cui rimando per una maggiore conoscenza dell’argomento.

 

Io voglio rimanere sul pratico, e mi sono addentrato nella fascinosa palude del diritto solo per completezza di trattazione ed al solo scopo di fugare ogni eventuale dubbio sulla possibilità  per i militari di costituire dei sindacati secondo il diritto Europeo, che è anche, e sempre più, diritto nazionale.

 

La risposta al quesito, ovviamente, non può che essere: sì. Anzi, paradossalmente, si va anche oltre nel senso che non solo possono ma addirittura dovrebbero.

 

Appurato, quindi, che la smilitarizzazione può essere fatta, bisogna guardarsi intorno, per capire meglio. Negli altri paesi occidentali sono poche le forze di polizia ad ordinamento militare e, praticamente, nessuna delle organizzazioni create a tutela dell’erario è militare.

 

Chi si intende di queste cose, quando pensa agli agenti del fisco ha in mente l’Internal Revenue Service (IRS) americana. L’organizzazione che riuscì dove persino l’FBI aveva fallito: arrestare Al Capone! Ebbene questa organizzazione così efficiente e capace di limitare l’evasione fiscale negli Stati Uniti a livelli accettabili è, come sappiamo, un’organizzazione ad ordinamento civile che si avvale, per la riscossione, di tre agenzie private e riscuote ogni anno miliardi di dollari d’imposte.

 

Quindi dal punto di vista della legge, se riteniamo che i più bravi in questo campo siano proprio gli Stati Uniti d’America, è possibile un’organizzazione diversa dalla Guardia di Finanza ad ordinamento militare.

 

Allora perchà© in un paese come il nostro in cui l’evasione fiscale da sempre è a livelli endemici inaccettabili e non più sostenibili non si prova a cambiare? Soprattutto quando questo cambiamento non è più solo richiesto, come accadeva in passato, da una parte dell’opinione pubblica ma anche da un sempre maggiore numero di finanzieri?

 

Si potrebbe obiettare che gli appartenenti al Corpo stanno così bene con le “stellette” militari, almeno la gran parte,  che non vogliono diventare una forza di polizia ad ordinamento civile.

 

Perchà©, allora, i militari della Guardia di Finanza, con un percorso iniziato almeno nel 1976 nel porto di Genova, continuano a chiedere la smilitarizzazione e/o la sindacalizzazione?

 

Questa credo sia la vera questione. Soprattutto oggi con degli organici sostanzialmente diversi rispetto a quelli del 1976 e cioè con reparti sempre più fatti da “anziani”; e si sa che in genere gli anziani sono dei conservatori, preferiscono lo status quo al cambiamento. Va da sà© che i giovani sono più inclini al cambiamento.

 

Perchà©, dunque, nella Guardia di Finanza tanti anziani aspirano al cambiamento piuttosto che attendere “comodamente” la pensione all’interno di strutture e di meccanismi che conoscono a menadito?

 

Può essere che questo sistema, aldilà  della diatribe giuridiche sulla liceità ,  sopra brevemente accennate, non è più efficace, ammesso che lo sia mai stato, e mostri dei limiti evidenti di funzionalità  e di democrazia?

 

Possibile che una pletora di quarantenni e cinquantenni e presto (purtroppo) anche di sessantenni che serve lo Stato praticamente da sempre, sia improvvisamente diventata  sovversiva ed incosciente da volere addirittura la smilitarizzazione del Corpo?

 

Io sinceramente penso di no, credo che sia corretto dire che il sistema mostri dei limiti e vada adeguato ai tempi.

 

Io sono per la smilitarizzazione e/o la sindacalizzazione ma possono esserci anche altre soluzioni per migliorare l’efficienza del Corpo e il deficit di democrazia interna, a volte, eccessivo e non più tollerabile. Sono convinto,tuttavia, che altre soluzioni siano possibili. E l’associazionismo professionale potrebbe essere una di queste.

 

La gerarchia ha l’onere di dare delle risposte alla sua gente. La Riforma deve partire dall’interno e non possiamo aspettare che ce la confezionino dall’esterno altri.

 

Se viene chiesta più possibilità  di espressione, migliori sistemi di salvaguardia del personale allora, forse, significa che dentro le caserme si vive un disagio che va affrontato senza nascondersi.

 

Se si vuole rimanere militari, essendo questa una struttura verticistico-piramidale, ed è ovviamente comunque una delle possibili soluzioni bisogna, nondimeno, che i migliori siano ai posti di vertice, che la selezione, ad ogni livello, premi le capacità , la professionalità   e l’istruzione. Questa sarebbe una buona risposta ai detrattori del sistema “militare” ed un buon tentativo di adeguare la struttura alle sfide che la modernità  impone.

 

Il nepotismo, la raccomandazione, le agevolazioni comunque denominate, i particolarismi, quando presenti, creano, a mio avviso, delle professionalità  non idonee a ricoprire i posti che occupano e generano malcontento e malcostume, soprattutto nelle strutture militari ove, per definizione, vige un sistema fatto di “ordine,esecuzione rapporto” ed il sottoposto non ha altri modo di far valere i propri diritti e le proprie aspirazioni se non dal confronto con quel superiore che molto probabilmente è la causa stessa del proprio disagio.

 

A volte, persone non idonee a ricoprire la mansione che occupano e che si trovano spesso, loro malgrado, a governare del personale non essendone capaci o a dover prendere delle decisioni difficili senza avere, peraltro, le giuste competenze tecniche e professionali finiscono, molto spesso, per usare la rigidità  di comando della struttura militare a proprio vantaggio e non a vantaggio del Corpo e della società  civile come in realtà  dovrebbe essere.

 

Se davvero vogliamo rimanere militari bisogna, quindi, che dalle nostre accademie e dalle nostre scuole escano dei giovani “Rommel” non tanti “signor nessuno” figli di questo modo di gestire la cosa pubblica che sta naufragando sotto i nostri occhi. Se non vogliamo dei nuovi Spartaco favoriamo dei nuovi Rommel. Questo potrebbe essere lo slogan, anche se io ritengo, per onestà  intellettuale, che i limiti della struttura militare nelle forze di polizia sia ormai il segno dei tempi e un cambiamento radicale in senso democratico non sia più procrastinabile nell’interesse stesso dell’organizzazione oltrechà© degli appartenenti e della società  civile a cui dobbiamo sempre rendere conto in un paese democratico, qual è il nostro.

 

 

GIOVANNI BARRALE

Segretario Sezione Ficiesse Reggio Emilia

g.barrale@ficiesse.it

 


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