POLIZIA: CASCHI IDENTIFICATIVI. IN EUROPA E' GIA' REALTA' - di Massimiliano Valdannini (da Polizia e Democrazia)
mercoledì 13 febbraio 2013
Polizia e Democrazia - Numero 154 Gennaio-Febbraio/2013
POLIZIA: CASCHI IDENTIFICATIVI. IN EUROPA E' GIA' REALTA'
di Massimiliano Valdannini
L’Italia recepisce da Strasburgo solo determinate direttive. Anzi, soltanto quelle economicamente rigoriste, poichà © di allinearsi agli standard europei dal punto di vista di regole e dei regolamenti non se ne parla proprio.
Nelle grandi e nelle piccole questioni.
Nelle prime possono essere catalogati tranquillamente gli emolumenti che i nostri politici europei, nazionali e locali percepiscono, nonchà © quelli di alcuni manager di aziende pubbliche. Emolumenti che vanno ben oltre quelli che vengono corrisposti a Premier o Capi di Stato di nazioni di non second’ordine, leggasi il Presidente degli Stati Uniti, la Cancelliera Tedesca, il Primo Ministro inglese e così via.
Così non è, invece, per ciò che riguarda stipendi e pensioni dei cittadini italiani rispetto a quelli percepiti dai loro omologhi europei.
Tra le seconde questioni, sicuramente, si potrebbe annoverare il caso che l’Italia, da ben 12 anni, non abbia ancora saputo o voluto risolvere: e cioè quello di regolamentare l’uso dell’uniforme e l’identificabilità del personale delle Forze di Polizia.
L’Italia, si sa, soffre di un atavico corporativismo che non ha eguali nel resto del vecchio continente. I privilegi sono privilegi, e guai a chi ce li tocca!
In questi ultimi giorni, è riemerso prepotentemente il dibattito che riguarda questi codici identificativi sui caschi degli operatori. Come al solito, dentro e fuori il Parlamento, sono sorte subito due scuole di pensiero: “I favorevoli e i contrari”.
Per ciò che mi riguarda ritengo di aver dimostrato, con i miei scritti, ante 2001, di appartenere alla prima scuola di pensiero.
Questo tema salì prepotentemente alla ribalta subito dopo i nefasti accadimenti del G8 di Genova nel 2001.
Allora, come oggi, sono sempre più convinto che l’identificabilità delle Forze di Polizia italiane, debba essere un passo che il Parlamento dovrà compiere per porre le stesse, al medesimo livello di trasparenza delle omologhe polizie europee.
Infatti, l'identificazione con un codice sgombrerebbe il campo da tante incertezze, in quanto il riconoscimento alfanumerico permetterebbe di individuare immediatamente chi abusa del proprio ruolo non tralasciando il fatto che verrebbe a cadere il luogo comune della Polizia violenta ma si parlerebbe soltanto della violazione di singoli tutori dell’ordine.
Insomma più trasparenza nei confronti del cittadino e maggiore tutela e garanzia per la stragrande maggioranza degli operatori delle Forze dell’ordine.
Ma non sempre l’Italia recepisce immediatamente determinate direttive provenienti da Strasburgo, e l’obbligatorietà del codice identificativo è proprio una di queste.
Di buone intenzioni nel Parlamento italiano ve ne sono state, però, magra consolazione, spesso rimangono chiuse negli archivi di Camera e/o Senato.
Possiamo quindi asserire tranquillamente che, se dopo oltre 12 anni durante i quali si sarebbe dovuto affrontare questo tema, non c’è stata alcuna soluzione, è segno evidente che la politica, o quantomeno una parte di essa, è stata totalmente indifferente alla problematica.
La prima iniziativa parlamentare fu avanzata alla Camera dei Deputati il 24 settembre 2001 con Atto Camera 1639 e 1639-A. La seconda fu la proposta di Legge 1307 presentata alla Camera dei Deputati in data 17 giugno 2008.
Da ultimo il 23 luglio del 2009 presso il Senato della Repubblica XVI Legislatura è stato depositato il Disegno di Legge 1711 che ha per oggetto “Delega al Governo in materia di impiego dell’uniforme e di identificabilità del personale delle Forze di Polizia”.
Ci si domanda chi e perchà © tenda a far cadere questo genere di iniziative nell’oblio parlamentare da una legislatura all’altra. Infatti siamo nel 2013 e ancora ci troviamo a discutere una questione di una semplicità disarmante, ma che sicuramente ha una forte connotazione di corporativismo dentro e fuori dal Parlamento.
Il Parlamento Europeo, in questi ultimi giorni, ha affrontato questioni in materia di diritti umani approvando una risoluzione, il cui art. 192 recita testualmente: “esprime preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della Polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell'UE; invita gli Stati membri a provvedere affinchà © il controllo giuridico e democratico delle autorità incaricate dell'applicazione della legge e del loro personale sia rafforzato, l'assunzione di responsabilità sia garantita e l'immunità non venga concessa in Europa, in particolare per i casi di uso sproporzionato della forza e di torture o trattamenti inumani o degradanti; esorta gli Stati membri a garantire che il personale di Polizia porti un numero identificativo”. E’ ovvio che la risoluzione di Strasburgo vada all’indirizzo di quelle Nazioni in cui la norma non è stata ancora applicata. E l’Italia è tra queste.
Anche le raccomandazioni europee subiscono la stessa sorte di alcune determinazioni, e l’Italia che ne è destinataria, naturalmente l’ha disattesa.
Infatti essa prevedeva, sin dal 19 settembre 2001, il recepimento del Codice Europeo di Etica per la Polizia, con l’invito, ai 45 Stati membri del Consiglio di mettere nero su bianco un chiaro regolamento deontologico nell’ambito della sicurezza pubblica.
Basterebbe affacciarsi alla finestra dell’Europa per constatare che Grecia, Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito ed altri, hanno adottato tale codice identificativo, su uniformi e caschi per tutti gli operatori di Polizia, senza distinzione di ordine e grado.
E’ innegabile che, invece qui da noi, vi siano resistenze dentro e fuori del Parlamento. Per i sacrifici a cui veniamo chiamati, in maniera costante e continuativa quante volte ci siamo sentiti dire “Ce lo chiede l’Europa”?
In questi casi gli Esecutivi che si sono avvicendati hanno agito pedissequamente dalla sera alla mattina, senza se e senza ma. Invece su certe indicazioni provenienti dall’Europa, l’Italia si dimostra alquanto sorda.
Il nuovo Esecutivo ed il prossimo Parlamento che si insedieranno di qui a breve, non potranno fare a meno di mettere nella propria agenda di lavoro, queste piccole, ma al contempo grandi questioni.
Nonchà © tirare fuori dalla naftalina parlamentare quei tre Progetti di legge, che, dopo anni di attesa, meritano una risposta più che sollecita perchà ©, è bene ricordarvi cari Signori, che è “l’Europa che ce lo chiede”
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