FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI: à ˆ INSUFFICIENTE LA DICHIARAZIONE RESA DA TERZI (Sole24Ore)
mercoledì 20 febbraio 2013
Sole24Ore - 18 febbraio 2013
FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI: à ˆ INSUFFICIENTE LA DICHIARAZIONE RESA DA TERZI
di Laura Ambrosi
La dichiarazione di un terzo che ammette di aver emesso fatture per operazioni inesistenti non basta a fondare un accertamento a carico del beneficiario del documento. Spetta all'ufficio, infatti, produrre ulteriori elementi a conferma delle dichiarazioni e a sostegno della pretesa. A precisarlo è la Ctp di Reggio Emilia con la sentenza 1/3/13 (presidente e relatore Montanari).
La vicenda trae origine dal verbale redatto dalla Guardia di finanza nel quale il titolare di un'impresa individuale ha dichiarato di aver emesso, durante l'anno d'imposta sottoposto a controllo, fatture per operazioni inesistenti a beneficio di una società  . In particolare, ha specificato che le prestazioni non erano mai state eseguite anche per l'assenza di dipendenti e che erano meramente finalizzate a far conseguire un risparmio d'imposta. Per l'emissione di tali documenti fasulli gli era riconosciuto un compenso pari al 10% dell'ammontare delle fatture. Così sono stati contestati alla società  beneficiaria la deduzione del costo e la detrazione dell'Iva relative alle fatture. E il successivo avviso di accertamento è stato fondato esclusivamente sulla dichiarazione dell'imprenditore circa l'inesistenza delle prestazioni.
La società  ha presentato ricorso che è stato accolto dalla Ctp. I giudici hanno rilevato che l'ufficio non aveva avanzato alcun ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa. La dichiarazione del fornitore non poteva, da sola, adempiere all'onere probatorio previsto. Richiamando i principi della Suprema corte (sentenza 9876/2011), il collegio evidenzia che nel processo tributario la dichiarazione del terzo ha valore meramente indiziario e può concorrere al convincimento del giudice, solo quando confortata da altri indizi. Sono quindi necessari ulteriori riscontri o, almeno, che si possa qualificare come «dichiarazione confessoria» per le conseguenze negative che derivano a chi l'ha rilasciata.
La pronuncia ha constatato la totale mancanza di indizi: non risultavano indicate le possibili conseguenze negative, non erano stati effettuati riscontri bancari, non vi erano appunti, e-mail, lettere. Anche l'assenza di personale dipendente non poteva essere un idoneo elemento di prova, dato che – per sua stessa ammissione – l'imprenditore si era avvalso dell'opera di collaboratori esterni. Inoltre, tutta la documentazione prodotta dalla ricorrente confermava l'esistenza delle prestazioni fatturate.
La vicenda trae origine dal verbale redatto dalla Guardia di finanza nel quale il titolare di un'impresa individuale ha dichiarato di aver emesso, durante l'anno d'imposta sottoposto a controllo, fatture per operazioni inesistenti a beneficio di una società  . In particolare, ha specificato che le prestazioni non erano mai state eseguite anche per l'assenza di dipendenti e che erano meramente finalizzate a far conseguire un risparmio d'imposta. Per l'emissione di tali documenti fasulli gli era riconosciuto un compenso pari al 10% dell'ammontare delle fatture. Così sono stati contestati alla società  beneficiaria la deduzione del costo e la detrazione dell'Iva relative alle fatture. E il successivo avviso di accertamento è stato fondato esclusivamente sulla dichiarazione dell'imprenditore circa l'inesistenza delle prestazioni.
La società  ha presentato ricorso che è stato accolto dalla Ctp. I giudici hanno rilevato che l'ufficio non aveva avanzato alcun ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa. La dichiarazione del fornitore non poteva, da sola, adempiere all'onere probatorio previsto. Richiamando i principi della Suprema corte (sentenza 9876/2011), il collegio evidenzia che nel processo tributario la dichiarazione del terzo ha valore meramente indiziario e può concorrere al convincimento del giudice, solo quando confortata da altri indizi. Sono quindi necessari ulteriori riscontri o, almeno, che si possa qualificare come «dichiarazione confessoria» per le conseguenze negative che derivano a chi l'ha rilasciata.
La pronuncia ha constatato la totale mancanza di indizi: non risultavano indicate le possibili conseguenze negative, non erano stati effettuati riscontri bancari, non vi erano appunti, e-mail, lettere. Anche l'assenza di personale dipendente non poteva essere un idoneo elemento di prova, dato che – per sua stessa ammissione – l'imprenditore si era avvalso dell'opera di collaboratori esterni. Inoltre, tutta la documentazione prodotta dalla ricorrente confermava l'esistenza delle prestazioni fatturate.
In sintesi
01|IL CASO
L'amministrazione finanziaria ha contestato a una società  la deduzione del costo e la detrazione dell'Iva in relazione a fatture che, secondo quanto dichiarato dall'emittente, si riferivano a operazioni inesistenti
02|LA DECISIONE
La Ctp ha accolto il ricorso presentato dalla società  perchà © l'ufficio non aveva avanzato alcun ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa e la dichiarazione rilasciata dal fornitore non poteva, da sola, adempiere all'onere probatorio
01|IL CASO
L'amministrazione finanziaria ha contestato a una società  la deduzione del costo e la detrazione dell'Iva in relazione a fatture che, secondo quanto dichiarato dall'emittente, si riferivano a operazioni inesistenti
02|LA DECISIONE
La Ctp ha accolto il ricorso presentato dalla società  perchà © l'ufficio non aveva avanzato alcun ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa e la dichiarazione rilasciata dal fornitore non poteva, da sola, adempiere all'onere probatorio