"LA RABBIA E L’ORGOGLIO" (di Sergio Barilaro)

lunedì 01 luglio 2002

Pubblichiamo l’istanza con cui il maggiore della Guardia di Finanza Sergio Barilaro si è congedato dal Corpo. Il documento ha formato oggetto, fino a oggi, di tre interrogazioni da parte di parlamentari della maggioranza e dell’opposizione.

Nei prossimi giorni, i nostri commenti.

 

 

 

ISTANZA DI COLLOCAMENTO IN CONGEDO

DEL MAGGIORE SERGIO BARILARO

INDIRIZZATA AL COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA

IN DATA 6 GIUGNO 2002

 

 

 

Sono giunto a questa dolorosa decisione, conscio dell’impossibilità di poter ulteriormente continuare. La situazione si è ormai incancrenita: il Corpo, prestigioso, è mal rappresentato e peggio pubblicizzato, a causa di una gerarchia obsoleta, più incline ad imbullonarsi saldamente alla propria poltrona che a riflettere sui cambiamenti della società. Il mondo cambia continuamente ed anche la Guardia di Finanza dovrebbe poi, conseguentemente, aggiornarsi nei contenuti, adeguarne la struttura e le esigenze. Invece la gerarchia ignora o finge di ignorare che i Tenenti, Capitani, Maggiori di oggi non sono uguali ai Tenenti, Capitani, Maggiori che loro stessi sono stati un tempo, semplicemente perché il mondo nel frattempo è cambiato. Allora, per non perdere antichi privilegi diviene preferibile crogiolarsi nell’esercizio del potere e considerare ogni scelta di importanza vitale come una semplice clausola di stile.

 

L’immobilismo più assoluto uccide ogni giorno la Guardia di Finanza. La lenta agonia si riflette nell’esodo ormai costante, nello stillicidio di ufficiali in continua uscita dai quadri, consapevoli che non esiste un futuro all’interno. Le professionalità non sono riconosciute e premiate, i migliori faticano ad emergere per qualità, ma soprattutto, l'esodo è determinato dall'impossibilità di accettare di essere catapultati su e giù per l’Italia in un modo che, nella migliore delle ipotesi è casuale o peggio, a volte quasi sadico.

 

La gerarchia, per giustificare l'esistenza di trasferimenti anacronistici, si nasconde dietro una falsa esigenza dettata dal servizio. È in realtà un'esigenza che non esiste nei termini e con l'intensità con la quale si manifesta. Invero appare essere stata artatamente creata soltanto per puro esercizio del potere, per tenere comunque, in qualche modo, in pugno tutti gli ufficiali del Corpo, sventolando annualmente una minacciosa “Schindler list” al contrario. Una lista di proscrizione non con lo scopo di fornire un servizio nell’appostare gli ufficiali del Corpo in un determinato incarico, ma dimostrando, in ogni circostanza, al di là delle tanto sbandierate e mai realizzate trasparenze sulla condotta amministrativa, quale sia la logica perversa che individua i colleghi da inviare in una sede piuttosto che in un’altra: quella della prima Repubblica!!

 

L'atteggiamento tenuto fornisce in ogni circostanza una chiara dimostrazione che gli ufficiali del Corpo sono suddivisi almeno in due categorie: (i) i cosiddetti peones o figli di nessuno, che non hanno diritti, che devono girovagare, che devono lavorare veramente, ai quali spetta come massima aspirazione, il poter pervenire, a conclusione di una vita di sacrifici, ad una decorosa e “normale” carriera ed invece (ii) coloro i quali alla nascita sono stati “unti”, che hanno il sangue blu nelle vene, i quali non subiscono spostamenti di sede, vivono all’ombra della grande chioccia romana, non assumono incarichi operativi in misura superiore al minimo indispensabile, perché, si sa, chi svolge incarichi operativi, in qualche modo – è normale facendo il nostro lavoro – rischia, mentre facendo l’impiegatuccio ha maggiori possibilità di proseguire indenne in un'esaltante carriera[1].

 

Amo allegorizzare questa suddivisione con un’immagine che mi sembra rendere bene l’idea: quelli che vanno al pozzo a prendere l’acqua e quelli che poi l’acqua se la bevono.

 

Questo il quadro generale, esaltante non c’è che dire, nel quale ristagna l’Istituzione. Pur in questo doloroso sottobosco non penso di far parte della categoria di ufficiali che vogliono andarsene. E ciò si badi bene, non perché le alternative manchino (anzi!), ma perché penso di appartenere a quella folta schiera che tutto sommato ci tiene, che trova gratificazione nello svolgere il proprio lavoro[2].

 

Purtroppo con il piano di impiego del 2001, come noto, sono stato trasferito in sede non ambita, dopo una lunga militanza soprattutto alla sede di Milano, dove ho prestato servizio perché questi erano gli interessi dell'Amministrazione (non i miei. Io cercavo solo un po’ di stabilità, un posto dove poter radicare una famiglia e crescere una figlia e Milano è stata la sede nella quale sono stato trasferito per i comodi dell'Amministrazione). Sulla mia personale permanenza a Milano (che parrebbe essere stato l'elemento scatenante del mio trasferimento), basti solo pensare che nella mia carriera non sono mai stato trasferito nell'ambito della pianificazione annuale dei trasferimenti. I miei trasferimenti sono sempre intervenuti in corso d'anno. Cosa vuol dire questo? Semplicemente che ho sempre subìto gli interessi dell'Amministrazione, essendo inviato a "tappare il buco" che qualcun altro non poteva o non voleva tappare. Così nasce la mia "lunga permanenza a Milano", nasce e si consolida soprattutto dopo i noti fatti del '94, allorquando di fronte al "tintinnar di manette" qualcuno che rimanesse in questa città, bisognava pure trovarlo. A distanza di tutti quegli anni, ancora oggi Milano è una città nella quale nessuno gradisce prestare servizio (manca circa il 50% degli ufficiali superiori). È una città nella quale il costo della vita (per chi vive di stipendio) è molto elevato, dove si lavora innegabilmente ad un ritmo diverso che in altri posti, dove opera una Procura della Repubblica indubbiamente difficile da gestire e così potremmo continuare ancora a lungo.

 

Ecco che allora mi candido: sono in una città sgradita ai più. Risolvo un problema all'Amministrazione e sono in un posto dove di incarichi da ufficiale ve ne sono a centinaia. L'hinterland è composto da ulteriori, innumerevoli reparti, se anche un domani dovrò cambiare zona mi trovo comunque ben collegato, con altre sedi viciniori. Sto già svolgendo servizio in una sede che - di fatto - può considerarsi "non ambita". Faccio di tutto perché il mio lavoro venga apprezzato. Posso insomma costruire qualcosa non solo per me, ma anche per la mia famiglia.

 

Certo, c'è qualcuno che tutto sommato il suo lo fa, in una sede che, come detto, è DI FATTO non ambita, che si è stabilizzato lì, ha comprato una casa (e così non grava nemmeno sui beni immobili dell'Amministrazione), ha una moglie che vi lavora e così contribuisce al pagamento del consistente mutuo (perché a Milano le case non costano quanto a Cosenza), sul piano personale è insomma una persona serena che, senza grossi problemi, può quindi dedicarsi anima e corpo all'attività professionale.

 

E' solo grazie a questa serenità familiare che, in ambito professionale, riesce a mantenere un buon rapporto con la Procura della Repubblica, con soddisfazione delle Superiori Gerarchie e della stessa Procura che costantemente rinnova la ritrovata stima non per la persona, ma per l'istituzione Guardia di Finanza dopo anni di oscura e pericolosa - ma giustificata - diffidenza.

 

Tutto sommato, dopo cinque anni di comando della più importante delle sezioni speciali del Nucleo regionale a quella sede (assegnato ad un Comando fino a quel momento retto da anziani Tenenti Colonnelli, da "tenero capitano", perché si sa, a Milano non ci vuole venire nessuno) forse un po’ di esperienza l'ha anche maturata in tema di verifiche fiscali a gruppi multinazionali d'impresa (ha seguito anche corsi presso l'Università Bocconi), sulla fiscalità internazionale e sull'elusione in operazioni straordinarie.

 

Questo "tenero capitano" ha diretto le più importanti inchieste milanesi su società quotate in Borsa, su reati tipici del mercato mobiliare (quelli che richiedono un tecnicismo spinto agli estremi).

 

Dopo questa lunga militanza, se c'è l'esigenza di coprire un posto in una sede come Cosenza, bisogna andare a pescare dove se non a Milano? Cosa fa un'organizzazione seria degli anni 2000? Lo trasferisce a Cosenza, a controllare la fiscalità internazionale delle pecore e degli allevamenti di bestiame!! In un posto ad appena 1200 km da casa, con tutte le problematiche connesse, così per complicargli una vita che poteva incanalarsi verso quel carattere di quasi normalità che ad un ufficiale del Corpo (categoria peones) non è concesso. Vergogna!

 

E non che io non volessi adempiere a questo sacrificio della sede non ambita: avevo solo chiesto ancora un paio di anni di tempo per sistemare alcune problematiche familiari irrisolte, per fornire a mia moglie la vicinanza dei suoi genitori che oggi non ha, prima di partire per la legione straniera, per il confino obbligatorio. Ma se hanno trasferito proprio me, in questo modo così ingiusto ed irrazionale, evidentemente è perché non era altrimenti possibile.

 

Perché innanzi tutto non c'era un altro maggiore nella G. di F. che non avesse fatto la sede non ambita da dover ricorrere ad un capitano che all'epoca doveva ancora essere incluso nei quadri di avanzamento per una valutazione a scelta. Poi, evidentemente, non c'erano nemmeno ufficiali scapoli da inviare a Cosenza. Perché certo, che importanza ha la famiglia per i peones? Il procedimento dei trasferimenti è disciplinato da circolari, quegli strumenti che nella gerarchia delle fonti occupano il penultimo posto, circolari che volutamente si dimenticano che esiste una piccola norma chiamata Costituzione, che invece occupa il primo posto, che attribuisce diritti ed obblighi per le famiglie, in quanto Legge fondamentale di uno Stato che su di Essa si basa.

 

Non garantire il rispetto di questi obblighi è di una gravità inaudita!

 

Non tenere conto, differenziando opportunamente, tra chi è sposato e chi non lo è, quando si decide della vita dei propri ufficiali è, oltre che criminale, anche controproducente. Lo dimostra l'esodo costante dei colleghi negli ultimi anni. Quale è il motivo di tanta fuga? Come detto, i trasferimenti ovviamente. L'assoluta assenza di regole, l'arbitrarietà nella scelta dell'uno piuttosto che dell'altro (o meglio dei peones e degli unti) che depaupera la nostra organizzazione[3].

 

Negli anni 2000, non si riesce - o non si vuole - capire che le nostre famiglie sono diverse da quelle di venti anni fa (il generale di oggi invece ragiona dicendo: "se l'ho fatto io lo possono fare anche loro"). Tutte le nostre mogli lavorano (ed è necessario che lo facciano), il 90% di loro lavora nel settore privato e non ha possibilità di ricongiungersi in caso di trasferimento.

 

Oltre che gli ufficiali della G. di F. abbiamo il dovere di fare i mariti ed i papà e, non da ultimo, di integrarci nel tessuto sociale nel quale viviamo (con le dovute cautele, s'intende). La politica perseguita dal Corpo, invece, ha creato generazioni di ufficiali disadattati, che vivono tra mille sacrifici lontano dalle proprie famiglie, contando i giorni che mancano a tornare a casa, come i militari di leva "fanno la stecca". Costoro passano le serate a mangiare le mele in una cameretta di una caserma perché non possono permettersi nemmeno di andare al ristorante, in quanto devono pensare a pagarsi i viaggi per tornare ad abbracciare i propri figli. Ufficiali che hanno un unico pensiero costante: saltare su quel treno, su quell'aereo che li porterà a casa per il fine settimana, qualunque cosa succeda al reparto, con inevitabile danno anche per il servizio[4]. Vergogna!

 

Ma che importanza ha tutto questo ? La Guardia di Finanza è una Cosa Pubblica e, come tale è un bene che può essere considerato di tutti e di nessuno. Dipende dal punto di vista!! Vergogna!

 

E allora mi chiedo? Perché io a Cosenza? A puro titolo esemplificativo, rammento che quando io sono stato trasferito (piano d'impiego 2001):

q       non c'era ad esempio un Maggiore (già Maggiore e non Capitano) che da più di qualche anno (in lunga permanenza come lo ero io) si trovava al Comando Generale, a giocare sui destini dei colleghi, nell'appostarli in un posto piuttosto che in un altro, che poteva andare a Cosenza? Se non sbaglio per l'Amministrazione, dopo due anni di Tenenza, aveva solo svolto incarichi in reparti di istruzione e … al Comando generale. E poi non era neppure sposato, non aveva figli piccoli da crescere. A Cosenza, rispetto a me, avrebbe anche dimezzato la distanza, vivendo a Roma, senza dover ricorrere all'aereo per spostarsi (sapete che un volo Milano - Lamezia Terme costa di più che non uno Milano - New York?). Era troppo logico per farlo. O meglio sarebbe stato troppo trasparente ed equo e questa Amministrazione di trasparenza ed equità non ne vuole sentire. Invece il collega Maggiore, che l'esigenza familiare non l'ha, se ne va, a quanto pare, dritto al SISMI[5] (a Roma ovviamente) e io, secondo l'Amministrazione me ne dovrei stare a Cosenza. Vergogna!

q       Non c'era anche un ufficiale superiore (già Maggiore) che (udite udite!!) ultimato il Corso Superiore di Polizia tributaria era stato trasferito al Comando generale? Io sapevo dell'esistenza di un gentleman agreement, una sorta di regola non scritta, qualcosa in più che una consuetudine che prevedeva che chi avesse ultimato tale Corso, venisse inviato in un Nucleo PT, a mettere in pratica ciò che aveva imparato in due anni a spese dello Stato. E così infatti è stato per tutti i suoi colleghi del Corso: tutti inviati in Nuclei Regionali e Provinciali PT. Tranne lui, che evidentemente nel suo incarico da impiegatuccio al Comando generale era davvero insostituibile!! La verità racconta un'altra storia: che chi ha svolto nella sua carriera il ruolo di aiutante di campo, entra automaticamente nel club esclusivo degli unti. Mi fa inorridire, soprattutto come contribuente, ma … così è se vi pare!! Vergogna!

q       Non c'era anche, sempre al Comando generale, un mio collega di corso, da lungo tempo sedimentato nell'ufficio informatica, che pur avendo la mia anzianità ed una lunga permanenza come me, non aveva una famiglia e, prima di formarsela, forse poteva andare anche due anni a Cosenza in mia vece[6], avendo, tra l'altro, quasi mai svolto incarichi operativi?

 

D'altronde, al di là delle singole persone, faccio un semplice ragionamento numerico: al Nucleo di Milano al momento del mio avvicendamento, sono stati trasferiti (me compreso) sei capitani contro l'arrivo di uno soltanto, nonostante la situazione deficitaria fosse quella descritta in precedenza. Al Comando generale, con lo stesso provvedimento, è stato previsto l’invio di 24 capitani contro 6 in partenza, dei quali due rimasti alla sede di Roma, due trasferiti a Velletri e Civitavecchia (quest'ultimo è quello della pernacchia - nota n. 2 - che una volta congedato con chi è stato sostituito? Con un capitano in servizio a Milano!! Tanto lì ce ne sono in abbondanza), uno a Firenze e uno soltanto a Palermo. Vergogna!

 

E così ce ne sono migliaia di casi inspiegabili, di X Files che è meglio non pubblicizzare troppo in giro. Vergogna!

 

In realtà, quando si riunisce il Gran Consiglio per deliberare sul piano dei trasferimenti, ognuno dei partecipanti non fa altro che assicurarsi i propri interessi e quelli dei propri "assistiti". Per gli altri, invece, vae victis!! Questa è la legalizzazione del clientelismo. Vergogna!

 

Per non dire delle problematiche professionali: il mio trasferimento è intervenuto dopo più proroghe che dovevano servire a concludere le indagini in corso, su specifica e motivata richiesta del Procuratore Capo della Repubblica di Milano. Salvo che, nel frattempo, cambia il mondo, scoppia una guerra. La procura di Milano apre più fascicoli su presunti terroristi islamici, ma pretende che le indagini siano assegnate ad un ufficiale di polizia giudiziaria del quale ha, evidentemente, fiducia e stima professionale. Eppure nemmeno questi eventi servono a smuovere il coriaceo Comando generale, di fronte ad un'indagine di quel tenore poi destinata (come pare) ad arenarsi, per mancanza di quella guida propulsiva che in altre occasioni ha funzionato. Rimane da capire, tuttavia, quale sia la differenza tra queste indagini seguite dalla Procura di Milano e quelle, evidentemente ben più rilevanti, seguite dalla Procura di Orbassano, che invece hanno indotto i burocrati a differenti atteggiamenti. Forse che si tratta delle diverse categorie cui appartengono i due ufficiali interessati?

 

La verità vera me l'ha raccontata il Comandante Interregionale, in sede di colloquio. "ci sono dei colleghi che predispongono i trasferimenti, uomini come noi, e come tutti gli uomini sbagliano!!".

 

Questo era stato chiaro fin dall'inizio, anche nei contatti telefonici intervenuti con il I Reparto da tutta una serie di ufficiali alla sede di Milano, i quali cercavano di spiegare l'irrazionalità del mio trasferimento. Perciò, pur ammettendo in quelle circostanze l'errore, non lo si poteva dire ufficialmente perché, si sa, il Comando generale non sbaglia mai!

 

Peccato però che abbiano sbagliato con la mia vita. Peccato (utopia) non essere all'interno di un'organizzazione governata da uomini seri, che riconoscono i propri errori e quelli dei propri collaboratori. Perché se fossimo stati in una tale organizzazione (quella dell'utopia), chi avesse commesso un tale errore sarebbe stato licenziato o sarebbe stato mandato a Cosenza.

 

Non si può sbagliare con la vita degli altri: loro lo hanno fatto e poi non hanno avuto il coraggio di tornare indietro, anzi ufficialmente hanno difeso la propria scelta come giusta. Avrei voluto un confronto con questi signori, alla presenza di un giudice terzo, ad esempio il Comandante generale che ha firmato il mio trasferimento, al quale è stato disegnato un quadro della realtà completamente distorto. Ci avevo anche provato. Ma questi gerarchi non me lo hanno permesso, sarebbe stato rischioso per loro. Vergogna!

 

L'irrazionalità del mio trasferimento è così palese da dare persino seguito a certe voci, pure illazioni per carità, che lo vorrebbero motivato dall'esigenza di allontanarmi da Milano, perché con le mie indagini avrei creato difficoltà a taluni personaggi pseudo massoni, i quali avrebbero séguito presso certi nostri gerarchi.

 

Ho cercato inoltre di spiegare al Capo del I Reparto, che forse nell'interesse dell'Amministrazione, dello Stato, occorreva trovare una forma di collaborazione che portasse reciproca soddisfazione. Ho cercato di spiegare che, nonostante fossero stati loro ad avere sbagliato, era necessario che tutte e due le parti scendessimo di un gradino nella nostra scala ideale per trovare un punto di intesa.

 

Io sono sceso di tre gradini ma non ho trovato nessuno, perché il Comando generale non scende a patti con nessuno. Tanto la G. di F. è una Cosa Pubblica e quindi non è di nessuno, vero? Vergogna!

 

Ho cercato di spiegarlo anche al mio collega Capo Sezione, l'ideatore principale del mio trasferimento: gli ho anche detto che, contrariamente a quanto mi era stato scritto nelle cosiddette "motivazioni" (sic!) del mancato accoglimento alla mia domanda di revoca, le mie esigenze non erano quelle di andare in un posto con l'alloggio di servizio, perché la famiglia non l'avrei spostata comunque.

 

Costui, infatti, pensava che avendomi assegnato in un posto dotato di un alloggio di 240 mq, avesse adempiuto ad ogni sua doverosa sinapsi (oggi impariamo che l'unità di misura per le esigenze familiari è il metro quadro!). Mi ha anche aggiunto che "noi" stiamo lavorando sodo per far sì che "voi che andate in sede non ambita abbiate ulteriori riconoscimenti"[7]. Stavo per baciargli l'anello pontificio e invece gli ho risposto che non aveva nemmeno avuto il pudore di leggersi la mia scheda di pianificazione, dove si rilevava che in caso di trasferimento non avrei spostato la famiglia, con ciò venendo meno l'utilità del munifico alloggio di servizio.

 

Gli ho rappresentato che avevo difficoltà ad andare a Cosenza ma che io stesso (che dovrei occuparmi di altro) avevo trovato ben tre colleghi desiderosi di andarci al posto mio in questa cosiddetta "sede non ambita". Gli ho detto anche che mi trovavo in una situazione difficile, che probabilmente, in assenza di ripensamenti da parte dell'Amministrazione, sarei stato costretto al congedo. La risposta, disarmante, è stata: "davvero? Mi dispiace". Vergogna!

 

Per dire di quale fosse il mio desiderio di rimanere nel Corpo: ho provato anche ad andare a Cosenza. Si, anche se dentro di me sapevo di patire un'ingiustizia, l'ho fatto. Ma mi sono reso conto che, in tutta onestà, quel Nucleo Provinciale PT non è un reparto che si può comandare con il piede (e il pensiero) già sul primo aereo il venerdì.

 

E poi non potrò mai dimenticare in occasione di una di queste partenze, all'aeroporto di Linate, mia figlia dirmi, gli occhi gonfi di lacrime, "papà, non andare a Cosenza. Io ho bisogno di te!". Già, mia figlia, sette anni e molto più sale in zucca di tanti di questi gerarchi di Stato! Mi sono detto: non vedo perché debbo farle patire tutto questo, solo per il fatto che qualcuno che queste esigenze non le ha, deve continuare a stare a Roma, imboscato. Vergogna!

 

E poi, dulcis in fundo, arrivo a Cosenza e devo conoscere un Comandante Provinciale che (questa è da Striscia la Notizia!) … per la seconda volta è stato mandato in sede non ambita! Cioè come dire che (se è vero che nella G. di F. i sacrifici sono ripartiti in modo equo) tutti i Colonnelli del Corpo sono andati almeno una volta in sede non ambita e allora si inizia la seconda tornata.

 

Questo è il più becero degli atteggiamenti di una cultura tipica della prima repubblica, tutto basato sul calcolo clientelare e della gestione privata della Cosa Pubblica, nell'interesse proprio, dei propri amici e degli amici degli amici! Vergogna!

 

Mi permetto di rilevare, tuttavia, che a mio giudizio, l'assoluta cecità di questo atteggiamento e del diuturno comportamento in tema di trasferimenti, assolutamente intrasparente, questa tipologia di governo che rammenta quello talebano, a lungo andare non potrà che fare la fine che ha fatto il regime talebano, quello vero.

 

Personalmente, non ho nessuna intenzione di farmi crescere la barba lunga cinque dita né di portare il burka, perché qualcuno raccomandato chissà da chi non vuole andare a Cosenza e ci devo andare io al posto suo.

 

Quando ci saranno regole chiare, scritte, uguali per tutti, figli di generali compresi, norme che disciplineranno in modo uniforme i trasferimenti e che terranno conto della Carta Costituzionale, allora anche io mi adeguerò.

 

Intanto mi bastano tutti quei colleghi, amici o semplici conoscenti, colleghi dei quali conoscevo solo il nome e che non avevo mai visto, che mi hanno costantemente telefonato per manifestarmi la loro solidarietà, per farmi sapere che consideravano suicida il mio trasferimento "al tempo stesso un errore ed un'ingiustizia!", (forse perché anch'essi si vedevano nei miei panni).

 

Per ora, in questo terreno di sopraffazione, iniquità, prepotenza, ingiustizia, prevaricazione, l'ordinamento non mi lascia altra soluzione se non quella di fare le valigie, rammentando a lor signori, che con questa decisione, dovuta esclusivamente ad incapacità di certi gerarchi dell'Amministrazione, chi ci rimette è pur sempre lo Stato, il contribuente, il cittadino, ciascuno di noi, la Cosa Pubblica …insomma.

 

Penso che nessuno mi potrà rimproverare mancanza di attaccamento all'Istituzione, giacché se non ne avessi avuto, già da tempo mi sarei fatto tentare come molti "…da un'offerta che non si può rifiutare!" e, probabilmente, me ne sarei andato anch'io facendo la mia pernacchia e scrivendo due righe, come tutti. Invece questa è la sintesi di ciò che provo: della mia personale rabbia e del mio personale orgoglio. "La rabbia e l'orgoglio", appunto.

 

Pertanto, con sommo dolore, mi vedo costretto a strapparmi le fiamme, che in sedici anni di lavoro, ho saldato, punto dopo punto, non sulla divisa ma sulla nuda pelle.

 

Strappare le fiamme così cucite provoca dolore e, quindi, spero mi sarà consentito lo sfogo. Soprattutto vorrei che servisse a far riflettere quanti nel Palazzo hanno il potere di far cambiare le cose, in modo tale che, almeno per tutti quei colleghi che onestamente portano avanti il proprio lavoro, nell'interesse dell'Istituzione, il mio sacrificio serva a non ripetere certi errori.

 

In conseguenza di quanto sopra, mi vedo costretto, se un improbabile ripensamento dell'ultim'ora non interverrà da parte dell'Amministrazione, a chiedere di essere collocato in congedo a domanda a far data dal 1° luglio 2002.

 

Vergogna! Vergogna!! Vergogna!!!

 

 

Sesto San Giovanni, 6 giugno 2002

 

Magg. Sergio Barilaro

 

 



[1] Sarebbe curioso sapere quanti p.v. di constatazione ha firmato ciascun ufficiale del Corpo, quanto meno fino al grado di Capitano compreso, quanto ha recuperato (e parlo di importi realmente incassati) ciascun ufficiale per le casse dell’Erario, quante sigarette, droga, oli minerali sono stati sequestrati da ciascuno di noi e poi confrontare questa anomala classifica con l’annuario degli ufficiali. Spesso ci si dimentica che ci siamo arruolati per fare tutte queste cose ed altre ancora e non i Capo sezione del Comando Generale … A proposito di Comando Generale, in percentuale, quanti sono gli ufficiali colà impiegati rispetto a quelli c.d. operativi? Non sono mai riuscito a saperlo!

[2] In buona sostanza non faccio parte di quei polli di allevamento tenuti nella stia quale futura classe dirigente, che appena vengono spostati da Roma a Civitavecchia (così lontano !!) fanno una pernacchia e se ne vanno "…perché hanno ricevuto un'offerta che non si può rifiutare."

[3] Questo al di là dei proclami ufficiali nei quali si ripete che un certo esodo è fisiologico. Basti leggere il rapporto sull'esodo degli ufficiali del Corpo, quello riservato e mai pubblicizzato che descrive realmente quali siano le cause.

[4] Vgs. in proposito la prima parte nella quale si parla di serenità familiare come base per concentrarsi sul lavoro.

[5] Ma non si era detto che i nuovi reclutamenti dei Servizi Segreti dovevano prevedere gente assolutamente operativa? Evidentemente due anni di Tenenza nel posto più sperduto della provincia "granda" consentono di accumulare enormi esperienze operative.

[6] Mi fa piacere rammentare che nella circostanza in cui ho rappresentato la cosa al Capo del I Reparto, in sede di colloquio, questi mi ha accampato che "dobbiamo riconoscere e tenere conto del tecnicismo necessario di chi opera all'Ufficio Informatica." Ma allora il mio tecnicismo, quello operativo, costruito in anni di paziente studio e lavoro, con enormi sacrifici, che va a farsi benedire nella Regione più povera d'Italia, conta di meno?

[7] Mi chiedo: cosa vuol dire "noi" e "voi". A quali categorie si riferiva il mio collega?


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