L'INFINITA NORIMBERGA ITALIANA: SI INDAGANO I NAZISTI MORTI E SI PROCESSANO GLI ULTRACENTENARI, CON LA CERTEZZA CHE LE PENE NON SARANNO MAI APPLICATE - di Giovanni Surano

giovedì 10 gennaio 2013

L’INFINITA NORIMBERGA ITALIANA: SI INDAGANO I NAZISTI MORTI E SI PROCESSANO GLI ULTRACENTENARI, CON LA CERTEZZA CHE LE PENE NON SARANNO MAI APPLICATE

Quando i detrattori della giustizia militare argomentano sull’inutilità  di tale organo, enucleano quattro principali motivi a sostegno dell’invocata soppressione: l’abolizione della leva militare obbligatoria, la smilitarizzazione di alcuni corpi armati dello Stato, la sproporzione tra il carico di lavoro ed i magistrati militari in organico, l’esaurimento del filone giudiziario-militare dei crimini nazisti commessi in Italia durante la 2^ guerra mondiale.
Il senso del discorso è più o meno il seguente: visto che la popolazione militare è diminuita, che i magistrati militari lavorano molto meno di quelli ordinari e che i processi ai criminali nazisti sono stati conclusi, non può avere alcun senso mantenere questo anacronistico apparato giudiziario per amministrare la giustizia per poche persone.
Un ragionamento condivisibile che merita tuttavia una precisazione: i processi ai criminali nazisti non sono affatto terminati, anzi, ne vengono aperti di nuovi.
Succede che ancora oggi, a 70 anni di distanza dai tragici fatti della seconda guerra mondiale, il nostro Paese indaghi per accertare le responsabilità  personali di quelle stragi. E così la Procura militare di Roma continua ad avviare nuovi procedimenti, non importa se i fatti sono avvenuti in Italia o in Grecia, l’importante è tenere in vita questo filone giudiziario. Non importa neppure che la Germania abbia manifestato chiaramente che non concederà  mai l’estradizione di questi vecchietti ultracentenari (eventualmente ancora in vita) così come non darà  mai esecuzione alla pena laddove si dovesse arrivare ad una condanna definitiva in contumacia.
L’Italia fa spallucce e continua in questa forsennata caccia all’attempato nazista, arrivando ad iscrivere nel registro degli indagati un signore tedesco di 110 anni! Con costi rilevanti: indagini con rogatoria, utilizzo di interpreti, perizie, impiego di cancellieri, polizia giudiziaria etc.
Molti italiani non conoscono l’argomento, anche perchà© discutendo di giustizia militare e crimini nazisti vengono in mente i processi degli anni 50 e 60, ed in particolare quelli nei confronti di Herbert Kappler e Walter Reder. Il primo, comandante della Gestapo a Roma, venne condannato all’ergastolo in quanto responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, il secondo come artefice delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e Vinca. I due vennero catturati dagli alleati alla fine della guerra e consegnati alle autorità  del nostro Paese, processati e rinchiusi nella fortezza aragonese di Gaeta.
Dopo le vicende Kappler e Reder, si credeva che quel filone giudiziario-militare fosse in qualche modo concluso, ed a ritenerlo veniva in aiuto anche il fattore tempo il cui trascorrere, come i penalisti insegnano, è inversamente proporzionale all’efficacia delle investigazioni nella raccolta delle prove ed alla garanzia di un giusto processo. Inoltre la storia aveva già  sentenziato. E poi, se giustizia doveva esser fatta, si doveva iniziare proprio da casa nostra, concedendo l’estradizione richiesta dalla Grecia di 1.500 nostri ufficiali responsabili di crimini di guerra nel territorio ellenico, e portando a processo quegli altri militari italiani che si resero complici dei nazisti nelle operazioni di rastrellamento sull’Appennino tosco-emiliano. Invece i nostri crimini in Grecia sono stati dimenticati e quelli commessi con i nazisti sul territorio italiano sono stati amnistiati per favorire la c.d. pacificazione nazionale.
Insomma, vi erano concreti motivi per far considerare chiusa la questione, come la Germania ha fatto chiaramente intendere. E poi i processi di Norimberga e Gerusalemme avevano comunque processato e condannato le alte gerarchie naziste.
Nessuna di queste considerazioni valse invece quando dalle nebbie degli scandali italiani emerse il c.d. “armadio della vergogna”. Era infatti l’anno 1994 quando venne denunciata l’esistenza, all’interno di Palazzo Cesi, sede della Corte militare d’Appello di Roma, di questo strano armadio con le ante rivolte verso la parete collocato in una stanza chiusa con una grata in ferro, al cui interno vennero scoperti centinaia di fascicoli su crimini nazisti istruiti inizialmente dagli alleati e consegnati alle autorità  italiane per la loro trattazione. In altri termini, una manina aveva per così dire “imboscato” o “insabbiato” tutti quei fascicoli, lasciandoli marcire in quest’armadio per circa cinquant’anni e negando una tempestiva giustizia alle vittime di quelle stragi, la cui memoria venne così terribilmente oltraggiata..
Quell’armadio è diventato dunque un pozzo senza fondo dal quale sono tardivamente spuntati (e spuntano tuttora) documenti sugli eccidi nazisti che hanno consentito di avviare, a cinquant’anni dai fatti, dei procedimenti penali militari arrivati a sentenza: il suo contenuto ha reso possibile i processi a Priebke, Langer, Nordhorn, Schneider, Wulf, Kusterer, Bruss, Concina, Goring, Gropler, Rauch, Richter, Schendel, Sommer, Scheungraber e Milde, responsabili delle stragi della Fosse Ardeatine, S. Anna di Stazzema e Civitella Val di Chiana. Tutti procedimenti avviati tra il 1994 ed il 2002 e giunti a sentenza irrevocabile di condanna tra il 1998 ed il 2008.
Questione archiviata? Macchà©! Si poneva il dilemma dell’esecuzione della pena.
Affinchà© a queste condanne in contumacia potesse esser data esecuzione, la magistratura militare italiana ha prima richiesto alla Germania l’estradizione degli imputati e successivamente, a estradizione negata, l’esecuzione della pena in quel paese. Non è seguito alcun cenno da parte della Germania, che ancora oggi rifiuta di condurre nelle patrie galere persone ultracentenarie condannate per crimini commessi nel periodo 1943-45. A tutto c’è un limite! avranno pensato i tedeschi. Solo Erich Priebke, estradato dall’Argentina, ha scontato alcuni mesi di carcere militare in Italia e dal 1999 ad oggi detenuto in regime domiciliare.
A cosa è servito il lavoro della magistratura militare dalla scoperta dell’armadio della vergogna ad oggi?
Sono stati istruiti processi, effettuati accertamenti, rogatorie, consulenze tecniche per traduzioni di documenti, migliaia di ore lavorative di magistrati, cancellieri, polizia giudiziaria, per arrivare ad una sola esecuzione di pena peraltro in regime domiciliare. Soldi del contribuente andati in fumo.
Anche con queste sentenze arrivate tra il 1998 ed il 2008 si credeva, per la seconda volta, che il filone giudiziario-militare italiano degli eccidi compiuti dai nazisti fosse esaurito.
Invece, come prima si diceva, così non è se ancora oggi vengono avviati procedimenti penali per quei fatti: a distanza di vent’anni dal suo rinvenimento ed a 70 anni dagli eventi, l’ “armadio della vergogna” continua ad eruttare documenti e fatti storici che le pubbliche finanze si fanno carico di approfondire, con indagini e costosi processi penali che lasciano non poche perplessità .
Ad esempio la strage di Moggiona di Poppi in provincia di Arezzo, avvenuta per opera dei nazisti il giorno 7 settembre 1944. Per quei fatti, nel 2010 la Procura Militare di Roma iscrive nel registro degli indagati (a mod.21) il 110enne tenente Johann Baptist Nothaft, nato a Landshut (Germania) il 9 febbraio 1901 (sic!). Il meticoloso pubblico ministero svolge ogni accertamento necessario a rintracciare il criminale, salvo scoprire che Nothaft nel frattempo è deceduto. Tuttavia il Gip, in quello che può sembrare un gioco delle parti, respinge la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm e con decreto di fissazione udienza del 9 giugno 2011 dispone che il magistrato inquirente indaghi, anche con deleghe e perizie, per individuare i complici del 110enne Nothaft, posto che “certamente l’eccidio non è stato commesso da un uomo solo”.
Se la questione non avesse a riferimento fatti tragici per i quali va espresso un profondo senso di sgomento e di umana pietà , ci sarebbe da sorridere: il criminale 110enne Nothaft è deceduto, rintracciate i suoi complici!
Lo stesso dicasi per i fatti avvenuti a Cutigliano e nella frazione Pianosinatico, in provincia di Pistoia, nei giorni 1° ottobre 1944 e 28 settembre 1944. Anche in questo caso nel 2010 la Procura militare di Roma ha avviato un procedimento penale questa volta a carico di ignoti. Le indagini evidentemente non hanno portato riscontri apprezzabili, tanto che lo stesso pubblico ministero per ben due volte ha formulato richiesta di archiviazione (l’ultima il 30 maggio 2011), mentre il Gip per ben due volte ha respinto la richiesta del Pm e disposto altre indagini, con perizie, traduzioni, rogatorie etc.. Il magistrato inquirente ha motivato l’ultima richiesta di archiviazione adducendo che: “… emerge che i militari potenzialmente coinvolti nel fatto risultano essere anagraficamente nati nei primi anni del secolo e che pertanto è assai improbabile che essi siano tuttora in vita (…) Stante il termine di indagini scaduto, non è possibile nà© disporre la traduzioni degli atti presentati, nà© disporre per rogatoria le indagini volte all’accertamento della attuale esistenza in vita di tali ex militari tedeschi.”
Sicchà© il Gip, con decreto di fissazione udienza del 30 giugno 2011, proroga il termine delle indagini sino alla data dell’udienza camerale e dispone che il pubblico ministero proceda alla traduzione degli atti ed alla rogatoria per l’accertamento dell’attuale esistenza in vita dei militari tedeschi.
L’ultimo caso, in ordine di tempo, è il processo che si è aperto in questi giorni presso il Tribunale militare di Roma sull’eccidio di Cefalonia. E’ stato rinviato a giudizio Alfred Stork ex sottufficiale della Wehrmacht, 90enne, accusato di aver preso parte al plotone di esecuzione che uccise 117 ufficiali italiani della Divisione Acqui il 25 e 27 settembre 1943. In quell’eccidio trovò la morte, tra gli altri, un ufficiale italiano il cui figlio, avvocato, non ha inteso costituirsi parte civile nel processo poichà© ritiene che Stork, all’epoca dei fatti 18enne, si limitò ad eseguire degli ordini superiori e che in caso di rifiuto sarebbe stato egli stesso fucilato. Il figlio dell’ufficiale aggiunge che l’eccidio di Cefalonia non va addebitato ai militari tedeschi bensì a Badoglio che con l’ordine inviato al generale Gandin di resistere in armi ai tedeschi prima della dichiarazione di guerra alla Germania, mise di fatto i nostri soldati nella posizione di “franchi tiratori” o “partigiani” e come tali passibili di fucilazione come in effetti avvenne.
Per due ordini di motivi quindi il diciottenne sottufficiale Stork sarebbe esente da responsabilità  penali per quei fatti. Ovviamente la Germania non ha concesso l’estradizione dell’imputato Stork così come non darà  esecuzione alla pena in caso di condanna. Ma la giustizia va avanti lo stesso.
Le vicende ci aiutano da un lato a comprendere quello che può sembrare uno strano accanimento giudiziario che risulta inutile se collegato alla finalità  di accertamento delle responsabilità  penali degli autori delle stragi (morti o ultracentenari) ed all’esecuzione delle rispettive pene, ed utile invece se inquadrato in un’altra logica, opinabile, che pretende di processare i fatti purchessia in omaggio alla memoria dei caduti e per dare una risposta ai parenti delle vittime, oppure, probabilmente, per fini autoreferenziali al cospetto di interlocutori non certo disinteressati come associazioni partigiane o enti locali, dall’altro lato ci fa meglio comprendere, e forse giustificare, l’atteggiamento tedesco di fronte alle richieste di estradizione o di esecuzioni di pene.
La questione pone inoltre in rilievo l’aspetto filosofico della pena ma soprattutto del processo penale. Alla pena vengono attribuite diverse funzioni e quella che prevarrebbe nel caso specifico è la retributiva, ideologizzata però al punto da scivolare nell’impulso di vendetta. Ma in questo caso è inutile discuterne poichà© quello che viene a mancare in tutta la vicenda è proprio l’esecuzione della pena.
Se la teoria della pena è polifunzionale quella del processo non può che essere monofunzionale. Nell’ordine delle cose il processo penale, o meglio, il procedimento penale, ha come unica funzione quella di aprire un contraddittorio tra accusa e difesa su dei fatti per giungere ad una sentenza cui verrà  data esecuzione; per questo motivo, nel caso specifico, sfugge quale funzione possa avere il procedimento a carico di vecchi criminali nazisti messi al riparo da estradizioni ed esecuzioni di pena, protetti dunque rispetto alla fase seguente al procedimento che è l’esecuzione della sentenza. E’ come dire che si inizia a costruire una casa sapendo che non verrà  mai realizzato il tetto o che non verrà  mai concessa l’agibilità .
Si è innescato un clamoroso cortocircuito che il nostro Paese dovrebbe in qualche modo risolvere.
Se è vero che gli eccidi commessi dai nazisti sono certamente dei reati gravi che la legge mette al riparo dal rischio di estinzione per prescrizione e pertanto l’azione penale si rende doverosa, va tuttavia preso atto che le sentenze per detti crimini, piaccia o non piaccia, non saranno mai applicate. Si svela così l’inutilità  di quei processi, salvo che (e questo nessuno lo vuol credere) essi non vengano comunque celebrati per una funzione estranea al codice: onorare la memoria dei caduti o alleviare la sofferenza dei famigliari delle vittime, o, peggio ancora, riscrivere alcuni pezzi di storia. Tra l’altro, se è impossibile a priori l’esecuzione della pena come può trovare ristoro la memoria delle vittime o la sofferenza dei famigliari di esse?
L’eccesso di zelo nell’istruire questi processi che non consegneranno alla giustizia alcun colpevole, ci porta a domandarci se sia davvero il caso di continuare ad immolare il buon senso e la verità  storica sull’altare dell’obbligatorietà  dell’azione penale. Non si rischia invece, così facendo, di offendere per la seconda volta la memoria delle vittime di quegli eccidi?

Giovanni Surano
Sez. Ficiesse di Lecce
giovanni.surano@libero.it


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